A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli - TopicsExpress



          

A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri. Era nel mondo un figlio e un giorno andò in Calabria: era estate, ed erano vuote le casupole, nuove, a pandizucchero, da fiabe di fate color delle feci. Vuote. Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne. Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio scuoteva paglia nera come nei sogni profetici: e la luna color delle feci coltivava terreni che mai l’estate amò. Ed era nei tempi del figlio che questo amore poteva cominciare, e non cominciò. Il figlio aveva degli occhi di paglia bruciata, occhi senza paura, e vide tutto ciò che era male: nulla sapeva dell’agricoltura, delle riforme, della lotta sindacale, degli Enti Benefattori, lui. Ma aveva quegli occhi. La tragica luna del pieno sole, era là, a coltivare quei cinquemila, quei ventimila ettari sparsi di case di fate del tempo della televisione, porcili a pandizucchero, per dignità imitata dal mondo padrone. Ma non si può vivere là! Ah, per quanto ancora, l’operaio di Milano lotterà con tanta grandezza per il suo salario? Gli occhi bruciati del figlio, nella luna, tra gli ettari tragici, vedono ciò che non sa il lontano fratello settentrionale. Era il tempo quando una nuova cristianità riduceva a penombra il mondo del capitale: una storia finiva in un crepuscolo in cui accadevano i fatti, nel finire e nel nascere, noti ed ignoti. Ma il figlio tremava d’ira nel giorno della sua storia: nel tempo quando il contadino calabrese sapeva tutto, dei concimi chimici, della lotta sindacale, degli scherzi degli Enti Benefattori, della Demagogia dello Stato e del Partito Comunista... ... e così aveva abbandonato le sue casupole nuove come porcili senza porci, su radure color delle feci, sotto montagnole rotonde in vista dello Jonio profetico. Tre millenni svanirono non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell’aria malarica l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano, lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano? Quasi come un padrone. Ti porterebbero su dalla loro antica regione, frutti e animali, i loro feticci oscuri, a deporli con l’orgoglio del rito nelle tue stanzette novecento, tra frigorifero e televisione, attratti dalla tua divinità, Tu, delle Commissioni Interne, tu della CGIL, Divinità alleata, nel meraviglioso sole del Nord. Nella loro Terra di razze diverse, la luna coltiva una campagna che tu gli hai procurata inutilmente. Nella loro Terra di Bestie Famigliari, la luna è maestra d’anime che tu hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. (Se egli non sorride è perché la speranza per lui non fu luce ma razionalità. E la luce del sentimento dell’Africa, che d’improvviso spazza le Calabrie, sia un segno senza significato, valevole per i tempi futuri!) Ecco: tu smetterai di lottare per il salario e armerai la mano dei Calabresi. Alì dagli Occhi Azzurri uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camice americane. Subito i Calabresi diranno, come malandrini a malandrini; «Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio!» Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a Marsiglia, nelle Città della Malavita. Anime e angeli, topi e pidocchi, col germe della Storia Antica, voleranno davanti alle willaye. Essi sempre umili essi sempre deboli essi sempre timidi essi sempre infimi essi sempre colpevoli essi sempre sudditi essi sempre piccoli, essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo, essi che si costruirono leggi fuori dalla legge, essi che si adattarono a un mondo sotto il mondo essi che credettero in un Dio servo di Dio, essi che cantarono ai massacri dei re, essi che ballarono alle guerre borghesi, essi che pregarono alle lotte operaie... ... deponendo l’onestà delle religioni contadine, dimenticando l’onore della malavita, tradendo il candore dei popoli barbari, dietro ai loro Alì dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per rapinare - saliranno dal fondo del mare per uccidere, - scenderanno dall’alto del cielo per espropriare - e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita - per insegnare ai borghesi la gioia della libertà - per insegnare ai cristiani la gioia della morte - distruggeranno Roma e sulle sue rovine deporranno il germe della Storia Antica. Poi col Papa e ogni sacramento andranno come zingari su verso l’Ovest e il Nord con le bandiere rosse di Trotzky al vento...
Posted on: Wed, 03 Jul 2013 17:52:21 +0000

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