“Don Cataldo Rosario Herrera, Generale della Compagnia di Cristo - TopicsExpress



          

“Don Cataldo Rosario Herrera, Generale della Compagnia di Cristo in Sicilia, era un uomo robusto e integro nella costituzione, nonostante il male ne avesse grandemente sfigurato l’ espressione – riprese a narrare il Filiere – Toccato anch’ egli dalla peste del Settecentonove, aveva abbandonato Modica e il suo magistero morale nella scuola per intraprendere una vita errabonda ed oscura che lui chiamava “la vera via”, ma che a molti appariva fortemente inclinata alla perdizione. Attraverso l’oriente e la Cina, oltre mari e lembi estremi, per rotte contrarie aveva raggiunto l’Amazzonia e qui, a confine fra il Brasile ed il Paraguay aveva stabilito il suo quartiere generale. Obbedendo ai Superiori, tuttavia, lasciò la sua missione e sbarcò a Messina per raggiungere a cavallo la Contea. Prima ancora d’arrivare a Siracusa, la sua fama aveva già fatto il giro dell’isola, poiché, troppo diverso dal comune era oramai la sua divisa talare e, si mormorava che il calco facciale che indossava fosse intrecciato coi brandelli dei missionari scorticati dagli Indios d’ America…”. La carretta oscillò sopra una buca e Jacopo ebbe un sussulto alle reni che gli fece drizzare la colonna vertebrale. “ Il suo ritorno a Modica, com’era facile prevedere, sparse lo sconcerto fra i membri del collegio domenicano. Il “Prete nero”, come oramai lo chiamavano gli stessi confessori, godeva in ogni ambiente ecclesiale d’una tremenda e infame reputazione. La sua dubbia nomea, comunque, non intimidì l’Inquisitore che, esperto in ogni astuzia e malaffare, studiò subito come corromperne la missione: “ Santo al servizio del Male o Demone al soldo del Bene – riferì nel suo gergo dottrinario davanti al capitolo dei frati – Egli è uomo e mortale; carico, dunque, di colpe e peccati. Come tale va indagato e preso in esame…” Incaricò così il Canonico Andrea d’acquisire informazioni, utilizzando proprio me come esploratore. “ Tieni chiusa la bocca, aperta l’orecchia e abbassa sempre la vista quando ti parla…”, mi raccomandò il mio tutore, inviandomi in casa del Generale. Don Cataldo era un uomo sospettoso e per niente aduso a dar confidenza ad estranei. Non amava frequentare luoghi mondani, né conventicole clericali. Trascorreva le giornate chiuso nel suo studio, a lume di candela, sprofondato nel lavoro, e l’ unico diversivo che si concedeva, oltre all’ ufficio canonico, consisteva nello stilare la vita dei Martiri cristiani. Saputo com’ era, quando mi vide presentare con in mano questa tabacchiera confezionata per l’occasione, comprese subito l’ intento dell’ Inquisitore, ma non lo diede a intendere fino a quando non mi acchiappò dietro una toppa d’ ottone. “ Spiami bene - mi disse allora, piantandomi contro le pupille il suo volto scarnificato dal male - La mia natura è corrotta come la tua e quella di qualunque peccatore, vittima della colpa originale. Ma ciò che il tempo ha raschiato nel mio cuore, è rimasto impresso in questo calco consacrato al dolore come il volto di Cristo nella Sacra Veronica ”. Poi, inaspettatamente, senza condonarmi alcun castigo, mi regalò la tabacchiera d’ argento e mi ordinò d’entrare nel suo studio, in modo da apprendere a mio agio i suoi segreti più oscuri…” Fingendo di non veder sbiancare di meraviglia e timore il garzone, il Capomastro trasse un pizzico di tabacco e lo portò alle nari. Poi, annusandone l’odore, riprese. “ Non appena oltrepassai l’uscio di quel luogo spoglio, scuro, colmo solo di libri e candele, vidi alcune maschere, poggiate su uno scaffale. Non fu necessario avvicinarmi oltre il lume per comprendere che si trattava d’ autentiche sembianze umane: teste mozzate, ridotte e mummificate con metodi in uso fra i pagani delle Americhe. Sedetti così davanti a quei volti ciechi, trapunti nelle palpebre da liane sottili, mentre il Generale, iniziava ad animarne i lineamenti con dei ceri…” Jacopo a quelle parole sentì sfuggire le redini dalle mani, mentre gambe e reni raggelavano insieme. Un brivido d’orrore gli attraversò le vene, sbucando con l’immaginazione in quella macabra visione evocata dalle parole del padrone. Il teatrino del Generale non era fatto dai burattini che i guitti manovravano nelle fiere. I suoi personaggi erano teste vere, sacrifici umani ridotti a raccapriccianti simboli dai selvaggi che vivevano nell’oltremare. “Appresi in pochi cenni della vita e delle imprese d’ uomini miseri e grandiosi, santi e peccatori vinti dal male o conquistati dalle sue astute trappole e corruzioni…– continuò il Principale – …Nel buio, intesi le loro voci confuse, mescolarsi alle fiamme, agli incendi delle selve e dei villaggi, ai lamenti, ai soprusi atroci e orrendi operati dai coloni sui “silvicoli”…Udii le storie suggestive e impressionanti dei martiri che si opposero ai potenti e altre ancor più tremende e inquietanti dove bene e male, carnefici e vittime, giustizia e crimini sembravano scambiarsi i lineamenti… Infine a quei racconti, mentre la voce del Narrante si soffermava sulle vicende dei tre gesuiti fatti sgozzare a Candelaria dal Cacicco Carrupè, la mente mi si svuotò improvvisamente, il capo mi si accasciò sulle gambe e svenni…Intorno a me non intesi altro che un mormorio labiale, un suono leggero come un sorvolo d’ali e nulla più…Non compresi più cosa volesse significare finchè non udì il nome del Diacono imprigionato dall’Inquisitore. “ Guai – mi ammonì, allora, il Generale, avvicinandomi al viso il bagliore e facendomi rinvenire – Guai a quei giudici che danno potere alle tenebre, versando il sangue dei giusti nelle prigioni…” disse e pronunciò il nome di quell’innocente rinchiuso nelle segrete dell’Inquisizione…” Rimasto senza fiato nell’ascoltare il padrone, con gli occhi che sembravano fuoriuscire dalle orbite abbagliate, il garzone tirò anch’egli un fiato che lo fece rinvenire. Per un istante gli era sembrato di stare nello studio col suo principale, fra ombre e candele, le teste dei martiri cristiani, ad ascoltare terrorizzato le loro storie. “ Con questo stratagemma teatrale – proseguì, intanto, Siderio senza dare al garzone il tempo di riprendersi da quella suggestione – Don Cataldo mi conquistò alla causa santa della sua missione. Mi rimandò, quindi, dal mio tutore perchè gli sottraessi certi documenti nascosti nel forziere..”. Come avesse fatto il Generale a intrecciare le storie, animando i suoi burattini disumani, Jacopo non lo capì bene: la “Santa missione” con cui il religioso aveva indotto il padrone a tradire il suo tutore, puzzava di zolfo e non di conversione. “ Che razza di prete era questo Generale?” pensò, dando uno strattone alle redini. Agli occhi del ragazzo era incomprensibile che un uomo di chiesa avesse utilizzato quelle reliquie per animare delle storie così brutali. “ Fare teatro con la carne e il sangue degli uomini…cosa ci può essere di edificante in quest’orrore?” Riflette ancora, avvertendo un prurito graffiante assalirgli i polpacci. Non osò comunque chiedere alcuna precisazione e ritornò a prestare attenzione al racconto che seguiva il principale.
Posted on: Fri, 20 Sep 2013 19:10:02 +0000

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