Attentato di via Rasella La via si trova nel pieno centro - TopicsExpress



          

Attentato di via Rasella La via si trova nel pieno centro storico di Roma, nel rione Trevi; congiunge via delle Quattro Fontane (a fianco di palazzo Barberini) con via del Traforo, e prende il nome dalla proprietà che ivi esisteva della famiglia Raselli[1]Lattentato di via Rasella (noto anche come attacco di Via Rasella[2][3][4][5][6]) fu unazione partigiana condotta il 23 marzo 1944 a Roma dai Gruppi di Azione Patriottica contro un reparto delle truppe di occupazione tedesche, il Polizei-Regiment Bozen (reggimento di polizia Bolzano)[7]. Lazione si svolse nellambito della lotta di liberazione nazionale condotta contro il nazifascismo[8] e causò un totale di 42 morti tra i soldati tedeschi, di cui 32 nellimmediatezza e un trentatreesimo nelle ore appena successive. Nellazione persero la vita anche due civili italiani ed almeno altri quattro sotto il fuoco di reazione tedesco[9][10]. Seguì la rappresaglia tedesca consumata con leccidio delle Fosse Ardeatine. Lattentato di via Rasella e leccidio delle fosse Ardeatine sono due degli episodi più drammatici e sanguinosi delloccupazione tedesca di Roma. Con larmistizio dell8 settembre 1943 e la fuga del re e del governo, Roma divenne teatro di una battaglia contro i tedeschi, cui era indispensabile il possesso delle sue strade e dei ponti sul Tevere per arrestare lavanzata alleata incedente da Sud[11]. Nei combattimenti di quei giorni[12] caddero 414 militari e 183 civili italiani[13]. Dopo aver subito alcune perdite, i tedeschi si impadronirono in breve della capitale[14]. Roma passò nominalmente sotto il governo della Repubblica Sociale Italiana, costituito il 23 settembre 1943, ma di fatto era nelle mani delle autorità militari tedesche[15]. Il clima politico e i sentimenti della popolazione si orientarono in direzione antifascista ed antinazista[16]. La città era stretta fra gli attacchi aerei alleati e loccupazione tedesca. Fin dallarmistizio si erano formati gruppi antifascisti armati[17], in particolare quelli di ispirazione troskista (Bandiera Rossa) e militare (Centro X) agli ordini del maggiore Brandimarte e del colonnello Montezemolo. La città inoltre era un crocevia per tutte le principali organizzazioni di spionaggio dei belligeranti[18]. I tedeschi, ben consci del valore politico di Roma, con la presenza del Vaticano, tentarono di far fruttare propagandisticamente la pur solo formale e mai riconosciuta dichiarazione di città aperta[19] emessa da quel governo (Badoglio) che, dallottobre 1943, era in guerra contro di loro. Allo scopo, fu evitata unintensa militarizzazione, facendo passare il grosso dei rifornimenti destinati al fronte ai margini dellUrbe[20], mantenendo allinterno della cerchia cittadina reparti di polizia, polizia militare (Feldgendarmerie) e SS-Polizei (Abt. IV e VI), nonché truppe di comando e servizi. Lo sbarco di Anzio cambiò il quadro tattico; il 22 gennaio 1944, lintera provincia di Roma fu dichiarata zona di operazioni[21] e capo della Gestapo di Roma, gestore dellordine pubblico, divenne lufficiale delle SS Herbert Kappler[22][23]. Kappler pianificò frequenti rastrellamenti, arrestò numerosi sospetti antifascisti, organizzò in Via Tasso un centro di detenzione e tortura, creò nella città un clima di terrore. Le forze di polizia tedesche, italiane e le bande[24], lanciarono in fasi successive una campagna di rastrellamento della città, talora violando le extraterritorialità vaticane in cui avevano trovato ospitalità centinaia di esponenti dellantifascismo ed ebrei. Tali operazioni portarono alla decapitazione delle formazioni partigiane romane, in particolare Bandiera Rossa e il Fronte Militare Clandestino, i cui esponenti[25] furono rinchiusi in diverse prigioni. Dopo tali operazioni, i GAP (formati principalmente da uomini del PCI[26][27][28]) rimasero lunica formazione partigiana ad avere ancora capacità operative a Roma e, continuando la guerra parallela e coordinata con lo sforzo alleato[senza fonte], intensificarono i propri sforzi per attaccare militarmente loccupante[29]. I due comandanti dei GAP centrali, dai quali dipendeva la rete clandestina, Franco Calamandrei detto Cola e Carlo Salinari detto Spartaco, ebbero così un ruolo decisivo nella preparazione dellattacco che si decise di condurre a via Rasella contro un numeroso reparto tedesco. Giorgio Amendola[30] rappresentante del Partito Comunista Italiano presso la giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), dichiarò di aver ideato lazione partigiana[31]. Gli altri membri della giunta, Riccardo Bauer (PdA), Manlio Brosio (PLI), Mario Cevolotto (DL), Sandro Pertini (PSIUP) e Giuseppe Spataro (DC), non furono informati preventivamente del piano, come da consuetudine e per «ragioni di sicurezza cospirativa», secondo quanto dichiarato dallo stesso Amendola. Nel dopoguerra Amendola dichiarò inoltre[31] di aver scelto personalmente il Polizei-Regiment Bozen come obiettivo, avendo notato la quotidiana puntualità del reggimento nel passare per via Rasella di ritorno dalle esercitazioni di addestramento a piazzale Flaminio[32]. Successivamente fu dato ordine al comando dei Gruppi di Azione Patriottica, formazioni partigiane esclusivamente dipendenti dal PCI e con rapporti solo indiretti con il CLN[33], di progettare lattentato nei particolari operativi. Anni dopo ricordò: « Lazione di via Rasella nacque perché sostando parecchie ore in piazza di Spagna, mi accorsi che ogni giorno il plotone tedesco della formazione Bozen passava alla stessa ora, con precisione teutonica. Passava cantando, quasi a sottolineare la sicurezza delle forze doccupazione. Come comandante delle Brigate Garibaldi, decisi che fosse questo plotone lobiettivo di una azione di carattere anche politico. Diedi al comando dei GAP lordine di eseguire lattacco. Non entrai nei particolari per ragioni cospirative: spettava a loro scegliere il giorno e lora. Mi limitai a dare le disposizioni generali e a indicare anche il punto dellesplosione: via Rasella[34]. » Il Bozen fu scelto quindi come obiettivo perché in base alle osservazioni era ritenuto il reparto tedesco più facile da colpire[35]. tedeschi avevano allepoca più volte falsamente affermato che la città fosse indifesa.La data scelta per lattacco, il 23 marzo 1944, fu scelta non casualmente onde farla coincidere con il XXV anniversario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento. Per loccasione i fascisti - sotto la guida del segretario locale del Partito fascista repubblicano Giuseppe Pizzirani - avevano programmato una solenne commemorazione da tenersi presso il Teatro Adriano, in piazza Cavour. Ladunata fu annullata per ordine del comandante militare tedesco della piazza di Roma, il tenente generale della Luftwaffe Kurt Mältzer, timoroso del possibile scoppio di incidenti e deciso ad evitarli. Infatti, in seguito allazione partigiana gappista in Via Tomacelli del 10 marzo, ove fu attaccato un corteo di fascisti, il comando tedesco vietò ai fascisti repubblicani di svolgere manifestazioni pubbliche. Lattacco in via Rasella avrebbe dovuto svolgersi in concomitanza con unaltra azione da compiersi al Teatro Adriano, in occasione della suddetta manifestazione, ma in seguito allo spostamento di questultima al chiuso, presso il Ministero delle Corporazioni in Via Veneto, lazione stessa fu annullata. I fatti[modifica | modifica sorgente]Già nei giorni precedenti il 23 marzo il Comando centrale garibaldino aveva notato il transito di una compagnia tedesca di Ordnungspolizei che, dopo essere entrata da Porta del Popolo provenendo dal Flaminio, imboccava via del Babuino dirigendosi verso via del Tritone. Qui, costeggiando limbocco del traforo, allepoca occupato dagli sfollati, entrava in via Rasella e, proseguendo, giungeva al Viminale (già sede del Ministero dellInterno, dal dicembre del 1943 trasferito a Salò) dove era acquartierata. Per alcuni giorni furono studiati gli spostamenti di questi soldati, che percorrevano in tenuta di guerra le strade di Roma cantando, preceduti e seguiti da pattuglie motorizzate munite di mitragliatrice pesante. Si trattava della 11ª compagnia del III Battaglione del Polizei-Regiment Bozen, composta da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, altoatesini arruolati nella polizia in seguito alloccupazione tedesca dopo il 1º ottobre 1943 delle province di Bolzano, Trento e Belluno (riunite nel cosiddetto Alpenvorland, sul quale la sovranità della RSI era nominale)[36]. In seguito ai diversi appostamenti, si appurò che tale compagnia percorreva quotidianamente lo stesso tratto di strada alla stessa ora (verso le due del pomeriggio) e che il punto migliore per attaccarla sarebbe stata appunto via Rasella, una strada in salita poco frequentata, scelta, oltre che per creare un imbottigliamento alla compagnia, anche per la scarsa presenza di botteghe e portoni, che portava ad uno scarso transito di civili. Per lesecuzione dellattacco furono impiegati i GAP centrali che già dal periodo successivo all8 settembre 1943 avevano compiuto numerose azioni di guerriglia urbana nella zona del centro storico. I partigiani che avrebbero partecipato allazione sarebbero stati numerosi: uno di essi, travestito da spazzino, al segnale convenuto avrebbe dovuto innescare un ordigno nascosto allinterno di un carrettino della nettezza urbana, mentre gli altri, ad esplosione avvenuta, avrebbero dovuto attaccare con pistole e bombe a mano la compagnia. Il compito di far brillare lesplosivo fu affidato al partigiano Rosario Bentivegna (Paolo), studente in medicina, il quale il 23 marzo travestito da spazzino partì dal deposito gappista nei pressi del Colosseo verso via Rasella, con il carretto contenente lordigno. Dopo essersi appostato ed aver atteso circa due ore in più, rispetto alla consueta ora di transito della compagnia nella via, alle 15:52 accese con il fornello di una pipa la miccia, preparata per innescare lesplosione dopo circa 50 secondi, tempo necessario ai tedeschi per percorrere il tratto di strada compreso tra il punto a valle usato per la segnalazione ed il carretto, posizionato in alto davanti a Palazzo Tittoni. Subito dopo lesplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini laltra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei detto Cola e Carlo Salinari detto Spartaco, lanciarono bombe a mano e fecero fuoco sui sopravvissuti allesplosione. Il Salinari ha in seguito testimoniato che i partigiani erano così disposti: Bentivegna accanto al carretto, Carla Capponi (che aveva un impermeabile nascosto, da mettere addosso allo stesso Bentivegna per coprirne la divisa da spazzino, ed una pistola sotto i vestiti), in cima alla via; Fernando Vitagliano, Francesco Curreli, Raul Falcioni, Guglielmo Blasi ed altri, vicino al Traforo; nei pressi Silvio Serra; allangolo di via del Boccaccio si trovava Franco Calamandrei. Alcuni altri gappisti erano sistemati per coprirne la fuga[37]. Calamandrei si tolse il copricapo (segnale per avvisare Bentivegna che i tedeschi si stavano avvicinando e che quindi doveva accendere la miccia ed allontanarsi velocemente). Immediatamente dopo lesplosione, gli altri partigiani raggiunsero Calamandrei per eseguire il lancio delle bombe a mano e colpire i militari con colpi di pistola[38]. Leffetto fu dirompente, in quanto i militari del Bozen avevano tutti cinque o sei bombe attaccate alla cintola, che esplosero causando una reazione a catena[39]. Nellimmediatezza dellevento rimasero uccisi 32 militari tedeschi e 110 rimasero feriti, oltre a 2 vittime civili. Dei feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. Nei giorni seguenti sarebbero deceduti altri militari feriti, portando così a 42 il totale dei caduti, almeno secondo la relazione di un consulente tecnico di parte, acquisita dalla I Sezione penale della Corte di Cassazione, agli atti della sentenza n. 1560/99[40]. Non sono note le generalità delle vittime germaniche eccedenti il numero dei primi 33 deceduti. Almeno altri quattro italiani sono rimasti uccisi sotto il fuoco tedesco nelle sparatorie successive allattacco[9][10]. I membri del Polizeiregiment Bozen (Reggimento di polizia Bolzano, dal 16 aprile 1944 SS-Polizeiregiment Bozen[41]) vennero reclutati, allinizio delloccupazione tedesca dellAlto Adige fra gli optanti, salvo poi il successivo (dal gennaio 44) ricorso alla coscrizione[42][43]. Il Bozen era costituito da soldati addestrati[44] e viene descritto da Giorgio Amendola, organizzatore dellattacco, come un battaglione di gendarmeria che transitava in Via Rasella in pieno assetto da guerra[45]. Allindomani dellattentato superstiti del reparto rifiutarono di compiere la rappresaglia, che sarebbe loro toccata per tradizione.[44] Le caratteristiche del Bozen rappresentano uno dei vari aspetti controversi dellattentato di via Rasella: per questo motivo, nellambito delle decennali polemiche sullargomento, sono state tratteggiate descrizioni del reggimento tra loro notevolmente difformi, in cui la capacità offensiva e il grado di adesione al nazismo dei suoi uomini sono enfatizzati[46] o al contrario minimizzati[47], rispettivamente per affermare o negare la legittimità morale e lefficacia militare dellazione partigiana. Altri soldati morirono successivamente per le ferite riportate.[9] Kappler, negli atti del processo a suo carico, indica un totale di 42 caduti, cifra però non suffragata da documenti.[49] Lo stesso numero viene però confermato nelle memorie del generale Siegfried Westphal, allepoca dei fatti capo di stato maggiore presso il comando del fonte sud-ovest.[50] Civili (italiani) caduti nellimmediatezza dellazione : 1.Zuccheretti Pietro - anni 13 2.Non identificato forse Chiaretti Antonio - anni 48[9] Civili (italiani) caduti sotto il fuoco tedesco successivamente allazione[modifica | modifica sorgente]1.Baglioni Annetta - anni 66 2.Chiaretti Antonio - anni 48 (da alcune fonti ritenuto il non identificato di cui sopra)[9][10] 3.Di Marco Pasquale - anni 34 anni 4.Rossetti Erminio, autista del questore Pietro Caruso, giunto sul posto ed ucciso perché scambiato per partigiano[9]. Immediatamente dopo la cessazione dei combattimenti in via Rasella, i superstiti del Bozen - coadiuvati da altre forze tedesche e fasciste affluite sul posto - iniziarono a rastrellare la popolazione della zona circostante, arrestando abitanti e passanti; i rastrellati furono allineati sotto la minaccia delle armi contro la cancellata di accesso a Palazzo Barberini e quindi condotti in parte presso lintendenza della PAI, in parte presso il palazzo del Viminale[51]. In particolare, nelle cantine del Viminale furono ammassate circa 300 persone e trattenute per accertamenti sino alla mattina successiva; dieci di questo gruppo furono poi uccisi alle Fosse Ardeatine[52]. Allinterno della sentenza di condanna del 20 luglio 1948, emessa contro Herbert Kappler e altri coimputati per la strage delle Fosse Ardeatine, il Tribunale Territoriale Militare di Roma negava la qualifica di legittima azione di guerra dellattentato di Via Rasella, in quanto non commesso da legittimi belligeranti[53]. I partigiani autori dellattentato non avrebbero infatti rispettato tutti i requisiti previsti dalla Convenzione dellAja del 18 ottobre 1907 per il riconoscimento della qualifica di legittimi belligeranti anche ai civili organizzati in corpi di volontari, ossia essere comandati da una persona responsabile per i propri subordinati, indossare un segno di riconoscimento fisso riconoscibile a distanza, portare le armi apertamente e condurre le operazioni secondo le leggi ed i costumi di guerra[54]. La mancanza di tali requisiti veniva confermata il 25 ottobre 1952 anche dal Tribunale Supremo Militare, allinterno della sentenza di rigetto del ricorso presentato da Kappler contro la condanna[55]. Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con sentenza n.36 del 19 dicembre 1953, ribadendo la sentenza del 1952 del Tribunale Supremo Militare di Roma, dichiararono inammissibile il ricorso di Kappler avverso alla sentenza, anche perché lo stesso Kappler fece arrivare comunicazione di rinuncia al ricorso[56] Il Tribunale Supremo Militare di Roma con sentenza in data 25 ottobre 1960 respinse il ricorso presentato da Kappler affinché le 15 uccisioni in più delle Fosse Ardeatine fossero considerate reato almeno in parte politico, al fine di poter rientrare nei termini dellamnistia[57]. Con lordinanza del 16 aprile 1998, il giudice per le indagini preliminari di Roma disponeva larchiviazione del procedimento penale a carico di Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo, iniziato a seguito di una denuncia presentata da alcuni parenti delle vittime civili dellattacco. Il Giudice escludeva la qualificazione dellatto come legittima azione di guerra, ravvisando tutti gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di strage, altresì rilevando tuttavia lestinzione del reato a seguito dellamnistia prevista dal decreto 5 aprile 1944 per tutti i reati commessi per motivi di guerra. Decidendo con sentenza n.1560/99[58] sul ricorso presentato da Bentivegna, Balsamo e Capponi, la prima sezione penale della Corte di Cassazione annullava la precedente ordinanza, affermando per la prima volta in sede penale la natura di legittimo atto di guerra dellattacco di Via Rasella sulla base di due motivazioni. La prima si basava semplicemente sulla erronea lettura di una precedente sentenza[59]. La seconda motivazione, indipendente dalla prima, faceva riferimento al decreto legislativo luogotenenziale n. 194 del 1945, successivo allamnistia, che ha escluso la natura di reato, inserendola tra gli atti di guerra ad ogni «operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo delloccupazione fascista. La legittimità dellazione, per la Suprema Corte, deve essere pertanto valutata nel suo complesso, senza che sia possibile scinderne le conseguenze a carico dei militari tedeschi che ne costituivano lobiettivo da quelle coinvolgenti i civili che ne rimasero vittima, in rapporto alla sua natura di azione di guerra». Il 7 agosto 2007 la Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento inflitta dalla Corte dappello di Milano al quotidiano Il Giornale per diffamazione ai danni di Rosario Bentivegna[60][61]. La Corte, partendo dalla qualificazione dellattacco come legittimo atto di guerra rivolto a colpire esclusivamente i militari occupanti, ha ritenuto che alcune affermazioni contenute in articoli pubblicati dal quotidiano milanese nel 1996, per i Supremi Giudici tendenti a parificare le responsabilità degli esecutori dellattacco di Via Rasella e dei comandi nazisti nella causazione della strage delle Fosse Ardeatine, erano gravemente lesive dellonorabilità personale e politica del Bentivegna. Le affermazioni del Giornale furono: che il Battaglione Bozen fosse costituito interamente da cittadini italiani, mentre per la Cassazione facendo parte dellesercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica. che i componenti del Bozen fossero «vecchi militari disarmati», mentre per la Cassazione essi erano «soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e machine­pistolen». che le vittime civili fossero sette, mentre per la Cassazione nessuno mette più in discussione che furono due. che dopo lattacco erano stati affissi manifesti in cui si intimava ai responsabili dellattacco di consegnarsi per evitare una rappresaglia ma, per la Corte lasserzione trova puntuale smentita nel fatto che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine era iniziata circa 21 ore dopo lattacco, e soprattutto nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si tenesse nascosta la notizia di Via Rasella, che venne effettivamente data a rappresaglia già avvenuta[62]. Il 22 luglio 2009 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Elena Bentivegna (figlia di Carla Capponi e Rosario Bentivegna) contro il quotidiano Il Tempo che aveva pubblicato un articolo dove gli autori dellattacco di via Rasella venivano definiti massacratori di civili. La sentenza ha stabilito che lepiteto utilizzato è lesivo della dignità dei partigiani e per questo diffamatorio, in quanto quello di via Rasella fu legittimo atto di guerra contro il nemico occupante.[63] Controversie[modifica | modifica sorgente]In sede processuale la Corte di Cassazione ha definito la strage di via Rasella come un legittimo atto di guerra, affermando anche che è lesiva dellonorabilità politica e personale di Rosario Bentivegna la non rispondenza a verità di circostanze non marginali come lulteriore parificazione tra partigiani e nazisti con riferimento allattentato di via Rasella e lassimilazione tra Erich Priebke e Bentivegna. Le controversie storiche e politiche sulla legittimità morale dellattacco, sulle sue finalità e sulle sue modalità desecuzione continuano a protrarsi nel tempo, ritrovando vigore ogni qual volta largomento venga portato alla ribalta dalla pubblicazione di nuovi studi o dal dibattito politico, rendendolo uno degli eventi più discussi della Resistenza italiana[64][65]. La rappresaglia evitabile . Alcuni hanno sostenuto che la rappresaglia si sarebbe potuta evitare[66]. Lo storico Paolo Simoncelli ha riportato in un suo articolo la testimonianza del medico Vittorio Claudi (m. 2006) che avrebbe visto un manifesto in Piazza Verdi (Roma) nel quale vi sarebbe stata una richiesta di consegna da parte del comando tedesco[67] prima di effettuare il massacro. Tuttavia i tedeschi non attesero le canoniche 24 ore prima di dare inizio al massacro[68]. Lo storico Roberto Roggero, in Oneri e onori, fa peraltro notare come «nulla garantisce che se gli autori dellattentato si fossero presentati allautorità tedesca, la rappresaglia non sarebbe comunque stata messa in atto»[69]. Mentre, ad esempio, la rappresaglia è stata evitata nel caso di Salvo DAcquisto, che pur innocente si era accusato responsabile della morte di alcuni soldati tedeschi; in un altro caso, quello di Vincenzo Giudice, nonostante egli si fosse consegnato, la rappresaglia era stata effettuata causando la morte di 71 persone, fra le quali molti bambini. Tali questioni si posero fin dal processo per le Fosse Ardeatine a carico del tenente colonnello Kappler presso il Tribunale Militare di Roma, il 20 luglio 1948. Kappler, in tale occasione, dichiarò che «se i responsabili si fossero presentati entro 24 ore dallaccaduto, la rappresaglia sarebbe stata evitata». Rosario Bentivegna, presente in aula in qualità di testimone, fu contestato da alcuni famigliari dei fucilati delle Fosse Ardeatine, i quali lo accusarono di non aver evitato la rappresaglia consegnandosi ai tedeschi. Bentivegna si difese immediatamente affermando che i tedeschi non richiesero la consegna degli autori dellattacco, e che non era certo che la sua consegna avrebbe evitato la rappresaglia»[69]. In precedenza, tuttavia, il feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring, in data 15 novembre 1946, sentito come testimone al processo contro i generali Mackensen e Mältzer, a domanda rispose: « Ma voi avreste potuto dire: Se la popolazione romana non consegnerà entro un dato termine il responsabile dellattentato io fucilerò dieci romani per ogni tedesco ucciso? Kesselring: Ora in tempi tranquilli, dopo tre anni passati, devo dire che lidea sarebbe stata molto buona. Ma non lo faceste. Kesselring: No, non lo feci[70]. » La sentenza della Cassazione del 2007 ha confermato il fatto che nessuna richiesta di consegna degli autori dellattacco per evitare la rappresaglia fosse stata affissa dalle autorità di occupazione. Un manifesto che dimostra lavvenuta rappresaglia al momento in cui uscì la stampa che intimava ai responsabili la propria consegna per evitarla, è conservato nel Museo storico della Liberazione di via Tasso a Roma. Lattacco inutile o controproducente . Secondo questa tesi, i 156 uomini della 11ª compagnia del 3º Battaglione Bozen al comando del maggiore Hellmuth Dobbrick non erano nulla più che un reparto di polizia[71] (ancorché dipendente dalle SS) formato da riservisti altoatesini che avevano optato per la cittadinanza tedesca, impiegato a Roma con compiti di semplice vigilanza urbana[72], in quel momento impegnato in periodo addestrativo[73]. Pertanto il risultato dellattacco sarebbe stato militarmente inutile[74]. Tuttavia ai sensi del Codice penale militare di guerra italiano in vigore dal 1 ottobre 1941 le forze di polizia rientravano nella qualifica di militari[75] e di conseguenza analoghi reparti di paesi nemici occupanti militarmente il territorio nazionale erano anche essi da considerare formazioni militari e, in quanto tali, obiettivi legittimi di unazione militare[la norma include solo due specifiche forze di polizia (MVSN e PAI), non tutte le forze di polizia in generale]. Viene anche sottolineato dai critici come nellattentato furono coinvolti anche civili italiani: lesplosione non uccise solo trentatré militari tedeschi, ma anche due civili italiani (di cui un ragazzino di 13 anni), ferendone anche altri quattro (secondo altre fonti le vittime furono 7, o addirittura 10. La Cassazione tuttavia ha stabilito il numero in due[76].). Tuttavia ai famigliari dei due civili morti nellattacco non è mai stato riconosciuto alcun risarcimento dalla magistratura italiana, in quanto lattacco è stato successivamente catalogato come legittimo atto di guerra. Secondo altri, lattacco pregiudicò la Resistenza romana e Roma stessa[senza fonte]: ben lungi dal migliorare le condizioni della popolazione romana, lattacco inferocì tedeschi e fascisti che, per questo, avrebbero accresciuto la repressione sulla Resistenza e sui civili. La questione fu riaperta nel giugno del 1980, quando Marco Pannella affermò pubblicamente che, secondo le informazioni da lui raccolte, «gran parte dei quadri antifascisti e anche comunisti non direttamente organizzati dal PCI e lo stesso comando ufficiale della resistenza romana erano contrari allipotesi dellazione terroristica» e sempre Pannella definì via Rasella come «un atto di terrorismo» paragonandolo ad unazione delle Brigate Rosse[77]. Ne nacque una feroce querelle con Giorgio Amendola e Antonello Trombadori, che era stato il fondatore e il comandante generale dei GAP romani, anche se, al momento dellazione, si trovava recluso a Regina Coeli. I protagonisti finirono in tribunale e la polemica durò a lungo. Lagente segreto statunitense Peter Tompkins, operante in Roma al momento dellattentato, di cui venne a conoscenza soltanto dopo la sua esecuzione, pur essendo in contatto con i capi della Resistenza romana (Amendola, Giuliano Vassalli, Riccardo Bauer), così si esprime nel libro autobiografico Una spia a Roma: «La prima cosa che pensammo fu che non cera nessuna utilità nelluccisione di trenta poliziotti militari tedeschi. Perché piuttosto non avevano rischiato la pelle in un assalto a via Tasso? perché non avevano scelto come bersaglio Kappler e la sua banda di macellai? Chissà quale sarebbe stata adesso la reazione dei tedeschi: di certo non era un buon auspicio per il movimento clandestino della città. Quello che ci rattristò di più fu lottima esecuzione e la precisione dellattacco, la cui organizzazione appariva vicina alla perfezione!»[78]. Nel 2012, in occasione della morte di Rosario Bentivegna, lo storico Alessandro Portelli, autore del saggio sulle Fosse Ardeatine Lordine è stato eseguito, ha detto sullattentato di Via Rasella: «fu la più grande vittoria militare della Resistenza».[79] La rappresaglia cercata . Unaltra tesi sostenuta in sede revisionista è quella della rappresaglia cercata[80]. È noto infatti che i tedeschi non avessero mai proceduto a rappresaglie di massa a Roma, pur procedendo ad una violenta repressione ed a molte condanne a morte, sebbene secondo alcuni autori[81] fosse altrettanto noto quale fosse il loro modus operandi solito (il famigerato dieci a uno[82]). Nella situazione di complessiva apatia della maggior parte della popolazione di Roma nei confronti dei tedeschi e dei fascisti repubblicani, il comando dei GAP avrebbe deciso di intraprendere unoperazione di impatto talmente grave da scuotere lintera città, per farla sollevare contro le forze dellAsse, alla luce del fallimento della controffensiva tedesca contro la testa di Ponte Alleata ad Anzio, contando su una rapida avanzata angloamericana su Roma[83]. Chi contesta questa tesi fa rilevare che i gappisti non erano necessariamente a conoscenza della politica tedesca del dieci contro uno[84], oppure confidavano nel fatto che i germanici avrebbero continuato a sopportare gli attacchi senza procedere a sanguinose rappresaglie contro innocenti[85], preoccupati comerano di mantenere buoni rapporti con il Vaticano. La tesi complottista . Una tesi di matrice complottista invece - sostenuta da Pierangelo Maurizio[86], dallex combattente della Repubblica Sociale Italiana e parlamentare del Movimento Sociale Italiano Giorgio Pisanò, ed altri autori[87] - è che, ben conoscendo le modalità con cui i nazisti selezionavano i fucilandi per le rappresaglie, il PCI avrebbe fatto arrestare progressivamente la maggior parte degli esponenti delle reti clandestine non comuniste o dissidenti[88] attraverso una ben orchestrata campagna di delazioni e quindi abbia proceduto allattacco perché costoro finissero fucilati per rappresaglia[89]. Anche latroce fine toccata al direttore di Regina Coeli, Donato Carretta, linciato brutalmente durante il processo a Pietro Caruso, sarebbe servita - per i sostenitori di questa tesi - a tappare la bocca alluomo che conosceva il segreto della compilazione delle liste dei fucilandi: assieme alluomo, infatti, sarebbero spariti i documenti del carcere di Regina Coeli, bruciati dalla folla (abilmente guidata, secondo i sostenitori di tale tesi). Inoltre dalle liste sarebbero stati espunti pressoché tutti i pochi comunisti in carcere, normalmente con la scusa dello stato di salute (le convenzioni vietano infatti di giustiziare infermi o malati). Un criterio che tuttavia non sarebbe stato applicato nel caso - un esempio fra molti - del colonnello Montezemolo, fucilato nonostante fosse gravemente sofferente ed invalido per le torture subite a via Tasso[90]. Nessuna di queste argomentazioni risulta, tuttavia, documentata; in particolare: Non risulta che il PCI clandestino conoscesse le modalità con cui i nazisti selezionavano i fucilandi per le rappresaglie che, peraltro, nel caso di specie, sono stati scelti[91]: 154 persone a disposizione dellAussenkommando, sotto inchiesta di polizia; 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco; 16 persone già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni; 75 appartenenti alla comunità ebraica romana; 40 persone a disposizione della Questura romana fermate per motivi politici; 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza, 10 arrestate nei pressi di via Rasella; una persona già assolta dal Tribunale militare tedesco, oltre a tre, tuttora non identificate. Non vi sono documenti attestanti che sia stata orchestrata una campagna di delazioni, da parte del PCI, perché fossero progressivamente arrestati la maggior parte degli esponenti delle reti clandestine non comuniste o dissidenti. Non vi sono documenti che attestino che la folla inferocita che procurò la morte di Donato Carretta, a latere del processo Caruso sia stata abilmente pilotata e per quali fini. Non è esatto che i partigiani aderenti al PCI non siano stati trucidati alle Fosse Ardeatine: nellelenco dei caduti riportato in Roma Ribelle, di Marisa Musu ed Ennio Polito ne risultano 28, compresi i gappisti Gioacchino Gesmundo, Valerio Fiorentini e Umberto Scattoni[92]. Anche Gesmundo, come Montezemolo, fu orribilmente torturato durante la prigionia. Il comandante dei G.A.P. Antonello Trombadori, recluso a Regina Coeli, si salvò dalleccidio grazie allazione del medico socialista Alfredo Monaco[93]. Si fa infine presente che, il 27 giugno 1997, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Maurizio Pacioni, ha ritenuto del tutto insostenibile laccusa di Roberto Guzzo nei confronti di Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Roberto Balsamo, secondo cui lazione di Via Rasella non sia stata diretta contro i tedeschi ma contro altri gruppi della Resistenza[94]. Bibliografia : Lorenzo Baratter, DallAlpenvorland a Via Rasella, Trento, Publilux, 2003. Lorenzo Baratter, Le Dolomiti del Terzo Reich, Milano, Mursia, 2005. ISBN 88-425-3463-3. Rosario Bentivegna, Cesare De Simone. Operazione via Rasella. Verità e menzogna: i protagonisti raccontano. Roma, Editori Riuniti, 1996. ISBN 88-359-4171-7. Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella. Mursia, 2004. ISBN 978-88-425-3218-7. Rosario Bentivegna, Via Rasella. La storia mistificata. Carteggio con Bruno Vespa. Roma, Manifestolibri, 2006. ISBN 978-88-7285-447-1. Alberto Benzoni; Elisa Benzoni, Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella, Venezia, Marsilio, 1999. ISBN 88-317-7169-8. Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna vol. X, Milano, Feltrinelli, 1986, pp. 269-273.. ISBN 88-07-80805-6. URL consultato il 2-9-2009. Carla Capponi, Con cuore di donna, Milano, Il Saggiatore, 2000. Amedeo Osti Guerrazzi, Caino a Roma. I complici romani della Shoah. Cooper, 2004 Goetz, H. (1983). Das Attentat in Rom und die Fosse Ardeatine (1944). Innsbrucker Historische Studien 6 (1983): pagg. 161-178. Robert Katz, Roma Città Aperta - settembre 1943 - giugno 1944, Milano, Il Saggiatore, 2003, p. 240. ISBN 88-428-1122-X. Robert Katz, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine. Net/Il Saggiatore, 2004. ISBN 978-88-515-2153-0. Albert Kesselring, Soldato fino all’ultimo giorno. Gorizia, LEG, 2007 Aurelio Lepre, Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza a Roma, Bari, Laterza, 1996. ISBN 88-420-5026-1. Sandro Pertini; Gianni Bisiach, Pertini racconta, Milano, Mondadori, 1983. Giorgio Pisanò, Storia della Guerra civile in Italia. CED, 1967 Alessandro Portelli, Lordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli Editore, 1999. ISBN 88-7989-457-9. URL consultato il 21-3-2009. (DE) Steffen Prauser, Mord in Rom? Der Anschlag in der Via Rasella und die deutsche Vergeltung in den Fosse Ardeatine im März 1944, in «Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», 50, 2002, pp. 269–302. Bruno Spampanato, Contromemoriale. CEN, 1974 Peter Tompkins, Laltra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista. Il Saggiatore, 2005 (DE) Joachim Staron, Fosse Ardeatine und Marzabotto: Deutsche Kriegsverbrechen und Resistenza, Paderborn, Verlag Ferdinand Schöning, 2002, p. 392. ISBN 3-506-77522-7. Gerald Steinacher, Roma, Marzo 1944: il Polizeiregiment Bozen e l’attentato di Via Rasella, in: Carlo Romeo, Piero Agostini (a cura di), Trentino e Alto Adige, Province del Reich, Trento 2002, pag. 283-288. Renato Venditti, La cricca. Vita di famiglia nella dittatura, Roma, Nutrimenti 2008 ISBN 978-88-95842-14-1. (DE) Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik in Norditalien 1943 bis 1945.: Die Operationszonen Alpenvorland und Adriatisches Küstenland., Oldenbourg Verlag, 2003, p. 523. 3486566504, 9783486566505. Filmografia[modifica | modifica sorgente]Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella) (1962), diretto da Filippo Walter Ratti, con Gino Cervi, Andrea Checchi, Sergio Fantoni, Ivo Garrani. Rappresaglia (1973), diretto da George Pan Cosmatos, prodotto da Carlo Ponti, con Marcello Mastroianni, Richard Burton, Renzo Montagnani, Delia Boccardo. Tratto da Morte a Roma di Robert Katz, il quale ha collaborato alla sceneggiatura. La buona battaglia - Don Pietro Pappagallo (2006), miniserie televisiva di Gianfranco Albano, con Flavio Insinna. Opere teatrali : Ascanio Celestini, Radio Clandestina. Memoria delle Fosse ardeatine. Roma, Donzelli Editore, 2005 (testo e DVD; con unintroduzione di Alessandro Portelli). ISBN 978-88-7989-920-8. fonte wikipedia
Posted on: Wed, 20 Nov 2013 19:23:18 +0000

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