“Kuttacosa…?” biascicò Anselmo, disorientato. “Sì, è un - TopicsExpress



          

“Kuttacosa…?” biascicò Anselmo, disorientato. “Sì, è un nostro periodo storico, risalente a molte ere fa”, chiarì l’individuo che per primo si era rivolto a noi in ‘marziano’. “E, a proposito, lui è Olah, io mi chiamo Jekor, mentre quello che vi ha porto le tute Nowto.” “E la famiglia?” soggiunsi, incredulo. “A ogni donna è consentito un solo figlio. Non appena viene alla luce, è preso in carico dalla società”, continuò quello. “Senza più il ruolo genitoriale? L’amore materno?” m’intestardii a domandare. “Certamente. Le chilj così sono state liberate anche dall’assurda dipendenza dell’educazione della prole. Compito che magari esse, con le loro sole forze, non erano in grado di svolgere al meglio”, riprese l’extraterrestre. “Per contro il nuovo individuo, non appena viene al mondo, riceve tutto quanto giova al suo sviluppo fisico, intellettivo ed emozionale, in dosi molto più concentrate e mirate, e senza quegli inevitabili squilibri che potrebbero minare la sua stessa realizzazione. L’intera società svolge il compito di puerpera, precettore e vigilante dei suoi figli. Posso capire il tuo sconcerto, ma è da tempo immemorabile ormai che questo autocontrollo è un cardine della nostra esistenza.” “E non c’è mai qualcosa che va storto? Qualcuno che si ribella? Un tentativo di suicidio?” mi diede manforte il commercialista. “In una società opulenta, saggia, giusta, dove non c’è malessere sociale, l’infelicità può derivare unicamente da un’alterazione genetica, e, visto che sin dalle prime fasi di gestazione il DNA del nascituro è passato attentamente al vaglio ed eventuali alterazioni dei ‘geni sociali’, che si trovano nei vari cromosomi, corretti, questo preveggente, quanto accuratissimo meccanismo di sorveglianza, lo impedisce”, rispose lo smilzo. “E la religione?” proseguii, avido d’informazioni. “Vuoi dire le credenze?” proferì Olah. “Sì, insomma, Gesù Cristo, Allah, Buddha…” sciorinò Lomartire, impaziente. “Eeehm… immagino si tratti dei vostri miti”, sorrise quello, indulgente. “Spariti da tempo. Soppiantati dalla dottrina filosofica che risolve tutta la realtà nella coscienza e rifiuta ogni principio di trascendenza; dal rispetto per tutto quello che tu definiresti ‘creato’; dall’amore genuino, che sgorga da dentro, per il proprio simile.” “Insomma, siete una società perfetta”, mi arresi, ancora con la testa che mi girava. “Non se intendi chiusa in se stessa”, continuò a spiegarmi l’uomo. “Anche Xsyon agli albori è stata afflitta per un tempo immemorabile da continue vicissitudini, da guerre fratricide, come probabilmente succede a tutte le civiltà che prosperano nelle infinite galassie. Poi, poco a poco, abbiamo conquistato l’indipendenza, l’allontanamento dalle tentazioni, l’abbattimento delle incomprensioni, la vittoria sull’irrazionalità. Abbiamo sviluppato cooperazione nell’unicità di mete. La fratellanza ha posto fine all’ostilità; l’accettazione incondizionata della diversità, vissuta come ricchezza, bene comune, ha dato il là alla compartecipazione.” “Eeehm… va bene”, interloquì Anselmo, guardandomi, stranito. “E le malattie?” “Beh, anche se le sofisticate manipolazioni a livello di DNA operate dagli scienziati hanno modificato i geni responsabili dell’invecchiamento cellulare, ci ammaliamo ancora come tutti gli esseri viventi. Ma i nostri rigeneratori di ultimo tipo sono in grado di riparare quasi ogni guasto. La sostituzione degli organi ormai è prassi consolidata”, dichiarò Jekor, con una certa enfasi. “Però la vittoria più importante riguarda il cervello. Sin dalla nascita tutti i nostri pensieri, consci o inconsci, ogni emozione, vengono immagazzinati in tempo reale in un’immensa banca dati. Quest’interfaccia ci consente, per così dire, di non morire. Se un incidente è talmente grave, così devastante da non consentire la ricostruzione della parte organica, il nostro io non viene disperso; reintrodotto in uno yoka, i corpi di riserva, fedeli riproduzioni delle nostre fattezze, che teniamo ‘parcheggiati’ in laboratorio per tutta la vita, ci consente di rinascere.” “Avete creato l’immortalità”, mormorai, commosso. “Una specie”, ammise Nowto, solenne. “Anche se c’è uno scotto da pagare: l’inarrestabile espansione demografica. Già oggi siamo costretti a trasferire parte della popolazione su altri pianeti. Poi ci muoveremo verso altre stelle. E questo via via, sino alla fine dei tempi.” “Ho la pelle d’oca”, ammise Lomartire. “Ti capisco”, rispose quello, posandogli un braccio sulle spalle. “Ma Xsyon esiste da un tempo incommensurabile. Anche gli esseri dai quali voi provenite forse un giorno ci riusciranno.” “Se non si distruggeranno prima”, articolai, con la mente in subbuglio. Purtroppo venimmo a conoscenza anche che la loro tecnologia, per quanto sofisticata, non era ancora arrivata a manipolare lo spazio-tempo: Stargate, la strada tra le stelle, aperta a comando, che avrebbe potuto riportarci sulla terra e ai nostri giorni, per il momento restava per noi solo il titolo del film di Roland Emmerich. “Non demoralizzatevi, Xsyon non è poi così male”, disse il mingherlino. “Tra l’altro siete capitati in una delle zone più piacevoli del pianeta, ricca di lussureggianti foreste e bagnata da un mare cristallino. Un posto esotico, molto ambito per le vacanze.” C’invitarono a seguirli. Per loro sarebbe stato un onore ospitare gli amici ‘terrestri’. “Perlomeno stavolta siamo incappati in una civiltà più progredita della nostra”, ammisi, con un’alzata di spalle. “Non rischieremo più di essere linciati.” “Chissà se hanno bisogno di uno specialista in diritto commerciale”, sospirò Lomartire. Quella che avevamo scambiato per un’oasi, risultò una sconfinata distesa di palmizi. I nostri accompagnatori si muovevano con naturalezza su un sentiero a malapena visibile. Curiosi di conoscere tutto della nostra civiltà, ci stavano sottoponendo a un fuoco di fila di domande. Una fitta rete di corsi d’acqua intersecava il nostro cammino,obbligandoci a servirci di appositi ponticelli sospesi. Animaletti di ogni tipo scappavano via al nostro passaggio, mentre l’allegra cacofonia dei ‘colibrì’ non ci abbandonava un solo attimo. Il quadretto era idilliaco. Procedendo a balzi, a causa del nostro peso considerevolmente diminuito, avevamo messo da parte ogni preoccupazione e ci stavamo proprio divertendo. Quando pensavamo che le palme dovessero ricoprire l’intero pianeta, di colpo la vegetazione si diradò, lasciando spazio a una serie ininterrotta di gigantesche dune color ocra. In fondo faceva capolino un mare turchese. “Bello, eh!” esclamò Olah. “E’ l’ultima isola selvaggia rimasta su Xsyon.” “Non ci vorrà molto”, aggiunse Jekor. “I nostri architetti paesaggisti hanno mimetizzato perfettamente le poche abitazioni turistiche sull’arenile.” “Non temete, troveremo di sicuro una sistemazione”, disse Nowto. “Almeno sintantochè non dovrete raggiungere la capitale, per presentarvi al governatore e agli scienziati.” Pieni d’entusiasmo, accelerammo. Un paio d’ore (delle nostre) più tardi, raggiunto il bagnasciuga, sciaguattavamo, dimentichi di ogni apprensione. “Io non vedo nessun hotel”, proferì Anselmo. “Vedrai che saranno delle paillotes”, affermai, con convinzione. “Tipo Club Méditerranée.” “Siamo arrivati. Prego, entrate”, articolò uno che sino a quel momento si era tenuto in disparte. “Nella grotta?” esclamò il commercialista, facendo velocemente un passo indietro. “Certo. Tutte le costruzioni su Xsyon sono sottoterra”, spiegò quello, compito. “Stiamo bene attenti a non alterare il paesaggio.” “Eeeh… già, anche noi sulla terra”, convenni sbrigativamente, tirandomi dietro il mio recalcitrante amico. “Club Méditerranée del cacchio!” imprecò l’ardito speleologo nerazzurro che, abbassando repentinamente la capoccia, era riuscito a schivare per un pelo uno spuntone roccioso. Cominciammo a scendere nelle viscere della terra. “Ma con tutte le vostre sofisticatezze, non potevate installare un semplice ascensore?” si lamentò ancora Lomartire. “Non su quest’isola”, disse Olah. “Qui ogni forma di tecnologia è bandita.” “Abbiamo da tempo assodato che è proprio la fusione con l’ambiente incontaminato a svolgere la massima funzione rigenerativa”, aggiunse Jekor. “Solo in questo modo le pause lavorative vengono valorizzate appieno.” “E poi così ha voluto il gruppo ecologista”, ammise Nowto. “Allora anche voi avete questi rompicogl…” sbottò il mio indelicato amico. “Non capisco… ci dev’essere qualche malfunzionamento nei circuiti del traduttore”, articolò quello, provando ad aggiustarsi il complesso marchingegno sulla testa. “Certo che se anche i nostri concittadini sulla Terra in futuro sono destinati a diventare stronzi come questi, quasi quasi sono contento di essere finito in un buco nero e di vagare con uno come te nello spazio-tempo”, si accostò a sussurrarmi Anselmo, che aveva avuto l’avvertenza, per fortuna, di togliersi prima la cuffia. “Ti rammento che prima o poi potremmo finire a casa nostra, nel futuro”, replicai, sbirciando di sottecchi gli alieni, per appurare se non avessero capito ugualmente. “E incontrare così noi stessi vecchi? O magari assistere alla nostra morte? Madonnina, il pensiero mi fa già star male!” gemette quell’anima sensibile. “Eccoci giunti!” proferì il mingherlino, che in quel momento fungeva da battistrada. “La paratia delimita la zona residenziale.” “Coraggio, vedrai che dentro questi hanno tutti i confort di un cinque stelle lusso”, dissi al mio claustrofobico compagno. “Il ‘Burji Al-Arab’ di Dubai sarà niente al confronto.” L’intercapedine metallica scivolò come per incanto e penetrammo in una specie di gigantesco territorio. Stretti cunicoli, scavati direttamente nella roccia, si dipartivano per ogni dove; si avvolgevano su se stessi; ne intersecavano degli altri; formavano decine di diramazioni secondarie. Ciascuna conduceva a un alloggio: un loculo di due metri per tre, per un’altezza di due metri scarsi. Di servizi non vi era traccia. Probabilmente erano in comune, fuori dalle ‘camere’… c’era da sperare. “Però magari si mangia bene”, articolai, anticipando Lomartire, che aveva aperto la bocca per lanciarmi, come al solito, qualche scurrile invettiva. “Oh, ecco due autorevoli rappresentanti delle nostre chilj: Ysza è la direttrice del centro, Kulo la responsabile dell’approvvigionamento”, fece Olah, presentandoci le donne sbucate da una galleria laterale. “Enchanté” proferii, con enfasi, producendomi in un sorriso a sessantaquattro denti. Anselmo, da par suo, pur rimanendo con la bocca aperta, se si eccettua una specie di sibilo rantoloso, non riuscì ad articolare favella. “I nostri amici sono viaggiatori intergalattici. Provengono da un pianeta chiamato Terra e parlano una lingua incomprensibile”, le ragguagliò subito Jekor, invitandole a indossare le ‘cuffie’. “Bisogna trovare loro un alloggio”, aggiunse Nowto. “Uuuhm, la ‘casa’ in questo momento è completa”, osservò l’addetta ai rifornimenti: un’aliena dai tratti del viso non proprio femminili, che però, a onor del vero, faceva ampiamente onore al suo nome. “Beh, vista la rilevanza degli illustri ospiti, qualcosa dovremo pure inventarci…” prese a rimuginare l’altra: carnagione scura, bocca carnosa, denti bianchissimi, occhi verde smeraldo, aria molto professionale, curve da sballo. “Allora ve li consegniamo. Ci pensate voi”, disse lo smilzo, che da quel momento mi diventò ancora più simpatico. “Andate! Andate pure!” pronunciai, già con l’acquolina in bocca. “Ora che sono nelle nostre mani, ci prenderemo cura di loro.” “Veramente siete voi a essere nelle loro mani. Dovrebbe essere il contrario”, osservò quello, perplesso. “E’ proprio quello che ho detto”, mi precipitai a rettificare. “Ci dev’essere un malfunzionamento nei circuiti del traduttore.” Salutati uno per uno tutti i membri di quel gentile gruppo di wanta (soltanto la decenza ci aveva impedito di ‘scappar’ via senza estrinsecare il doveroso gesto di riverenza), c’incollammo alle due donne. “Intanto che cercate di risolvere il problemino del nostro alloggio, non ci fareste da guida?” chiesi, speranzoso. “Magari potremmo andare al mare. In fondo questa è un’isola per le vacanze.” “Uuuhm… perché no”, rispose Ysza. “Tra l’altro mi pare di capire non abbiate bagagli.” “No, siamo usciti di fretta”, articolai, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso. “Ci sono negozi di abbigliamento sull’isola?” domandò Anselmo, a cui era ritornata improvvisamente la favella. “Sì, Armani? Versace? Dolce & Gabbana?” gli feci eco, sarcastico. “Il mio amico acquista solo capi griffati.” “Acquistare…? Non capisco”, disse Kulo. “Su Xsyon è da tempo immemorabile ormai che non esiste più il denaro. Cibo, vestiario, più quanto altro possa servire per uso personale viene fornito dal governo centrale su semplice richiesta.” “E le spese voluttuarie? Che so… auto sportive, yacht, aerei, gioielli?” insistette il commercialista. “Ah, ma nessuno ha di questi desideri sul nostro pianeta”, spiegò Ysza. “Qui da noi ogni cosa è programmata. Abbiamo già tutto quello che ci serve veramente. Di cos’altro dovremmo sentire la mancanza?” “Niente libido, niente fantasia. I vostri scienziati hanno fatto proprio un buon lavoro”, asserii, aspro. “Ci scommetto che neppure sognate.” “Non è proprio così”, rispose quella, leggermente imbronciata. “In ogni caso le pulsioni le indirizziamo verso il lavoro, il bene sociale, la creatività artistica.” “Sarà dura, compare”, sospirò Lomartire. “Non capisco”, disse Kulo. “Eeehm… sarà dura comparare le vostre sofisticate abitudini sociali con le nostre”, mi affannai a specificare. “Il solito problemino dei circuiti del traduttore.” “Non ho neanche più voglia di andare al mare”, dichiarò Anselmo, che tratteneva a stento le lacrime. “No, no, adesso sono io a tenerci”, affermò, con risolutezza, la direttrice. “Voglio che vi rendiate conto di persona come la stretta fusione con la natura, la muta contemplazione delle cose e degli esseri dell’universo, svolga su di noi la sua duplice azione terapeutica, facendo evaporare lo stress accumulato con l’attività lavorativa e prevenendo l’insorgenza di ogni possibile pulsione emozionale estranea al nostro modo di essere.” “E dire che sinora la ‘stretta fusione’ mi era sempre piaciuta”, pronunciai, rassegnato. “A me invece è già ‘evaporato’ l’entusiasmo”, sbuffò Anselmo. Mentre le due chilj, confuse, assestavano dei colpetti alle rispettive cuffie, le seguimmo, abulici. Dopo una lunga peregrinazione, sempre al seguito delle due seriose aliene, quando ormai non ci speravamo più, lasciato quell’albergo sotterraneo sui generis, emergemmo in un luogo che ci lasciò letteralmente a bocca aperta. “Fiiiuuu, sembra il set di ‘Laguna blu’, il film con quel tocco di Bruke Shild!” esclamò Lomartire. “Che sia il paradiso!” esternai, rimirando il maestoso panorama. Ci trovavamo a ridosso di uno specchio d’acqua, verde smeraldo, completamente racchiuso da una parete rocciosa. Una lussureggiante vegetazione impreziosiva quell’anfiteatro naturale, e un’imponente cascata conferiva ulteriore pathos all’ambiente. “Bello, vero?” disse Ysza, trasognata. “E’ il luogo della meditazione.” “Qui annulliamo l’io, succhiando l’energia operante nell’Universo”, aggiunse Kulo, già in estasi. “Io una volta ho fatto yoga, ma, a parte storcermi una caviglia, non sono riuscito a raggiungere la mistica unione con l’Essere Supremo”, confessò il commercialista. “Coraggio, prepariamoci a farci un sonnellino”, sospirai, allungandomi nella rena calda. “Che fate? Non venite a fare il bagno?” articolò la direttrice. “Immersi nell’acqua è come stare nel liquido amniotico.” “Già, la perfetta catarsi”, proferì la responsabile dell’approvvigionamento. “Eeehm… vorrei tanto immergermi nel liquido amniotico… provare la catarsi, ma non ho portato il costume”, si scusò subito Anselmo. “Costume? Certo che voi terrestri siete strani!” asserì Ysza, lasciando scivolare a terra la tuta e rimanendo – a parte la cuffia –completamente nuda. “Che idea, fare il bagno vestiti!” rilevò a sua volta Kulo, che aveva pure anticipato l’amica. “Se è per meditare…” osservai, togliendomi – con una certa premura – il mio argenteo vestimento. “Su, sbrigati! Magari ci fanno vedere come si succhia l’energia operante nell’Universo.” “E se poi dovessi avere un’erezione?” mi sussurrò Lomartire – non prima di essersi staccato timidamente la cuffia. “Nooah, qui annulliamo l’io”, lo rassicurai, affrettandomi, con una leggera corsetta, verso le due chilj. La direttrice galleggiava, già in raccoglimento. “Mmmh… sì, interessante, però noi sulla Terra abbiamo sviluppato delle tecniche che accelerano ancor di più il distacco dalle cose terrene e il raggiungimento della beatitudine”, buttai là, con fare degagé. “Ah, voglio assolutamente conoscerle!” reagì quella, abbandonando subito il taumaturgico letargo. “Beh, se proprio ci tieni”, m’imposi di rispondere, mascherando con uno sbadiglio il ferale scatto della mandibola e relativa scopertura dei canini. “Chiudi gli occhi e allungati sul dorso.” Obbediente, la procace abitante di Xsyon prese la posizione richiesta. “Devi assecondare ogni mia manipolazione”, pronunciai, con voce sempre più roca, passandole con decisione le braccia sotto il corpo e afferrandola saldamente. Mentre lei, sempre più docile, annullava ogni resistenza, iniziai la mia personale interpretazione di danza derviscia acquatica. “Beeello!” mugulò l’aliena, intanto che la stretta aumentava e aderiva sempre più al mio corpo. “E questo è niente. Preparati a scivolare nel limbo della coscienza”, gorgogliai – nell’eccitazione, avevo ingollato mezzo litro d’acqua. “Adesso passiamo al ‘volo della farfalla’.” Le schiusi quindi delicatamente le gambe, con un’elegante contorsione me le feci passare attorno alle reni e, rischiando il tutto per tutto, l’afferrai sotto le chiappe e mi sistemai contro il ‘centro nevralgico’. “Aaah, che meraviglia! Hai proprio ragione, questo è ancora più rilassante (?)”, mormorò Ysza, con espressione trasognata. “Se soltanto non ci fosse quel fastidioso coso duro che mi preme contro, sono sicura che avrei già raggiunto l’estasi mistica.” “Eeehm… già, il ‘coso duro’”, ripetei, come un ebete. “Lo tolgo, sì… lo sposto subito.” Ammosciato, dopo qualche altro fiacco ‘svolazzo’, la liberai definitivamente dal ‘volo della farfalla’. “Per oggi può bastare”, recitai quindi, scarsamente speranzoso. “Chissà, magari un’altra volta riuscirai ad ‘assaporare’ la parte più ‘profonda’ della nostra tecnica d’annullamento.” “Da non crederci”, pronunciò il commercialista. “Tenendo gli occhi chiusi, come mi ha spiegato Kulo, ho proprio la sensazione di fluttuare nel grembo materno!” “Eh sì, ora che mi ci fai pensare, tu sei proprio indistinguibile da un feto”, riconobbi, con la solita empatia. “Anche se, a essere onesti, t’identifico meglio con una mignatta.” “Scherza, scherza, intanto io così riesco a dominare le tentazioni della carne”, replicò Anselmo l’asceta. “Pure culattone”, sospirai, scuotendo mestamente il capo. “Guarda, non ti rispondo neanche”, fece quello che, girandosi, sdegnoso, dall’altro lato, rischiò d’annegare in quei due centimetri scarsi d’acqua dove ‘fluttuava’. Intanto, visto che quelle stesse acque mi avevano lasciato in bocca un gusto, più che salato decisamente amaro, riguadagnai velocemente la riva e presi a incamminarmi in perlustrazione sul bagnasciuga. Sempre imprecando tra me e me per la sfiga di essere finito sull’unico pianeta di tutto l’universo dove le donne erano asessuate, ero arrivato all’incirca dal lato diametralmente opposto, quando mi sentii chiamare dalla direttrice. “Però così non riuscirai certo a raggiungere la pace interiore”, disse quella, accostandomisi, lesta. “Procedi a scatti, hai un’andatura disordinata, e in più emetti strani versi.” “Eeehm, no, è che sentivo il bisogno di fare un po’ di footing”, risposi, imbarazzato. “Futting…?” compitò Ysza. “Il traduttore non lo trova nel dizionario.” “Beh, poi ti spiego”, articolai, sentendomi mancare. “In ogni caso è un esercizio per il muscolo… ehm per i muscoli.” “Mmmh, preferisco i massaggi”, specificò la donna, con un’alzata di spalle. “Ah, ma io sono bravissimo a farli”, recitai, subito in fibrillazione. “Ti dispiacerebbe allora manipolarmi un po’?” aggiunse la chilj, sdraiandosi languidamente. “Queste tecniche manuali sono la mia droga… si fa per dire.” “Ooovvio!” esclamai, in apnea, pigliando immediatamente posizione. “Ti manipol… sì, ci penso io.” Iniziai dalla nuca. Con leggeri picchiettamenti, strofinii e movimenti rotatori, riscaldai ben bene la zona, facilitando la circolazione sanguigna. Scendendo lentamente, presi a percorrere ogni centimetro quadrato della schiena. Passai alle natiche. Imprigionate quelle chiappe sode nelle mie mani, cominciai a ‘impastarle’, a strizzarle, quasi volessi farle scoppiare. Le allargavo, le stiravo, nell’attesa di un gemito, di un cenno di piacere. “Che meraviglia!” sospirò l’aliena. “Mi sto quasi addormentando.” Rischiai di mettermi a piangere. Forzandomi non poco, mi dedicai alle gambe. Le percorrevo dall’alluce alla confluenza dell’inguine. Le accarezzavo, le lisciavo. Arrivai ad apporvi le labbra, a scorrerle anche con la lingua. “Che bravo!” esclamò Ysza. “E’ come se non avessi più il corpo.” Emisi un singulto e decisi di affondare. Ormai la titillavo senza più mezze misure. Le mie dita sparivano dentro il suo sesso. Misi in atto tutte le tecniche del ‘Kama Sutra’. Niente. Temendo iniziasse a russare, acclusi come scusa il riacutizzarsi di un maligno dolore al polso, postumo di una vecchia distorsione, e per la prima volta nella mia onorata carriera, sconfitto, decisi di soprassedere. L’aiutai ad alzarsi: aveva raggiunto il suo personale Nirvana, era caduta in coma. “Oh, grazie, grazie!” recitò, abbracciandomi, con calore. “Spero tanto me lo farai ancora.” Senza neppure riflettere, mi venne spontaneo incollare le labbra alle sue e metterle subito la lingua in bocca. “Che fai?” disse, quando cinque minuti più tardi la liberai, giusto per riprendere aria. “A cosa serve?” “Come, non ti è piaciuto?” esternai, sull’orlo della disperazione. “Non hai avvertito niente?” “Beh, non saprei, mi è sembrata una cosa così buffa”, recitò quella, con candore. “Anche se…” “Andiamo, sarà meglio pensare all’alloggio”, articolai, monocorde. Anselmo, sotto la guida illuminata di Kulo, apparentemente aveva raggiunto la pace dei sensi e, mentre arrancavo, apatico, non si arrestava un sol momento, illustrandomi le differenti tecniche di respirazione. Avevo già un leggero mal di testa, quando iniziammo a percorrere nuovamente quegli interminabili cunicoli sotterranei. “Il terrestre è eccezionalmente portato per la meditazione”, disse la responsabile dell’approvvigionamento. “Propongo che resti con me, così potrò seguirlo da vicino nel cammino che porta alla perfezione interiore e al distacco dal mondo e dagli istinti.” “Sta bene. Vorrà dire che tu dividerai la mia camera”, aggiunse la direttrice. “Ci sono delle cose che non ho capito bene.” Senza che quelle parole avessero acceso in me il benché minimo entusiasmo, rassegnato, augurai ogni bene al fido compagno e mi preparai alla mia nuova vita da asceta. L’alloggio della direttrice era quanto di più simile a una cella di una monaca di clausura: piccolo, scarno nell’arredamento, assolutamente privo di quei ninnoli tipici di un appartamento occupato da una donna, austero. “Il letto è piccolo, ma ci staremo”, disse quella, adagiandovisi mollemente. “Strano, mi sento invasa da un languore che non so definire.” “Deve’essere stato il bagno”, affermai, deciso a sferrare un ultimo attacco. “Ti prego, ti prego, fa qualcosa”, implorò Ysza. “D’accordo, però, per mettere in atto la giusta terapia, dovrei prima conoscere meglio i sintomi”, risposi sornione. “Giusto, ma non so come descriverteli”, prese a struggersi la donna. “Non ho mai provato niente di simile prima. Sento tutto un rimescolio… un bollore…” “Ah, allora è proprio grave”, sentenziai, con aria preoccupata. “Beh, proviamo. Togliti nuovamente la tuta e lascia fare a me.” Non feci neppure a tempo a illustrare il modus operandi, né la corretta posologia del mio speciale farmaco taumaturgico, che quella, con la stessa intensità di un geyser che avesse covato mille anni, mi si aggrovigliò selvaggiamente e, mentre dal suo petto erompeva un rantolo doloroso, s’impossessò dell’oggetto del suo… poi non tanto oscuro desiderio. “Alt!” risuonò, perentoria, la voce di un wanta, comparso come per incanto sulla soglia della porta. “Oh porca putt…!” sbottai, recuperando a fatica il ‘farmaco’ e facendo una rapida marcia indietro. “Prendetelo!” vociò intanto un altro alieno, che si era affacciato pure lui e guardava, sdegnato, la scena. “Abbiamo fatto bene a seguirli. Questi viaggiatori spaziali sono pericolosi”, disse un terzo. “Portate anche lui in clinica, nella sezione riabilitativa.” Gli extraterrestri, anche se di esile aspetto, erano straordinariamente forti. Sollevato di peso, venni portato via, mentre la ‘mia’ direttrice piangeva istericamente. Senza che potessi opporre resistenza, fui condotto in un fantascientifico laboratorio. “Anselmo!” esclamai, vedendo il mio amico legato come un salame su una specie di sedia elettrica. “Cos’hai fatto?” “Madonnina, anche tu qui!” strillò quello, terrorizzato. “Io devo aver sbagliato la respirazione e non sono riuscito ad astrarmi completamente dal mondo fisico e dalle sue tentazioni.” “Kulo…?” chiesi, intanto che mi bloccavano con delle cinghie su una sedia accanto al mio compagno di sventure. “Ysza…?” fece lui, bianco come un cencio. “Come già sapete, l’autocontrollo è un cardine della nostra esistenza. Non possiamo accettare che qualcuno mini l’equilibrio che abbiamo faticosamente raggiunto. Cancelleremo per sempre il vostro atavico istinto sessuale”, c’interrumpe la voce del responsabile del centro. “Visto che siete costretti a rimanere su Xsyon, dovete uniformarvi alle nostre regole.” “Ma io ci sono affezionato”, piagnucolò il commercialista. “Mi appello al diritto internazionale… ehm, intergalattico.” “Se promettiamo di non farlo più…” buttai là, scarsamente speranzoso. “E’ già deciso”, rispose lo scienziato, con voce grave. “E’ anche per il vostro bene. Vedrete, poi starete meglio.” “Ma guarda che stronzo!” ringhiai, impotente. “Per carità, non farlo incavolare”, si disperò Lomartire. “Magari ci evira pure.” “Stronzo e impotente!” ululai, con la bava alla bocca. “E’ finita! E’ finita!” strillò Anselmo, mentre il tizio schiacciava tutta una serie di pulsanti e abbassava una leva. CAPITOLO 11 “N o, con la sciabola no!” Il grido disperato di Anselmo mi fece spalancare di botto gli occhi. Confesso che li avevo chiusi, per non assistere ‘in diretta’ alla disgraziata manovra di soppressione della mia libido, con conseguente definitivo avvizzimento di quella parte del corpo alla quale ero tanto affezionato. Un brutto ceffo, armato fino ai denti, stazionava a pochi passi da noi. Sporco, puzzolente, radi denti gialli in bocca, indossava pantalonacci sformati di seta e una sudicia giacca di velluto; in testa aveva un cappello con ala rialzata e piegata a formare tre punte. Oltre alla corta sciabola che gli pendeva al fianco, portava a tracolla una vecchia cartucciera in pelle, e nella cintura teneva infilati diversi coltelli. A completare il quadretto, tutta una serie di poco rassicuranti pistole, ciascuna appesa a una fascia di seta, a decorargli ulteriormente la vita. “Ma che urli a fare? Guarda piuttosto come sono interessanti gli apostoli che questo bizzarro soggetto tiene in quelle piccole borse di lana appese alla giberna”, provai a scuoterlo, ravvisando quella sorta di pavor nocturnus che il mio depresso amico manifestava a ogni salto temporale. “’Apostoli’? Ma sei impazzito! Io qua non vedo né Simone nè Giacomo o Matteo! E, se è per questo, neppure Giuda Iscariota! Madonnina, il terrore per la perdita dell’istinto sessuale deve averlo fatto rincoglionire di colpo!” strillò ancora più forte il disgraziato. “Davanti a me c’è solo quel sadico dello scienziato che me lo vuole tagliare! E lo stronzo si è pure travestito da Satana!” “Con chi ce l’ha questo cane rognoso?” formulò, in un inglese antiquato, il sinistro figuro, dopo aver mandato giù in una sola sorsata il suo quarto di rum e aver ruttato sonoramente. “Eeehm… no, non gli badi”, balbettai, rivolto al truce individuo, provando a stamparmi sul viso un facsimile di sorriso. “Il commercial… lui ha una predisposizione genetica, trasmessa come carattere autosomico recessivo… sììì, è affetto da sonniloquio… già, parla nel sonno.” “Ma che fai, adesso ti esprimi in inglese? Stavolta capisco pure io”, intervenne subito Lomartire. “Sì, appellati alla NATO! Meglio ancora all’ONU! Dì che conosci personalmente Barack Obama!” “Ti vuoi svegliare, cazzone! Non siamo più su Xsyon!” sbraitai, provocando un ghigno di sprezzo dello sconosciuto. “E allora perché lo scienz… ehm, quello è vestito così?” blaterò ancora lo psicotico. “Escludendo il fatto che possiamo essere capitati nel bel mezzo di una festa di carnevale, ritengo sia per il puro e semplice motivo che in quest’epoca ci si veste così”, risposi, cercando di restare calmo. “Con quel coso strano in testa?” non demorse la piattola. “’Quel coso strano’ è un tricorno: un cappello di moda nel secolo XVIII”, enunciai, asciutto. “E se ti guardi attorno, capirai che stavolta siamo finiti in una lurida stamberga, una taverna frequentata da tipi poco raccomandabili.” “Sì, però l’avventore parla inglese”, rimarcò il commercialista, che aveva assunto la solita aria tremebonda. “Se è per questo anche Jack lo Squartatore”, articolai, dandogli tutto il conforto di cui necessitava. “Ora siediti a quel tavolo e non fare casini. Io provo a scambiare due chiacchiere col barbuto che sta al bancone. I baristi in genere sono loquaci. Cercherò di scoprire quanto più possibile su questo posto.” “Aspeeetta!” si sgolò l’infelice, impallidendo di colpo. “E se si avvicina qualcuno e mi chiede cosa bevo?” “No problem. Digli che sei astemio e ordina milky coffee, un caffellatte”, l’imbeccai, suasivo. “Ma non ho soldi!” gemette quello, sempre più afflitto. “Su, non ti scoraggiare, magari qui non hanno neppure il cappuccino. E a mali estremi puoi sempre farti indicare il più vicino Bancomat”, mi sentii in dovere di rincuorarlo. Quindi, lasciandolo impalato come un baccalà, mi avviai verso il bancone. Dieci minuti più tardi, oltre a conoscere il nome del locale: The Royal Palace (sic!), avevo appreso che correva l’anno millesettecentodiciannove, o giù di lì - l’uomo non era stato poi tanto preciso - e che ci trovavamo a Providence Island, la New Providence dei nostri vecchi tempi, nelle Bahama. “Nassau…? Ma questa è una manna per me! A causa del favorevole regime fiscale, qui affluiscono rilevanti attività finanziarie!” esclamò Lomartire, ridestandosi dal coma. “Sarò ricco, famoso! E chissà, magari in un paio d’anni riuscirò persino a diventare governatore in capo delle isole Bahama!” “Non per scoraggiarti, commercialista, ma anche se le navi militari di Sua Maestà hanno da tempo intrapreso una volenterosa operazione di repulisti, e gente come Henry Morgan, Capitan Kidd ed Edward Teach, alias Blackbeard, il famigerato Barbanera, sono ormai definitivamente fuorigioco, mi risulta lo stesso che a New Providence in questo periodo c’è la più vasta concentrazione di pirati mai vista nei Caraibi”, concionai, benevolente. “Sai, non me li vedo proprio affollare buoni buoni il tuo studio, mentre calcoli l’importo che devono versare alla Corona.” “Cacchio, questa proprio non ci voleva…” gemette il tapino, riponendo velocemente i sogni di gloria e afflosciandosi come la sacca di una vecchia cornamusa. “Puoi sempre inviare una lettera di protesta all’Ammiragliato per la scarsa professionalità della Royal Navy”, aggiunsi, con empatia. “E pure alla Camera dei Comuni! Al Parlamento! Al consiglio di Sua Maestà!” s’infervorò Anselmo. “A Giorgio I di Hannover in persona”, conclusi, sospingendolo fuori dal ‘Palazzo Reale’. La luce accecante del giorno ci costrinse subito a strizzare gli occhi. Eravamo sbucati sulla banchina del porto. Una vecchia bettolina era ormeggiata proprio di fronte a noi. Seguendo la linea del molo, s’individuava tutta una serie di barconi, che avevano avuto senz’altro dei giorni migliori; qualche piccola nave da carico, che non stava certo tanto meglio,e in fondo, un po’ in disparte, quello che aveva l’aria di essere un veloce sloop. Una congerie di disgraziati si muoveva tra il disordine e la sporcizia. “Su, cerca di fare buon viso a cattiva sorte. In ogni caso sono sicuro che l’aria dei Caraibi ti farà bene”, dissi, rivolto al povero Lomartire, che deambulava, scorato. “Guarda che mare azzurro! E che sole potente! Guarda che cielo terso!” “Guarda chi arriva…” mormorò quello, additandomi il losco individuo del tricorno. “Hi, fichetti! Che ne direste di una bella gita in barca?” ci apostrofò subito il tagliagole. “Ah, ci piacerebbe moltissimo”, sospirai, provando ad allungare il passo. “Ma il mio amico soffre il mal di mare.” “Noooah, per questo basta una pinta di sharpshooting: rum e polvere da sparo, e diventa un diavolo!” vociò il tizio, scatarrando con compiacimento. “Veramente sono astemio”, balbettò Anselmo, iniziando a guardarsi attorno alla ricerca di un improbabile gendarme. “Tutti i veri uomini bevono!” replicò l’altro, torvo, intanto che estraeva con una mano una pistola, e con l’altra un grosso coltello. “Il Curlew è lo scloop più veloce dei Caraibi!” “Ripensandoci, una bella crociera è quello che ci vuole per ritemprare lo spirito e rafforzare il corpo”, mi affrettai a pronunciare. “Bravi figlioli! Venite sul vascello a firmare l’ingaggio!” proruppe quello, con un sogghigno. Reclutati con forza, non ci restò che seguirlo. La meta era proprio lo sloop. “Già, esattamente come subodoravo”, osservai, non appena fummo a pochi metri dal veliero. “Che cavolo c’era da subodorare?” borbottò Anselmo, finendomi pure addosso. “Io non ho su…bo…do.. rato niente.” “Non cuicumque datum est habere nasum”, declamai, battendogli fraternamente una mano sulla spalla. “Eeeh…?” fece quello, ruotando la testa come un parrocchetto vedovo e rimanendo nella graziosa posizione a fissarsi l’omero. “Non a tutti è dato avere naso”, volgarizzai, compassato. “Ma và a prendertela!” proruppe lo scriteriato, causando ancora una volta la repentina comparsa di coltello e pistola nelle mani del nostro ‘angelo custode’. “Niente, niente”, dichiarai, con una certa premura. “Questa testa di ca… carpentiere ha solo manifestato il suo giubilo alla vista di cotanta bellezza.” “Il tuo amico è un mastro d’ascia?” chiese l’uomo, sorpreso. “Perbacco, pialle, raspe, sgorbie non hanno segreti per lui!” affermai, pimpante. “Ma sono soprattutto le seghe dove dà il meglio di sé!” “Ottimo, Calico Jack aveva proprio bisogno di un falegname!” sghignazzò di rimando il tizio, sospingendoci senza troppi complimenti sulla passerella. “Complimenti, sei appena diventato il carpentiere di bordo!” enunciai, intanto che avanzavamo su quella tavola traballante, cercando di non cadere in acqua. “Ma se non so piantare neanche un chiodo!” esternò il solito disfattista. “E che ci vorrà mai”, aggiunsi, sbrigativo, posando i piedi sul ponte. “Una martellata qui, una là. Sei o no un commercialista?” “Beh, sì… ma, scusa che c’entra?” obiettò quell’incontentabile. “E, a proposito, cos’avevi intuito prima, ‘Cyrano’ dei miei stivali?” “Io ho un naso greco!” puntualizzai, con sussiego. “Non hai visto la Jolly Roger?” “La Jolly cosa?” esclamò l’incolto. “Ma la bandiera, animalaccio! Il vessillo col teschio e le sciabole incrociate, che svetta sulla cima dell’albero!” risposi, trattenendomi a stento dal buttarlo ai pesci “La bandiera dei pirati!” “Pi…ra…ti?” balbettò il neofalegname. “Esatto. Come John Rackham, meglio noto ‘Calico Jack’, comandante del Curlew, e da oggi tuo datore di lavoro”, aggiunsi, al limite della pazienza. “Madonnina, allora sono diventato pure io un filibustiere? Dovrò partecipare alle scorrerie e potrò finire sulla forca?” impallidì il ‘terrore dei Caraibi’. “Beh, considerala pure come la naturale prosecuzione della tua carriera di commercialista”, chiosai, pacato. “Se rifletti, imbroglione sei sempre stato; a un cospicuo gruppo di commenda milanesi hai insegnato come non pagare le tasse; nell’altra vita ti è andata sempre bene e non sei finito sulla sedia elettrica; qui…” Un omone dalla folta capigliatura nero corvino, naso aquilino, zigomi alti, bocca larga, e dagli intensi occhi, molto grandi, comparendoci davanti, arrestò quella mia impietosa disamina e mi salvò dalla preannunciata sfuriata dell’inviperito Lomartire, che aveva appena aperto la bocca per lanciarmi i suoi zitelleschi strali. “Bart, chi sono questi pitocchi che non smettono un secondo di cianciare?” vociò l’energumeno. “Bah, due checche, capitano”, rispose il mastino che ci scortava. “Però lo smilzo è un valente mastro d’ascia. L’altro è il suo degno compare.” “Eccellente, quartiermastro Bartholomew, allora l’equipaggio è al completo!” grugnì di soddisfazione l’altro. “Dai l’ordine di mollare gli ormeggi. Possiamo salpare.” Disinteressandosi subito di noi, il pirata chiamò a raccolta i compagni che, abbandonando i ponti inferiori, presero a sbucare dai boccaporti come formiche da un termitaio. La ciurma era costituita da un’accozzaglia di umanità che più eterogenea non si poteva: giganti nerboruti e segaligni emaciati; glabri e barbuti; non ancora nella maggiore età e in là con gli anni. Il campionario delle mutilazioni impressionante: arti, occhi, denti, e anche nasi e orecchie; nessuna parte del corpo era risparmiata. Orrende cicatrici solcavano il volto dei più, e non pochi erano deturpati dalle ustioni. Erano tutti brutti ceffi. Eseguendo un programma perfettamente collaudato, in breve ciascuno fu al proprio posto. Tirate le drizze e sistemate le scotte, le vele iniziarono a prendere vento e lentamente il vascello si staccò dalla banchina. “Però è una bella barca”, osservai, intanto che il Curlew, con un’elegante virata, puntava il bompresso verso il mare aperto. “Sedici metri o giù di lì, per una cinquantina di tonnellate.” “Cento tonnellate! Ed è lungo più di venti metri!” esclamò, con prosopopea, un ometto di mezz’età che, vista l’impressionante rassomiglianza col Popeye dei cartoons, avrebbe potuto rivendicarne il copyright. “Ed è armato con otto cannoni da dodici, più quattro cannoni girevoli lungo i parapetti!” “Eeehm… già”, annuii, rimanendo estasiato. “Cavolo, ma è Braccio di ferro!” proruppe Lomartire. “Però non vedo la scatola di spinaci.” “Ehi, amico, non fare il furbo, e parla nella nostra lingua, altrimenti di faccio fare tre giri di chiglia!” reagì quello, gonfiando i bicipiti. “No, lo perdoni, il carpentiere Anselmo è ancora scosso per quest’imbarco improvviso, che lo ha privato di tutta la sua preziosa utensileria, e ha solo rivolto una prece a San Vito, il santo protettore dei falegnami”, spiegai, ossequioso. “Aaah, se sei il nuovo mastro d’ascia…” disse il tizio, facendo sparire il malpiglio. “Joseph, il nostromo!” “Senti, capo, sai mica dove siamo diretti?” domandai, pigliando subito confidenza. “Oh bella, ma ad appostarci tra gli isolotti del Mar dei Caraibi, come al solito”, rispose l’uomo. “Così possiamo individuare in tutta tranquillità la prossima preda.” “Jo, fai issare una vela di gabbia e manda su qualcuno a far da vedetta!” c’interruppe la voce stentorea di un altezzoso personaggio, paludato con ricche sete e velluti. “Ah, di che controlli pure lo straglio! E chiamami Ash!” “Okay, signor Charles, ci penso io”, si premurò di rispondere ‘Popeye’. “Chi è quel bellimbusto…? Ehm, quel bel fusto?” seguitai a chiedere. “Il miglior ufficiale di rotta che ci sia in circolazione!” proruppe l’impettito nostromo. “Si è unito spontaneamente a noi… beh, quasi, l’anno scorso, quando ci siamo impadroniti della nave di Sua Maestà, l’Eagle.” “E Ash…?” sillabò il commercialista, che aveva preso un po’ di coraggio. “Ashley Cornwell è l’artista, un vero talento naturale!” affermò ‘Braccio di ferro’, tramestando con la fedele pipa ed emettendo una nuvoletta di fumo. “Ah, quindi a bordo c’è un atelier?” chiosò, aulico, carpentiere Anselmo. “Mi cimenterei volentieri con la pittura.” “Ma che cazzo dici! Non sei mai salito su una nave? A bordo si chiama ‘artista’ il navigatore!” esclamò Joseph. “Il nostro Ash è in grado di rilevare perfettamente la posizione, e riesce sempre a portare il Curlew poche miglia sopravento rispetto alla sua destinazione!” “Vuoi scherzare, il segaiolo… ehm, il mastro d’ascia ha un notevole senso dell’humor e lo sapeva benissimo. Lui conosce alla perfezione ogni tipo d’imbarcazione”, ci tenni a precisare, accorato. “Eeehm, adesso andiamo a visitare lo sloop.” “Sloop… già, dobbiamo pigliare possesso dei nostri alloggi”, belò il neo-pirata, terrore di mari. Infilato un boccaporto, ci affrettammo a scendere sottocoperta. Il luogo era umido, scuro; puzzava d’acqua di sentina e carne marcia. Sporcizia e detriti erano accumulati dappertutto. Orde di topi e scarafaggi vagavano, indisturbati. “Che schifo!” articolò Anselmo, con una smorfia di disgusto. “Chissà come sarà la nostra cabina.” “‘Cabina’…? Ma dove credi di essere, stronzo!” ghignò un tipo macilento, che stava trasportando un barile. “Qua si dorme sdraiati l’uno accanto all’altro sul ponte di corridoio.” “Madonnina!” gemette il commercialista-carpentiere. Sempre seguiti dalle risate di scherno del cadaverico individuo, guadagnammo la zona poppiera. “Toh, la cambusa!” esclamai, percependo uno strano olezzo. “Magari la cucina invece è buona.” “Speriamo”, mormorò appena l’infelice, che mi seguiva a ruota. “Entrate! Entrate!” c’invitò, a gran voce, un meticcio che stava rimestando in un calderone. “Oggi è giorno di festa, visto che siamo partiti per una nuova impresa, e ‘Calico Jack’ ha ordinato di preparare salmagundi.” “Mmmh, sembra proprio buono”, formulai, tenendomi prudentemente indietro e arricciando il naso. “Cos’è?” fece Lomartire, sporgendosi verso l’intruglio. “Non conosci questa leccornia? Toh, assaggia, amico, sono sicuro che d’ora in poi diventerà la tua droga”, declamò quello. “C’è pesce, carne di tartaruga, pollo, prosciutto, maiale, carne salata di manzo, piccione, anatra. Tutto marinato nel vino speziato…” “Buooono”, rabbrividì Anselmo, interrompendo il lanciatissimo chef (?) “Aspetta, aspetta: aringhe sottaceto, acciughe, cavolo, mango, cipolle, cuori di palma, uova sode, olive, acini d’uva. Ovviamente olio, aceto, sale, pepe, aglio e semi di mostarda!” concluse in crescendo il ‘Gualtero Marchesi’ del Curlew. “Saliamo sul ponte, mi sento male”, gemette l’ombra di quello che era stato uno spavaldo interista. Rinunciando all’allettante delibagione, uscimmo piuttosto velocemente, dimenticandoci pure di salutare.
Posted on: Thu, 11 Jul 2013 18:04:06 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015