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@SeRiSo - Blog Update La città diffusa - Matteo Baldo bit.ly/16IDSdl Il sistema urbano si distingue dagli ecosistemi per il fatto di essere un sistema incompleto e dipendente da ampie aree limitrofe per l’energia, il cibo, le fibre, l’acqua e gli altri materiali[1]. L’ecologo Eugene Odum ha definito, da un punto di vista ecologico, la città moderna come un vero “parassita dell’ambiente rurale”, data l’incapacità delle aree urbane di produrre la biomassa necessaria al proprio sostentamento, di estrarre i minerali necessari alle diverse produzioni e di purificare l’aria, l’acqua e gli altri scarti che producono[2]. L’ecosistema urbano è dunque in costante squilibrio energetico e di materia nei confronti di un necessario ambiente esterno che è diventato gradualmente più esteso[3]. Durante gli ultimi 30 anni le città si sono espanse, determinando forme urbane sparpagliate, frammentando il contesto urbano e in molti casi anche generando la fusione tra città confinanti: il nuovo contesto periurbano si trova in una situazione di sprawl, o città diffusa. Oggi il contado (la fascia agricola intorno alla città), che esaltava la differenza tra urbano e rurale, si è quasi dissolto. La trasformazione delle città in metropoli e megalopoli non ne eliminato lo spazio rurale, ma piuttosto resa problematica la distinzione tra urbano e rurale[4]. Secondo l’antropologa Mary Douglas, sono state le demolizioni e le costruzioni prescrittive del diciannovesimo secolo, ma soprattutto la svalutazione delle mappe mentali degli abitanti a causare la scomparsa della forma urbis e dunque la caduta di ogni senso del luogo[5]. Per di più oggi circa il 50% della popolazione mondiale vive nelle città e tra queste ce ne sono 26 destinate a diventare entro il 2015 delle megalopoli con più di 10 milioni di abitanti: nutrire simili realtà significherà importarvi ogni giorno circa 6000 tonnellate di cibo[6]. Tutto ciò assume ancor più rilevanza nei paesi in via di sviluppo, dove il tasso di crescita è più forte: 19 delle 26 megalopoli si trovano nel sud del mondo; queste però, rappresentano solo la punta dell’iceberg, in quanto, sempre entro il 2015, 564 città oltrepasseranno il milione di abitanti145: se ne deduce l’importanza delle conseguenze sulla produzione di cibo per il sostentamento di simili masse urbane, un 30% delle quali vive sotto la soglia di povertà (prevedendo una crescita di tale valore fino al 50% entro il 2020, per la quasi totalità nei paesi emergenti)[7]. Non sorprende quindi che un crescente numero di persone cerchino di implementare nei modi più svariati, come insegna la storia dell’orticoltura urbana, la quantità di cibo che possono permettersi di acquistare. [1] T. Deelstra, H. Girardet, Urban Agriculture and Sustainable Cities, p. 43; bit.ly/1fQrFv6 [2] E. P. Odum, Basi di ecologia, Piccin, Padova, 1988, p.67 [3] T. Deelstra, H. Girardet, Urban Agriculture and Sustainable Cities, p. 48; bit.ly/1fQrFv6 [4] R. Ingersoll, B. Fucci e M. Sassatelli (a cura di), Quaderni sul paesaggio2-Agricoltura urbana. Dagli orti spontanei all’Agricivismo per la riqualificazione del paesaggio perturbano, Centro Stampa della Giunta Regione Emilia Romagna, Regione Emilia Romagna, 2007, p. 19; bit.ly/1fQrGPQ [5] M. Douglas, Symbolic order in the use of domestic space, in F. Ucko, F. Tringham, A. Dimbledy (a cura di), Man settlement and urbanism, Duckworth Publishers, London, 1972, p. 28 [6] AAVV, Urban and Periurban Agriculture. Household Food Security and Nutrition, FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), 2000, p. 3 [7] Di queste, 425 saranno sempre nel sud del mondo; L. Mougeot, Growing better cities: urban agriculture for sustainable development, International Development Research Centre, 2006, p. 5
Posted on: Sat, 28 Sep 2013 15:06:49 +0000

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