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@SeRiSo - Blog Update La denominazione: l’orto urbano diviene patrimonio comune - Matteo Baldo ift.tt/17E7pX3 Il secondo livello sul quale la territorializzazione prende forma è quello intellettuale della “denominazione”, ossia dell’attribuzione di nomi ai luoghi. Questo processo da sempre avviene per opera della popolazione che vive il luogo, dell’istituzione che lo controlla o abbandona, ma sempre più per via dei media che lo descrivono, anche se – stiamo ancora parlando di orti urbani – l’alfabetizzazione, negli anni in cui il fenomeno ha preso forma in Italia (anni ’50) non era affatto un elemento da dare per scontato[1]. Appellativi quali “orti operai” o “orti condominiali” descrivevano, e descrivono oggi, un controllo sul territorio che raggiunge anche la sfera simbolica; controllo talvolta ancora più efficace di quello materiale che, nella penombra di aree periferiche o abbandonate, non ha offerto per anni occasioni di contrasto fra competenze formali ed informali. Nei primi anni in cui si ampliò il fenomeno, la territorializzazione si sviluppava dunque attraverso le indagini, l’informazione, i giornali. Negli anni’80 furono anche le ricerche e gli studi di Università e associazioni ad inserirsi con vigore nella dimensione denominativa della territorializzazione, desiderosi di offrire una definizione del fenomeno in atto. Ancora nel territorio italiano e negli stessi anni, questa manifestazione cominciò ad essere studiata anche dai ricercatori di Italia Nostra, a livello nazionale (su un campione di cinque mila persone), per conto del Ministero dell’Agricoltura e Foreste. Un patrimonio comune Le definizioni rimangono solitamente su di un piano didascalico od accademico, ma già semplicemente l’esigenza di definire il fenomeno ed i tentativi effettuati hanno consolidato quella che è divenuta una manifestazione sempre più consapevole e meno spontanea; la pratica ha cominciato lentamente a ricercare una dimensione tanto orizzontale (scambio, informazione di quartiere, “passaparola”) quanto verticale, con la nascita del bisogno di motivarla, giudicarla, legittimarla. La comunità urbana ha lentamente cominciato a leggere i territori in questione (per lo più periferici) come frutto di attività intenzionali legate all’identità di chi li utilizza (la classe operaia), identità che a sua volta si è impressa su quella locale; insomma, il territorio è divenuto patrimonio: una ricchezza sistematica, relazionale e profonda. Tale concetto di territorio è importante perché fornisce, secondo gli studiosi Bagliani e Dansero, la percezione di un comune destino, in funzione di una comune eredità storica[2]. Oggi l’idea di patrimonio è spesso sfruttata in maniera strumentale dalle istituzioni che, facendo leva sul carattere e sull’identità di un’area, oltre che su visioni nostalgiche e regressive, legittimano un impegno a realizzare i loro obiettivi selezionando quella parte del patrimonio comune che definiscono vitale e talvolta distruggendo quella più anacronistica, esteticamente non apprezzata o semplicemente non comprensibile per i decisori e d’intralcio; talvolta sono proprio realtà come quelle degli orti urbani a risultare anacronistiche per il decisore politico. Fortunatamente sono sempre più le grandi città, come Berlino, Marsiglia, Milano, Torino, che rispolverano questo fenomeno storico per trasformarlo in tradizione ed identità locale. [1]R. Sani, Maestri e istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento, Vita e Pensiero, Milano, 2003, p.81-84 [2]M. Bagliani, E. Dansero, Politiche per l’ambiente. Dalla natura al territorio, De Agostini Scuola Spa, Novara, 2011, p.13
Posted on: Mon, 21 Oct 2013 11:58:29 +0000

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