17 luglio 2013 L’ANALISI MEDITERRANEO, L’ITALIA RISCHIA DI - TopicsExpress



          

17 luglio 2013 L’ANALISI MEDITERRANEO, L’ITALIA RISCHIA DI PERDERSI Milano - Nonostante la vicinanza geografica, i Paesi del Nord Africa e quelli che si affacciano sul Golfo Persico valgono per l’Italia appena l’8% del totale delle esportazioni. Nel dettaglio, la quota maggiore (37%) dell’export va verso la Turchia, il 15% in Arabia Saudita, il 14% in Algeria, con il settore meccanico che conta un quarto dell’export totale (9 miliardi di dollari), seguito dal chimico (16%) e al 12% dal tessile (3 miliardi). Se sembra poco, vale la pena ricordare che 8% è la stessa quota delle esportazioni italiane verso i Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina). Numeri che oggi l’Italia deve tutelare, prima ancora che migliorare. Come spiega Ludovic Subran, capo-economista di Euler-Hermes, il maggior assicuratore di crediti commerciali al mondo, che ieri ha anticipato a Milano lo studio dell’International Trade Observatory focalizzato sul Mediterraneo e Medio Oriente, serve uno strumento adeguato per garantire la continuità dell’export italiano verso queste aree, «dove è meno rischioso che operare all’interno dell’Eurozona» almeno a guardare gli indici di insolvenza delle aziende, il prodotto interno lordo e i consumi interni. «Nei Paesi dove la crescita economica è più marcata, come ad esempio la Turchia, il Marocco o gli Emirati - spiega Subran - i ritmi sostenuti del Pil permettono una maggiore sicurezza nella ricerca e nella scelta degli interlocutori. Per esempio, se in un Paese con un Pil al 5%, un’azienda fallisce, al contempo ne nascono altre due. Inoltre, rispetto all’Italia, dove rispetto al picco massimo pre-crisi i consumi sono scesi del 10%, con previsione di perdere un ulteriore 4% a fine 2014, in questi Paesi la classe media è in continua crescita, e con essa l’indice dei consumi. Non solo - aggiunge Subran - nell’area Mediterranea il livello di protezionismo è sicuramente più basso rispetto ai Paesi Bric, penso in particolare alla Cina». Vantaggi che l’Italia potrebbe sfruttare meglio di oggi, se avesse i denti per mordere. Invece, la mancanza di strutture adeguate a garanzia degli investimenti esteri rischia di chiudere rapidamente le porte a prospettive nuove, e come al solito i primi a farne le spese sono i titolari delle piccole e medie imprese. Tutti si stanno muovendo, ricorda Subran: «La Spagna ha deciso l’abbattimento dei salari reali». Una misura drastica, ma che ad esempio garantisce il mantenimento della produzione nel Paese d’origine, esportando il prodotto, non le fabbriche. «La stessa Cina da tempo ha acquisito un know-how che le permette di rispondere alle esigenze del mercato mediterraneo. Senza dimenticare i Paesi africani, che possono fare leva un costo del lavoro molto basso. Ma anche Germania e Francia, che hanno istituito banche pubbliche di investimento: proprio questa soluzione, che funzionerebbe anche da garanzia per gli istituti di credito privati che finanziano i progetti export dei propri clienti, è a parere di Subran la misura più efficace per l’Italia sul medio termine. Uno strumento di questo genere, affiancato da alcuni elementi di forza dell’export italiano, come ad esempio la forte diversificazione settoriale, potrebbe mettere le imprese al riparo dai rischi che oggi si corrono nel Mediterraneo. A partire dall’instabilità politica, fattore diffuso non solo in Paesi come Libia o Egitto, anche in scenari apparentemente più tranquilli, dove i governi si muovono spesso in maniera confusa, ad esempio togliendo o aggiungendo incentivi a un determinato settore - cosa che provoca anche una forte nascita e mortalità delle aziende, con furbetti che creano società ad hoc solo per beneficare di questo o di quell’incentivo. Dunque, pessimi partner per qualunque investitore estero. Dal 2005 ad oggi (fonte: Banca mondiale, Euler-Hermes) la natalità delle imprese è aumentata del 60% in Marocco, oltre il 20% negli Emirati arabi e oltre il 15% in Turchia. Inoltre, il livello delle insolvenze va preso nella giusta considerazione: i tempi di pagamento non sono brevi, specie in Egitto e in Kuwait, dove per regolare la pratica servono in media 4,2 anni (la media Ocse è 1,3) che scendono a 1,8 in Marocco ma che ad esempio in Turchia sono 3,3 con un tasso di recupero - in percentuale su un dollaro - del 23,6% (Egitto: 17,6%). L’Italia ha un livello di export molto diversificato, ma secondo Subran l’ultima, importante carta che il nostro Paese dovrebbe giocare è quella del valore aggiunto in termini tecnologici, sfruttando il fatto che ad oggi molti Paesi dell’area mediterranea non hanno ancora un know-how sviluppato in questo senso. Oggi - ma questo è un problema non solo limitato a quest’area geografica - la tecnologia italiana esportata è di livello medio, mentre proprio come avviene per il cosiddetto “mercato del lusso”, l’Italia dovrebbe puntare per quanto possibile all’alto di gamma. Alberto Quarati [email protected] © riproduzione riservata
Posted on: Sat, 20 Jul 2013 17:28:41 +0000

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