Accordo uomo-carbone L’Italia che esce dalla Seconda guerra - TopicsExpress



          

Accordo uomo-carbone L’Italia che esce dalla Seconda guerra mondiale versa in una situazione economica e sociale disastrosa. Il Paese è da ricostruire. Molte famiglie sono alla fame. L’inflazione si mangia le poche lire rimaste. La disoccupazione, soprattutto al sud, è altissima. Le fabbriche sono ferme e le campagne non sono in grado di garantire il fabbisogno alimentare. Il governo guidato da Alcide De Gasperi vede nell’emigrazione una via di uscita. “Abbiamo due milioni di disoccupati da assorbire – osservava l’allora ministro degli Affari Esteri Carlo Sforza -, il nostro suolo, con le sue scarse possibilità, non permette di dare lavoro a tutti. Questi dati, spiegano la dolorosa ma assoluta necessità dell’emigrazione”. E’ in questo contesto che il 23 giugno 1946 viene concluso un patto con il Belgio, l’Accordo uomo-carbone. L’Italia aveva tante braccia e poco carbone (necessario per far ripartire l’industria), il Belgio aveva poche braccia (i lavoratori disposti a scendere nelle miniere erano rari) e tanto carbone: l’intesa venne da sé. In cambio di un certo quantitativo di minerale l’Italia si impegnava a inviare 50.000 uomini da utilizzare nel lavoro sottoterra. Non meno di duemila uomini a settimana, centomila alla fine dell’anno. Scrive Paolo Di Stefano nel libro “La catastrofa” (Sellerio), che raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti e dei famigliari delle vittime della tragedia di Marcinelle: “Per ogni scaglione di mille operai italiani che lavoreranno nelle miniere, il Belgio esporterà verso l’Italia: tonn. 2.500 mensili di carbone, se la produzione mensile sarà inferiore a tonn. 1.750.000; tonn. 3.500 mensili se la produzione sarà compresa tra 1.700.000 e 2.000.000 tonn.; 5.000 mensili se la produzione sarà superiore a 2.000.000 tonn.”. Il contratto prevedeva cinque anni di miniera, con l’obbligo di farne almeno uno, pena il carcere. Grazie agli italiani la produzione delle miniere belghe aumentò di 6-7 milioni di tonnellate all’anno. Nel complesso tra il ‘46 e il ‘57 arrivarono in Belgio 140mila uomini, 17mila donne e 29mila bambini. “I musi neri”, com’erano chiamati i lavoratori a causa della polvere di carbone che ricopriva i corpi, venivano avviati a un lavoro pericolosissimo, privi di ogni preparazione e alloggiati in strutture fatiscenti. Firmato l’accordo, nei comuni italiani iniziarono a comparire dei manifesti che informavano della possibilità di espatriare. Ma per quanto riguarda le mansioni da svolgere dicevano molto poco.
Posted on: Thu, 08 Aug 2013 11:50:05 +0000

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