Antonio Giulio Gaetano All’inizio furono le sembianze indefinite - TopicsExpress



          

Antonio Giulio Gaetano All’inizio furono le sembianze indefinite della “voce italiana” nel video dell’esecuzione avvenuta in Iraq di Fabrizio Quattrocchi. Speravamo che fosse un equivoco, invece era un primo segnale di quanto tragici fossero diventati i nostri tempi. Oggi, con la storia di Ibrahim Giuliano Delnevo, il ragazzo genovese convertito all’islam morto in Siria combattendo contro il regime di Bashar el Assad, abbiamo una dimostrazione perfetta di quanto grande sia il peso della autocoscienza dolente dell’occidente, minoranze di questo tipo, rivelano a tutti noi in una allarmante chiarezza. E’ una generazione di occidentali in profonda intimità con la morte. Perché? La loro non è la storia di Patricia Hearst, l’ostaggio dei terroristi che alla fine si arruola tra i suoi rapitori. Non c’è la sindrome di Stoccolma. Sono, invece, i figli perduti dell’occidente. Si ricordi la Rote Armee Fraktion, la banda Baader Meinhof nella Germania d’autunno degli anni Settanta, quando la sinistra parlava di militarizzazione e di regime – quando a militarizzarsi era stata una piccola borghesia colta e occidentalissima che, in nome della lotta di classe voleva, come diceva il poeta Jean Genet, piantare una lancia “nella carne troppo grassa della Germania”. I convertiti all’islam sognano la stessa catarsi, da attuare ora nella promiscua e confortevole multiculturalità drogata di piacere. E’ la prima generazione occidentale che s’immola sull’altare di una pura scelta di apocalisse. Respingono la “rigidità della chiesa cattolica” per abbracciare la forma più austera di islam. Questi convertiti si credono gli eroi e le vittime di una società giudicata “indegna”, “empia”, “apostata”. Come tutti i convertiti all’islam, uniscono la ripugnanza liberal dell’occidente con la ripugnanza conservatrice del permissivismo moderno. L’islam, per questi convertiti, è il punto in cui gli estremi si sono toccati. Ed esplodono. I dubbi e le scelte di un ambiente permissivo trovarono una “soluzione finale” nella certezza assoluta di una fede medievale, atavica, efferata, irresistibile. Le organizzazioni terroristiche apprezzano in particolar modo i convertiti. Perché conoscono la cultura autoctona e ne fanno parte. Perché non possono essere espulsi. Perché possono mascherare la loro affiliazione, bevendo bevande alcoliche e assumendo delle droghe per mantenere la copertura. Una guida raccomandava ai sedicenti attentatori suicidi che si recano in Iraq di “indossare blue jeans, mangiare ciambelle fritte e portarsi sempre dietro il walkman’”. La loro guerra non è uno scontro terreno, il suo compimento coincide con la conflagrazione della fine dei tempi. Lo scontro non è logico, è teologico. Solo una piccola percentuale di convertiti all’islam abbraccia il terrorismo. Ma è vero che il numero sempre crescente di convertiti testimonia un fenomeno unico in occidente, paragonabile alla scristianizzazione che ha sconvolto l’Europa negli anni Sessanta. In Inghilterra sono centomila i convertiti, due terzi donne, il settanta per cento bianchi. Fra i motivi addotti per la conversione, molti citano “la mancanza di moralità” e “il permissivismo sessuale” della società inglese. In una trasmissione della Bbc, Dart viene filmato mentre denuncia la cultura britannica che sta diventando “più omosessuale” con “uomini che si vestono come le donne”. A Créteil, in Francia, c’è la “moschea dei convertiti”, dove ogni anno si celebrano centinaia di adesioni all’islam. Lo scorso ottobre la polizia francese ha arrestato tredici militanti sospettati di terrorismo. Tre erano bianchi convertiti all’islam. Il fenomeno delle conversioni è impressionante, e inizia nel 2001, dopo le Torri gemelle, ha detto alla stampa Bernard Godard del ministero dell’Interno. Quasi sempre la conversione è una reazione al secolarismo. I convertiti si abbeverano a un libro del 1954, “The road to Mecca”, scritto da Muhammad Asad, alias Leopold Weiss. E’ “la storia di un uomo in cerca di avventura e verità”. Ma è molto di più. Leopold Weiss, il primo dei convertiti moderni, nato ebreo con un destino da rabbino, nel 1926 a Berlino scende nella metropolitana affollata di gente, squadra le facce che lo circondano e annota: “Cari miei, non parlo da islamico, ma da occidentale: siete ricchi, stanchi e decadenti, l’islam è più forte di voi”. Questa storia non si è mai spenta come cenere fredda. Leopold frequenta l’Università di Vienna, anni magici di Ludwig Wittgenstein e di Alfred Adler, “gli stimoli delle idee di Sigmund Freud mi intossicarono come un vino potentissimo”. Con alcuni membri del circolo di Vienna, Leopold discute di semantica, positivismo, psicoanalisi, logica linguistica. Nel 1922 una zia di famiglia, Dorian Feigenbaum, pupilla di Freud che gestisce un ospedale psichiatrico, lo invita per un periodo a Gerusalemme. Ma mentre i coloni ebrei chiamano “grano di Dio”, “collina della vita” o “faro di luce” le nuove città, Weiss si procura la fama di simpatizzante della causa araba. Comincia a scrivere corrispondenze per la Frankfurter Zeitung, articoli contro l’yishuv ebraico per perorare la causa araba. In Egitto entra in contatto con Mustafa al Maraghi, futuro rettore dell’Università al Azhar. Spende i due anni successivi fra Siria, Iraq, Kurdistan, Iran, Afghanistan e Asia centrale. A Berlino compie una prima traduzione del Corano. Poi la metropolitana, dove si accende la conversione. Ed ancora annota che “il programma dell’islam è meglio del socialismo, del comunismo, del fascismo e del capitalismo. Deve essere mostrato senza equivoci quali proposte alternative la sharia offra alle nostre vite”. Per tutto questo, in parte è colpa nostra perché: non valorizziamo la nostra religione, la nostra cultura, le nostre tradizioni. E colpa nostra perché non abbiamo più la forza interiore di cambiare, di rinnovarci, di essere noi stessi. E colpa nostra perché nella speranza di vivere nella tranquillità, ci disinteressiamo dei problemi sociali e delle perdite di valori, ammettiamo ed accettiamo tutto in un sincretismo manicomiale dove perdiamo continuamente noi stessi.
Posted on: Sat, 22 Jun 2013 10:22:41 +0000

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