Bagnara di Romagna: quegli uomini in borghese Di Antonella | - TopicsExpress



          

Bagnara di Romagna: quegli uomini in borghese Di Antonella | More 17 Dec 2006 Immagine di Pensiero rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.0Per tornare a parlare di Bagnara di Romagna, di seguito viene riportato un paragrafo scritto da Sandro Provvisionato e contenuto nel libro Giustizieri sanguinari – I poliziotti della Uno Bianca. Un altro mistero di Stato, uscito nel maggio 1995 per i tipi di Tullio Pironti Editore (pagine 52-55). Il testo del giornalista, che da anni cura anche il sito Misteri d’Italia, ricostruisce ciò che accadde a Bagnara e inserisce un particolare su cui c’erano testimoni ma che non rientrò tra le verbalizzazioni inserite negli atti: la presenza di uomini in borghese che entrarono nella caserma per trafugare – si ipotizzò – documenti che forse avrebbero potuto fare luce completa dell’eccidio. La scomparsa di documenti venne successivamente sempre negata, ma la presenza di alcuni individui in borghese è invece confermata. Si trattava di uomini del centro Sismi di Bologna, tra cui c’era anche Marco Mancini, l’ex ufficiale del servizio militare il quale – pur dichiarandosi estraneo ai fatti contestatigli – è oggi sotto indagine per il caso Telecom e prima per il sequestro di Abu Omar. Di seguito il testo di Sandro Provvisionato, “La strage di Bagnara”. Pochi mesi dopo [una serie di assalti della Uno Bianca, N.d.R.] avviene un altro oscuro episodio sul quale per il momento – è bene sottolinearlo – non esistono punti di contatto con la banda dei poliziotti killer. È una strage insensata e immotivata in un piccolo borgo assonnato della Romagna, dentro una tranquilla Caserma dei Carabinieri. Oggi tutta l’inchiesta su quel fatto aberrante sta dentro una serie di faldoni impolverati e dimenticati in un armadio della Procura della Repubblica di Ravenna. Già perché l’oscura morte di cinque carabinieri in forza alla Caserma di Bagnara di Romagna, meno di 2000 abitanti tra Imola, Faenza e Lugo, oggi è solo un caso giudiziario archiviato. La follia – attenzione, questa è la versione ufficiale del dramma – esplode all’interno di quella palazzina poco dopo le 12.15 del 16 novembre 1988. Una palazzina che a piano terra ospita gli uffici dell’Arma e al piano di sopra l’abitazione del comandante della stessa stazione dei Carabinieri di Bagnara, il brigadiere Luigi Chianese, trentadue anni, originario di Minturno, provincia di Latina. Il corpo di Chiavese viene trovato, crivellato di proiettili, seduto alla sua scrivania, sistemata di fronte alla porta d’ingresso dell’ufficio. qualche metro più in là, a terra, c’è un altro cadavere, quello di Daniele Fabbri, vent’anni, carabiniere di leva. Accanto alla porta c’è il corpo senza vita del carabiniere scelto Antonio Mantella, nato a Vibo Valentia (Catanzaro), trentun anni. Vicino a lui giace a terra il suo collega e pari grado Angelo Quaglia, ventisette anni, di Controguerra, un piccolo centro del teramano. Completa la macabra scena il lago di sangue in cui è riverso Paolo Camesasca, vent’anni, anche’egli carabiniere ausiliario che proviene da Verano Brianza, a due passi da Monza. Cinque cadaveri martoriati di carabinieri, per una strage inspiegabile. In quella stanza hanno sparato cinque armi diverse: tre mitragliette M12, una pistola calibro 9 parabellum e un’altra pistola, una beretta 92S. In tutto 106 colpi, i tre caricatori da trenta colpi l’uno degli M12, l’intero caricatore – quindici proiettili – della calibro 9 e infine un unico colpo la Beretta 92S. Ed ecco come gli inquirenti hanno ricostruito la dinamica di quella strage. Il responsabile di quell’eccidio – questa la conclusione cui giunge l’inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Ravenna Aldo Ricciuti – è il carabiniere scelto Antonio Mantella che, in preda a un raptus di follia, si comporta come un vero Rambo: prima scarica sui commilitoni l’intero caricatore della sua pistola automatica, poi, ad una ad una, strappa dalle mani dei suoi colleghi le mitragliette M12 senza incontrare alcuna resistenza e ripete l’operazione di sparare tutti e tre i caricatori. Infine sfila dalla fondina di Paolo Camesasca la sua pistola d’ordinanza, la Beretta 92S che si punta alla tempia prima di fare fuoco. Una ricostruzione credibile? L’unica ipotizzabile, ripetono ancora oggi i magistrati che assieme a Ricciuti si sono occupati della strage di Bagnara, l’altro sostituto di Ravenna Gianluca Chiapponi, tra i primi ad arrivare sul luogo della strage, e il giudice per le indagini preliminari Francesca Vitagliano. Ma a tutti e tre è rimasto il dubbio del movente, della scintilla che avrebbe innescato quell’esplosione di pazzia, un’origine che per quella orrenda strage non è mai stata trovata. Neppure l’aver passato al setaccio il passato e il presente del carabiniere scelto Antonio Mantella ha permesso di chiarire quale orribile molla sia scattata dentro di lui. Un carattere chiuso, il suo, certo, a tratti scontroso, ma nulla che facesse presagire ciò che poi è accaduto. Una vita abbastanza regolare, senza ombre apparenti. Ancora adolescente Antonio Mantella si è trasferito al Nord, precisamente a Ozzano Emilia dove il fratello maggiore Nicola presta servizio come carabiniere. Il servizio di leva, Antonio, lo fa anche lui nei Carabinieri. Poi di nuovo in Calabria e poi ancora al Nord ove tre anni dopo, dal 1979 al 1982, viene assunto come guardia giurata in un istituto di vigilanza di Ravenna. Nel 1983 Antonio Mantella fa domanda per tornare nell’Arma, segue il corso e poi viene destinato alla Legione Bologna, fino al 1985 nella stazione di Reda, vicino a Faenza, poi, dopo il matrimonio, la nascita di una bambina e un periodo trascorso alla stazione di Faenza di Borgo Urbecco, chiede ed ottiene il trasferimento a Bagnara. Anche il suo comportamento in quel paese non permette di capire quel che è successo. La sera prima tutti e cinque i carabinieri morti nella piccola caserma di Bagnara hanno cenato assieme allegramente in un ristorante, con loro c’erano altri due carabinieri di stazioni vicine e due abitanti di Bagnara. Perfino al ricostruzione delle ultime ore trascorse da Mantella prima della strage non solleva particolari interrogativi. Dopo aver accompagnato la figlia più grande che ha tre anni e mezzo all’asilo (a Bagnara il carabiniere sei mesi prima ha avuto un’altra bambina), la mattina del 16 novembre Mantella e il suo collega Fabbri sono incaricati di “pattuglia appiedata” nel centro di Bagnara, servizio che – secondo l’ordine firmato dal comandante della stazione, il brigadiere Chianese – deve terminare alle 13. I due militari girano per il paese, entrano in qualche negozio, nel bar della piazza bevono un aperitivo analcolico, chiacchierano con alcuni abitanti. Pochi minuti prima della tragedia Mantella e Fabbri sono notati da un portalettere davanti alla banca del paese. Costui, all’improvviso, li vede dirigersi a un passo svelto verso la caserma. Qualcuno li ha chiamati con la ricetrasmittente? E perché? In caserma i due trovano gli altri tre carabinieri. Il brigadiere Chianese e il carabiniere scelto Quaglia sono appena tornati dalla caserma di Massa Lombarda. È lì che i due militari hanno avuto qualche particolare informazione che riguarda Mantella? A prendere per buona la testimonianza del vicebrigadiere Gerardo Fosco e del carabiniere semplice Mauro Tranquilli, l’incontro con i colleghi di Bagnara sarebbe servito soltanto ad uno scambio di informazioni a proposito di un furto avvenuto poco tempo prima in un bar tabaccheria di una frazione vicina. Sulla strage di Bagnara di Romagna sono circolate comunque molte ipotesi. Anche le più disparate. Si è parlato di un traffico di droga e di auto rubate in cui Mantella sarebbe stato coinvolto. Di qualche legame dello stesso carabiniere con una brutta storia di estorsioni che, anni prima, ha visto coinvolti alcuni carabinieri di Alfonsine, un comune non distante da Bagnara. E anche di un nasco, un nascondiglio di armi della struttura clandestina di Gladio, all’epoca ancora operante, scoperto per caso e il cui contenuto sarebbe finito in mano ad altri appartenenti alle Forze dell’Ordine, proprio – ma è un’ipotesi questa solo fantasiosa – ai poliziotti killer della Uno Bianca. Ipotesi, queste, poco approfondite dalla magistratura e che proprio per questo lasciano aperti mille dubbi sulla strage di Bagnara. E poi fu proprio Mantella ad uccidere i quattro colleghi, prima di suicidarsi, o quell’orrenda scena nella caserma di Bagnara fu costruita da qualcuno che, dopo aver straziato i corpi dei cinque militari, inscenò il suicidio di Antonio Mantella? Alcuni testimoni hanno riferito – rifiutandosi però di verbalizzare – che prima dell’arrivo del magistrato la caserma fu visitata da uomini in borghese che, con i corpi ancora caldi dei cinque carabinieri, frugò da cima o fondo la stanza della strage, portando via molti documenti. Uomini dei servizi segreti in missione? Pochi mesi prima della strage dei carabinieri di Bagnara altri due militari erano stati uccisi. Su questo duplice delitto, avvenuto a Castelmaggiore, alle porte di Bologna, il 20 aprile 1988 non ci sono però più misteri… A commetterlo, oggi lo sappiamo, furono Fabio e Roberto Savi. Un duplice omicidio commesso ancora una volta vicino ad un supermercato Coop, per l’esattezza sul retro del grande magazzino. Un’altra storia imbrogliata: un vero e proprio eccidio di carabinieri ad opera di un poliziotto e di suo fratello, le cui indagini però verranno ampiamente depistate da un altro uomo in divisa, questa volta un carabiniere [si tratta di Domenico Macauda, N.d.R.].
Posted on: Sun, 23 Jun 2013 18:27:09 +0000

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