A Torino un workshop dedicato alla "spazzatura spaziale" I - TopicsExpress



          

A Torino un workshop dedicato alla "spazzatura spaziale" I “frammenti spaziali”, o “space debris” che dir si voglia, causati dall’impatto o dall’esplosione di satelliti o di stadi superiori di razzi, sono un problema serio e reale, perché soprattutto su alcune “quote orbitali”, in particolare quella che sta tra i 700 e i 1.100 chilometri dalla Terra, vagano ormai da decenni frammenti di ogni tipo e dimensione. Certo non da causare disastri come quelli del film “spaziale” di Alfonso Cuaròn. Ma se due satelliti dovessero impattarsi tra loro, lo scenario non sarebbe poi così dissimile. Come prevenire il problema? Quali progetti dovranno fare i nostri ingegneri? L’argomento è stato trattato in un workshop a Torino, dove esperti di varie nazioni europee si sono ritrovati al Centro Spaziale “Altec”, che sorge a pochi passi dalla Thales Alenia Space, organizzatrice dell’evento. Il progetto Il titolo del seminario internazionale di Torino è stato “P2rotect”, cioè “Prediction, Protection and Reduction of Orbital Exposure to collision Threats”, cioè “Prevedere, Proteggere e Ridurre il rischio Orbitale di Collisione con Detriti”, che riassume ciò che è in parte è già iniziato e che si vorrà fare nei prossimi anni per far sì che il problema non peggiori. Questo il commento di Roberto Destefanis, del “Dominio Esplorazione e Scienza” di Thales Alenia Space Italia e coordinatore del workshop: «Questo progetto punta a mettere assieme, in programmi software, tutti i dati relativi alla catalogazione e al tracciamento dei frammenti spaziali e mitigarli per ridurne l’effetto. Per mitigare si intende rilevarli e poi intervenire per evitarli, eliminarli, oppure recuperarli con una sorta di “spazza-satelliti” orbitale” e spostarli su altre orbite oppure inviarli alla distruzione in atmosfera». Inoltre precisa Destefanis, che ha lavorato allo sviluppo degli scudi di rivestimento esterno dei moduli per la Stazione Spaziale Internazionale, che «nel 1996 erano poco meno di 8.000 i frammenti spaziali delle dimensioni di almeno 10 centimetri, tra quelli catalogati. Oggi sono circa 17.000 e sono quelli catalogati, cioè il numero ufficiale. Si stima però che, considerando anche i frammenti di interesse strategico e militare, il numero si aggiri attorno ai 22.000. Certo, questi sono i più grandi: dieci centimetri può sembrare una cifra piccola, ma è quella minima. Poi vi sono frammenti giganteschi e satelliti interi, ormai abbandonati, alcuni dei quali pesano diverse tonnellate...». E ancora: «Non è poi calcolabile il numero dei frammenti più piccoli, di qualche centimetro o anche meno sono moltissimi, e da tempo impattano i veicoli spaziali. Lo space shuttle tornava a terra con vari piccoli bozzetti da impatto sui vetri, oppure sulle mattonelle del rivestimento termico. Idem sui pannelli solari sostituiti in orbita, riportati a Terra e monitorati, del Telescopio Hubble. Abbiamo condotto studi preziosi dalla piattaforma scientifica europea “Eureca”, dell’ESA, inviata in orbita e poi riportata a terra con gli shuttle. Grazie a quegli studi, abbiamo potuto realizzare scudi esterni per i moduli della stazione, con un coefficiente di sicurezza da impatto piuttosto buono». Come ridurre il rischio Già da tempo, i nuovi satelliti vengono costruiti con nuovi accorgimenti, probabilmente più costosi, ma utili per far sì che alla fine della loro vita operativa, possano essere tolti dall’orbita in cui hanno compiuto la missione e spinti su una quota non particolarmente intasata da “spazzatura spaziale”, oppure nell’atmosfera terrestre per essere distrutti nell’impatto infuocato con gli strati meno densi dell’atmosfera stessa. Ovviamente quest’ultima soluzione è valida per oggetti di dimensioni contenute al fine di non far ricadere sulla Terra grossi frammenti, anche se i motori possono indirizzare il satellite in un punto preciso. Per esempio, con la stazione russa “Mir”, un complesso pesante 130 tonnellate, l’impatto guidato con propulsori fu un successo e nessun frammento finì in zone abitate. Ma c’è poi lo “spazza-satelliti” o il “clean space” (pulitore spaziale), un progetto sul quale sta puntando molto l’ESA, presente al workshop, che intende avviare in via preliminare alcuni progetti per realizzare dei satelliti “spazzini”. Una sorta di “pulitore delle orbite spaziali”, per tentare di eliminare almeno cinque satelliti all’anno, tra quelli ormai abbandonati. I satelliti infatti, oltre al pericolo dell’impatto tra loro, possono anche esplodere a causa di residui di propellente presenti nei serbatoi. Defantis aggiunge ancora che «vi sono anche i test militari per far esplodere un satellite, come quello condotto dai cinesi nel 2007, ed altri in passato. Oltre agli aspetti tecnici infatti, qui a Torino discutiamo di varie altre problematiche, comprese quelle sulle normative internazionali».
Posted on: Fri, 13 Sep 2013 13:02:59 +0000

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