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Aurora Home Libri Articoli Commenti Imperialismo Geopolitica Covert Operation Eurasia Difesa Storia Tecnologia Bolivarismo Varie Gli USA e l’imbroglio egiziano agosto 4, 2013 Lascia un commento Dedefensa 29/07/2013 abdel-fattah-al-sisi-der-mann-der-aegyptens-praesident-stuertzte-126848457Dalla caduta di Mursi, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell’Egitto è un capolavoro di incertezza, capriole e vaghezza in definitiva inefficaci. (In precedenza, tutto ciò non era migliore, ma veniva nascosto, anche l’inefficienza.) Dopo tutto, questa “politica” si abbina perfettamente con il carattere e la posizione generale di Obama, così come ai diversi atteggiamenti a tal proposito che si trovano presso al dirigenza di Washington. Il risultato, in una situazione di scontro in Egitto, quasi di guerra civile, è un modo interessante di sviluppare un antiamericanismo destinato a crescere. Dopo aver girato attorno alla nozione semantica di “colpo di Stato” nel descrivere l’intervento militare (colpo di Stato, nessun colpo di Stato o acquisizione temporanea del legittimo potere, ecc.), lo svilupparsi dell’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del “potere” in Egitto è irregolare e originale allo stesso tempo. Ciò non ha aumentato la popolarità della politica degli Stati Uniti nella regione, facendo infuriare sempre più i diversi tradizionali alleati degli Stati Uniti, da Israele all’Arabia Saudita, all’Egitto stesso naturalmente. I recenti avvenimenti in Egitto, la scorsa settimana, sfociati in sanguinosi scontri tra le forze armate e i sostenitori di Mursi, intervallati dall’espressione generale di sostegno ai militari scatenata dallo stesso generale al-Sisi, si dimostrano drammatici e molto dannosi per i degradati legami con gli USA e le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Egitto. • Il primo caso (24 luglio) fu l’annuncio della restrizione alla consegna di F-16 statunitensi all’Egitto, pari alla riduzione de facto degli aiuti militari degli Stati Uniti di quest’anno, dato che queste strutture sono finanziate dall’aiuto annuale degli USA (di 1,2-1,6 miliardi dollari nel corso degli anni). Sappiamo che questo aiuto è una doppia sfida: deve essere eliminato automaticamente, in base a una legge del 1982, nel caso ci sia un colpo di Stato contro un governo democratico, il che spiega le profezie semantiche intorno alla nozione di “colpo di Stato”, perché Washington non vuole rompere i legami che ne garantiscono la supremazia strategica sull’Egitto. In secondo luogo e viceversa, l’esistenza degli aiuti, insieme alla minaccia di tagliarli, è soggetta ai vari avvertimenti di Washington nel fare pressione sui militari, soprattutto a non esercitare una repressione troppo dura, o troppo visibile diciamo, contro i sostenitori di Mursi. Ma l’esercito vuole colpire duro, perché questa è la “strategia” e perché è preoccupato dall’organizzazione dei Fratelli musulmani (MB) che controlla zone o aree che potrebbero fungere da basi dell’opposizione con una guerra civile. DEBKAfiles del 25 luglio 2013 riferisce alcuni importanti elementi di questo caso. “Sfidando gli avvisi di Washington sulla guerra civile, il ministro della Difesa egiziano Gen. Abdel Fattah al-Sisi, non indietreggia dalla volontà di risolvere rapidamente il giro di vite, anche con la forza militare, contro i manifestanti armati che sparano nelle piazze e generano caos, contro i terroristi salafiti nel Sinai assieme alla rivolta dei Fratelli musulmani e dei loro collaborazionisti palestinesi di Hamas della Striscia di Gaza. Questo è riportato dalle fonti di DEBKAfile di Cairo. Quando l’amministrazione Obama ha avvertito il Gen. al-Sisi che le sue attività potrebbero generare lo spargimento di sangue che porterebbe alla guerra civile, il capo militare egiziano ha risposto che l’inazione è la via più pericolosa, perché il terrorismo e le sparatorie nelle manifestazioni di protesta devono essere controllati immediatamente, prima che degenerino in guerra civile. Non essendo riuscito a convincere il ministro della Difesa egiziano ad adottare la sua visione, Washington ha annunciato la sospensione della fornitura all’aeronautica militare egiziano di quattro aerei da combattimento F-16 statunitensi, in segno di disappunto dell’amministrazione verso l’approccio del leader militare. Ma non ha mostrato segni di voler abbandonare il suo piano…“ • Nelle grandi manifestazioni del 26 luglio, DEBKAfiles ha anche segnalato (27 luglio 2013) che alcuni aspetti della manifestazione a sostegno dei militari comprendevano un “messaggio” diretto agli Stati Uniti. Questo messaggio è stato rafforzato da indiscrezioni, supportate su alcune reti sociali, secondo cui l’Egitto potrebbe decadere da principale alleato degli Stati Uniti, e volgersi a Mosca precisamente, senza confermare che la Russia avrebbe preso in considerazione la possibilità di vendere aerei da combattimento all’Egitto per sostituire gli F-16 non consegnati (solo quattro finora, ma con il presupposto che il provvedimento potrebbe essere esteso). Troviamo qui l’Egitto adottare il gioco del bilanciamento di Nasser tra USA e URSS, negli anni ’50 in particolare. “Invece di dirigere la loro rabbia sui Fratelli musulmani rovesciati, i manifestanti pro-militari hanno gridato “Bye Bye America”, sventolando enormi striscioni sopra le loro teste raffigurando il trio Gen. al-Sisi, Vladimir Putin e Gemal Abdel Nasser, che governò l’Egitto negli anni ’60 in stretta alleanza con l’Unione Sovietica [...] Gli striscioni anti-americani rappresentato un messaggio: non importa se il presidente Obama nega al popolo egiziano gli aiuti degli USA per via delle operazioni dei militari contro i Fratelli musulmani, Cairo ha un’opzione con Mosca. Dei rapporti apparsi venerdì mattina su Facebook, anche da fonti vicine a Putin, indicavano che Mosca valuta la fornitura all’Egitto di cacciabombardieri avanzati per sostituire gli F-16, la cui consegna Obama ha sospeso il 24 luglio. Questo è il gesto che mostra il disappunto del Presidente degli Stati Uniti per il rifiuto del Generale al-Sisi di rilasciare il deposto presidente e d’integrare i Fratelli musulmani nel governo ad interim“. • Dopo gli eccidi di venerdì e sabato, i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Egitto sono ancora tesi. Ci sono stati gli interventi dei ministri degli Stati Uniti Kerry e Hagel (dei dipartimenti di Stato e della Difesa). Reuters riporta che gli interventi diplomatici statunitensi possono essere considerati poco diplomatici ed estremamente irritanti per i militari egiziani (27 luglio 2013): “Gli Stati Uniti hanno esortato l’alleato Egitto a ritrarsi “dal baratro” dopo che le forze di sicurezza hanno ucciso decine di sostenitori del deposto presidente islamista Muhammad Mursi e aperto una nuova fase pericolosa di confronto dell’esercito con i Fratelli musulmani. […] Il segretario alla Difesa statunitense Chuck Hagel ha parlato al telefono con il capo dell’esercito egiziano Generale Abdel Fattah al-Sisi il 3 luglio, quando i militari rovesciarono Mursi, e il cui volto è apparso sui manifesti brulicanti in tutta la capitale, Cairo. Il segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry ha parlato a due alti membri del gabinetto ad interim installato dall’esercito dell’Egitto, esprimendo la sua “profonda preoccupazione”. “Questo è un momento cruciale per l’Egitto”, ha detto in una dichiarazione. “Gli Stati Uniti… invitano i leader dell’Egitto di tutto lo spettro politico ad agire immediatamente per aiutare il loro Paese a fare un passo indietro dal baratro.” La richiesta, annunciata ieri sera dal dipartimento di Stato, chiede un’indagine formale sulla repressione dei pro-Mursi, che di certo non migliorerà il sentimento anti-USA dei militari egiziani.“ • Una spiegazione della politica USA verso l’Egitto è data da Hillary Mann Leverett, concentrandosi principalmente sulla questione del riconoscimento o meno del “golpe” da parte dei militari egiziani. Leverett, in questo caso, soprattutto perché ben collocata avendo lavorato sull’Egitto quando era nel governo degli Stati Uniti (la NSC, in particolare durante l’amministrazione Bush), e avendo già condotto degli studi a Cairo. La spiegazione di Leverett: si tratta di puro interesse strategico, senza alcuna considerazione per le interferenze e le sfumature politiche, nonostante la nausea retorica in tale senso. I cosiddetti esperti geopolitici “realisti” dicono: “E allora?”, salvo che c’è modo e modo di essere realistici, adottandolo con abilità soprattutto nella difesa dei principi fondamentali (come i russi), e che gli statunitensi non si distinguono ne nella pratica dell’uno, né nella difesa dell’altra, essendo piuttosto brutali, grossolani, goffi e totalmente incompetenti della cultura e della psicologia altrui… In ogni caso, ecco Hillary Mann Leverett, intervistata da al-Jazeera, con la trascrizione ripresa il 26 luglio 2013 dal sito dei Leverett, GoingToTeheran… “Parlando ad al-Jazeera prima dell’annuncio del rinvio a giudizio di Muhammad Mursi per spionaggio e collusione con Hamas, Hillary Mann Leverett ha parlato del significato e delle motivazioni della decisione dell’amministrazione Obama di non voler decidere se la rimozione di Mursi dalla presidenza dell’Egitto sia un golpe: “Il significato tecnico è che se il governo degli Stati Uniti non etichetta quanto è successo in Egitto come un improvviso golpe, possiamo continuare a finanziare completamente l’esercito, che ha abbattuto un governo democraticamente eletto in Egitto, vero punto della questione. Strategicamente, gli Stati Uniti hanno sempre visto l’Egitto come pilastro di ciò che chiamiamo ‘stabilità’, che qui a Washington significa ordine politico e sicurezza filo-statunitense, anche se altamente militarizzato, in Medio Oriente. L’Egitto è stato un pilastro degli Stati Uniti per 30 anni, ed è il nucleo dell’interesse strategico degli Stati Uniti. (Non è una mia opinione personale, questo è il nucleo dell’interesse principale). Così gli Stati Uniti l’hanno appoggiato con Sadat, sostenuto con Mubaraq e lo faremo con l’attuale governo militare. Il governo degli Stati Uniti, l’amministrazione Obama, è molto riluttante a fare qualcosa che possa compromettere i nostri legami con il governo militare dell’Egitto, questo è il pilastro di ciò che chiamiamo ‘stabilità’, la cosiddetta ‘stabilità’, del Medio Oriente… Gli Stati Uniti, in fondo e in realtà, non hanno interesse a sfruttare ciò che succede in Egitto. Agli Stati Uniti importa solo di quello che l’Egitto suscita all’estero, in particolare nei confronti d’Israele. L’intero dibattito qui è motivato, credo, da ciò che i politici e l’élite della politica estera percepiscono della posizione dell’Egitto nei confronti d’Israele e del resto del Medio Oriente. Se il governo militare in Egitto continuerà a sostenere il cosiddetto ‘trattato di pace’ con Israele e a promuovere gli interessi in Medio Oriente degli Stati Uniti, andrà bene. Agli Stati Uniti non mi importa ciò che succede in Egitto. Non ci importava cosa stesse facendo Mubaraq ai cittadini dell’Egitto, né con Mubaraq, né con Sadat. Non credo che ci sia davvero molto interesse, nonostante i vari pezzi retorici pronunciati da più parti, non c’è che scarso interesse verso ciò che sta succedendo oggi in Egitto, sotto il governo Sisi“. L’imbroglio egiziano è purtroppo esemplare, molto di più della Siria, dove gli interventi esterni sono numerosi, perché è di per sé sufficiente. E’ il risultato diretto della situazione politica imposta dal dominio degli Stati Uniti fin dal 1945, con le successive fasi di affermazione (eliminazione dell’influenza anglo-francese nel 1956, a Suez, eliminazione dell’influenza della Russia nel 1973-1975), poi la brutale auto-distruzione di questa politica attraverso pressioni e nuove richieste interne da Washington invocando progetti utopici per la ristrutturazione e la democratizzazione (specialità dei neocon) nel 2001, dopo la loro preparazione nel decennio degli anni ’90. La “primavera araba” si collega indirettamente e del tutto incontrollatamente alla disintegrazione degli Stati Uniti, alle tecniche e strategie di comunicazione, lasciando ogni Paese della regione tra contraddizioni interne sempre più insormontabili. L’Egitto era uno dei “favoriti” a tal proposito, e la situazione attuale, un tentativo di liquidazione dei FM, in realtà suscita un caos che può perdurare e, in ogni caso e nel migliore in cui sarà evitata la guerra civile, l’instabilità richiederà più di una politica attiva per impedire disordini o la guerra civile. Questa “politica attiva” probabilmente sarà più ostile agli Stati Uniti proprio a causa delle contraddizioni interne di questa “politica” (sic) degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti di Obama metteranno in atto richieste su tutto e il contrario di tutto. Gli Stati Uniti vorrebbero un ritorno “ripulito” della falsa democrazia del modello Mubaraq, mentre gli eventi creano situazioni e tensioni che rendono impossibile questa opzione e non lasciano spazio che a una sola alternativa: il caos o l’installazione di un esecutivo forte invocando principi di legittimità e sovranità. Gli Stati Uniti non vogliono nessuna di queste parole: nessun disordine, nessun principio strutturale, solo una meccanica controllata che gira a loro vantaggio. Non esistono più condizioni per questa “strategia”. L’esercito egiziano, da molto tempo sotto il controllo effettivo dei suoi colleghi degli Stati Uniti, è ancora impegnato in una battaglia fondamentale per la sopravvivenza. Sa della condizione economica del Paese, della devastazione sociale, e soprattutto della popolarità della FM tra le classi svantaggiate, oramai abituata all’insurrezione facile da due anni. In questo caso, le istruzioni da lontano passano in secondo piano e la reazione naturale per cercare di ottenere il sostegno popolare è cercare un capro espiatorio, e gli Stati Uniti possono esserlo facilmente, soprattutto dato che possono pretendere di esserlo nel senso della vecchia espressione. (“Individuo scelto dal gruppo di cui fa parte, per addossargli individualmente la responsabilità o colpa collettiva”, in questo caso gli Stati Uniti avallano la “responsabilità collettiva” della politica-Sistema che praticano con zelo, e cosi sia fatta giustizia). Il disaccordo Sisi-USA e gli striscioni anti-USA dei manifestanti pro-militari sono solo l’inizio, e si sappia che non perché Hagel ha telefonato a Sisi che l’esercito egiziano è solo una marionetta del Pentagono, mettendosi istantaneamente alla vostra attenzione. In questo caso, sarebbero i burattini a preferire una situazione di destabilizzazione in Egitto, avendo proprie esigenze che non sono affatto quelle del Pentagono, ma piuttosto il contrario… E anche se la buona “notizia” è parte di una guerra della comunicazione, la prospettiva che i Sukhoj Su-35 sostituiscano gli F-16 è divertente e simpatica, al punto che potrebbe un giorno diventare realtà; dopo tutto, abbiamo visto ben altro.
Posted on: Mon, 05 Aug 2013 09:03:02 +0000

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