Beato colui che sa resistere È necessario che si ponga molta - TopicsExpress



          

Beato colui che sa resistere È necessario che si ponga molta serena attenzione nei confronti dei “predicatori” che si alternano nelle celebrazioni eucaristiche della domenica e anche dei giorni feriali. Nei confronti di chi con troppa disinvoltura impasta la liturgia con la farina del suo sacco, infarcendola di parole in libertà e pensieri di difficile espressione logica persino per chi li propone. Tutto, naturalmente, evitando di seguire la corretta rubrica liturgica. In alcuni casi sarebbe necessario un vero e proprio corso di predicazione per evitare, come spesso accade, che nella stessa predica oltre a compiere una esegesi molto personalizzata e scadente della Sacra Scrittura, si commettano anche veri e propri crimini di esortazione al razzismo e incitazione al pessimismo. Vorrei ricordare ai nostri “pastori” che a partire dal dimenticato Concilio Vaticano II il “gregge” si è emancipato, che la Parola di Dio non è esclusiva dei preti, che oggi è concesso leggere e meditare Antico e Nuovo Testamento e che la nostra fede si basa su un principio di speranza, amore e misericordia. Sbandierare la paura dell’Islam in quanto responsabile della poca affluenza alle messe significa non avere il dono dell’autocritica: forse la gente non viene in chiesa proprio a causa di certi preti e di certe prediche. Detto questo per non cadere in tentazione voglio osare le parole che spesso mi ispirano, parole di un credente concreto: “Perché ho imparato che ogni uomo – e tanto più un cristiano! – deve ritenersi sempre un “resistente”: uno nel deserto, appunto. Perché la Terra Promessa è sempre da raggiungere; come il “Regno” ha sempre da venire; e Cristo è per definizione “posto a segno di contraddizione tra le genti”. Perciò la Resistenza fa corpo con lo stesso essere cristiano. Ho scritto un giorno: Beati coloro che hanno fame e sete d’opposizione; oggi aggiungerei: Beato colui che sa resistere” (David Maria Turoldo) Verrebbe da dire anche: beato colui che sa resistere alla tentazione di sostituirsi alla Parola di Dio per annunciare la propria. Ma è beato anche colui che sa resistere alla tentazione di alzarsi e andarsene dalla chiesa perché in disaccordo con quanto viene predicato. Effettivamente è molto difficile nel nostro tempo non cedere all’individualismo. Col tempo ho capito, e non ho ancora finito di capirlo e di impararlo, che soltanto vivendo pienamente la vita di questo mondo si impara a credere. Quando si è rinunciato del tutto a fare qualcosa di se stessi: un santo, un peccatore convertito o un uomo di chiesa “una cosiddetta figura sacerdotale”, un giusto o un ingiusto, un malato o un sano (e cioè quello che potremmo chiamare «mondanità» o «l’essere-in-questo-mondo», cioè nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze acquisite e delle perplessità) allora ci si getta interamente nelle braccia di Dio, allora si prendono finalmente sul serio non le proprie, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani e, penso, questa è fede, questa è «metánoia», autentico cambiamento; e così diventiamo uomini, cristiani (cf. Ger 45). Come ci si potrebbe insuperbire dei successi e avvilire per gli insuccessi quando nella vita di questo mondo si è compartecipi del dolore di Dio? La pagina di Matteo (18,1-10) avverte sul rischio e sulla tensione di sempre, fuori e dentro la comunità ecclesiale: mettere da parte, ignorare o peggio schiacciare i meno dotati “coloro che portano meno di noi”, i piccoli. A volte rallentano la marcia, interrompono un cammino lineare e ideale. Vengono posti a “paradigma”, a termine di confronto. Che cosa manca loro di cui tenere conto? Che cosa rende debole un piccolo? Perché è possibile lo “scandalo”, la creazione di un impedimento? “Quell’ora” in cui il Signore ammonisce si riversa sul nostro tempo e sull’itinerario di discepolato. Oggi, nella nostra ora, ancora domandiamo: Chi è il più grande nel Regno? I discepoli, allora, forse erano disorientati dalla prospettiva di rivelazione della gloria di Gesù che sarebbe passata attraverso la croce. Non risponde Gesù alle aspettative nascoste nella domanda, e fa un gesto per poi interpretarlo. Al centro un bambino, per dire che il discepolo è colui che si lascia guidare, che deve “voltarsi” per vedere la sua guida. “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel Regno”… L’umiltà, la piccolezza posta a paradigma mette a nudo la vanità di ogni ricerca di primato, di grandezza. Se non diventerete come questi piccoli… Lasciarsi condurre: nella stagione umana di un protagonismo esasperato; affidarsi quando tutto ci porta a concludere che è meglio arrangiarsi, essere autonomi, non bisognosi. Il servizio è servizio e chi serve non aspira a favori e privilegi. Chi è chiamato a servire si pone a disposizione del prossimo senza presunzione gerarchica, di casta o di classe ma con lo spirito del “servo inutile” (Lc 17,10). Nella speranza che si possano un giorno abbandonare gli stereotipi laicali e clericali.
Posted on: Sat, 24 Aug 2013 13:00:46 +0000

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