CAPRA KIENGE-----PUBBLICATO DA FAMIGLIA CRISTIANA.------KIENGE - TopicsExpress



          

CAPRA KIENGE-----PUBBLICATO DA FAMIGLIA CRISTIANA.------KIENGE CARA ESCLUSIVO - AFRICA UN TESTIMONE: COSÌ SONO MORTI I 13 AVIATORI KINDU LA STRAGE DIMENTICATA Era il 1961 e in Congo infuriava la guerra civile. I nostri militari trucidati perché accusati di portare le armi ai secessionisti. Kindu Georges Mbula, all’epoca, aveva 9 anni. Li ricorda alti, forti, belli. Quel tragico giorno è impresso nella sua memoria: i 13 aviatori italiani, la concitazione, i momenti drammatici. E oltre ai ricordi personali ci sono i tanti discorsi sentiti in questi 45 anni. Parole sussurrate, riflessioni a mezza voce, perché di quella strage, a Kindu, non si parla. È ancora argomento tabù. Per trovare Georges Mbula ci sono voluti alcuni giorni. Questa persona non ha fatto nulla di speciale se non sopravvivere nello stesso posto per 54 anni senza mai andarsene da Kindu, nell’Est della Repubblica democratica del Congo. Di motivi per lasciare la città, come hanno fatto tanti altri, ne avrebbe avuti. La sanguinosa guerra d’indipendenza del suo Paese. La vicinanza a un’altra provincia, il Katanga, sempre in fermento per una secessione mai ottenuta. La lontananza dalla capitale, Kinshasa, dove si concentrano i soldi del Paese per lasciare all’asciutto città interne come la sua e la relativa provincia, il Maniema. Ancora, la guerra del Ruanda nel 1994. Sino a quando nel 1998 il Ruanda se l’è trovato per le strade della sua città: i militari del Paese confinante per alcuni anni hanno seminato paura e terrore. Venuti per saccheggiare le miniere del Congo orientale. Georges Mbula non è mai partito. Da qualche tempo lavora come giardiniere e tutto fare per un Ordine di missionari belgi. Per trovare il coraggio di incontrare un italiano ci sono voluti tre giorni: sapeva già che l’oggetto dell’intervista sarebbe stata la strage degli aviatori. Appuntamenti andati a vuoto, rinvii. Non voleva proprio affrontarlo, quell’argomento. Compare nel tardo pomeriggio del terzo giorno, alla fine della sua giornata di lavoro. Un timido ricordo Porta con sè l’umupanga, il machete con cui taglia l’erba dei giardini. Accetta di parlare solo grazie alla mediazione di un fratello dell’Ordine dei maristi congolesi, il quale lo ha convinto che l’italiano non è un militare, non è dei servizi segreti, non sta facendo nessuna indagine sui fatti del 1961. Georges Mbula appoggia il machete e si siede lentamente, in attesa della prima domanda. «Avevo nove anni. Ero alla cattedrale dello Spirito Santo. Ricordo il rumore degli aerei. Un rumore forte, più forte delle parole del prete che celebrava la Messa». Di lì a poco si sparge la voce che i militari bianchi sono stati arrestati. Georges ricorda di averli visti su un mezzo militare che correva verso la cattedrale per poi sterzare a destra e salire verso il carcere. Uccisi nella sede dell’Onu Georges Mbula quell’11 novembre 1961 aveva solo 9 anni, e i bambini in cittadine come Kindu sono dappertutto. Si muovono senza problemi purché non disturbino le cose dei grandi. Ricorda di aver saputo che due dei bianchi sono stati uccisi durante l’arresto negli edifici dell’Onu, vicino all’aeroporto. In città tutti sanno tutto, ma non si può parlare. Il silenzio durerà per decenni. La versione che di bocca in bocca si sparge è che i militari bianchi volevano portare armi sino a Kongolo, in Katanga. I due apparecchi dell’aeronautica italiana – sempre secondo la versione torre di controllo di Kindu se la pista di atterraggio che vedono è quella di Kongolo. La torre di controllo conferma. Un inganno. I due aerei atterrano non sapendo di essere a Kindu. Dall’indipendenza al caos Questo dicono in giro i militari congolesi. Ed è ciò che tutti devono confermare. I soldati del neonato esercito (il Paese è indipendente dal Belgio da poco più di un anno, ed è già in guerra civile) venuti da Kisangani raccontano che i bianchi volevano armare i secessionisti katanghesi. L’arresto è dunque legale, un’azione militare. «Molta gente nelle ore successive si era concentrata davanti al carcere», racconta Georges. I militari mostrano ai contadini, a madri e figli, i traditori. «Urlavano loro di tutto, insultavano quei militari». Georges osserva le foto degli aviatori pubblicate dai giornali di allora che gli vengono messe in mano. Le guarda ma non riconosce i volti. Troppo tempo, era un bambino. «Ricordo solo che erano belli, grossi e ben vestiti», dice. «Tre di loro erano già a terra morti, altri due erano stati uccisi – così dicevano – davanti all’Institut Kindu, in un’altra parte della città». «A un certo punto i militari hanno cominciato a sparare sui bianchi sopravvissuti. Uno dopo l’altro cadevano morti». È successo nel piazzale davanti al carcere. «Ho visto con i miei occhi uno di loro colpito una volta, poi un’altra ancora. Era ancora vivo anche dopo il terzo colpo». Qualcuno ha iniziato a dire che era una magia. Una cosa da brividi nei ricordi di Georges. Quel bianco non muore, nonostante i colpi ricevuti. Un militare congolese gli s’avvicina. È armato di una baionetta e gli amputa l’anulare della mano sinistra per prendergli l’anello. Senz’altro una vera nuziale. È in quel momento, ricorda Georges, che è iniziato lo scempio di quei corpi. La gente voleva impadronirsi della forza di questi soldati attraverso il possesso di pezzi del loro corpo. È stato un massacro. Le carni dei militari si sono sparse per la città «e molti le hanno mangiate, per possedere i poteri di quei militari». Georges parla scuotendo la testa, nervosamente, si passa la mano diverse volte sulla fronte. «Quel giorno è iniziata la maledizione della nostra terra, qui in Congo giocano con il nome Maniema..., mangiatori di uomini». «Quale altra spiegazione ci può essere del fatto che siamo l’unica regione del Congo a non avere mai avuto acqua potabile ed elettricità?». L’eccidio degli aviatori, secondo Georges, è stata una sfida a quel militare bianco capace di non cadere sotto i colpi dell’arma del suo boia. Una maledizione che ancora oggi Kindu paga, secondo Georges, il giardiniere. Quei tredici eroi di Kindu I nostri aviatori erano stati inviati in Congo come caschi blu in missione di pace per conto dell’Onu. Nonostante ciò, lo Stato si dimenticò di loro totalmente. Solo nel 1994, dopo ben 33 anni, è stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare. Ecco i loro nomi: 1 sottotenete pilota Onorio De Luca 2 maresciallo motorista Filippo Di Giovanni 3 sergente maggiore elettromeccanico di bordo Armando Fabi 4 sottotenente pilota Giulio Garbati 5 capitano pilota Giorgio Gonelli 6 sergente marconista Antonio Mamone 7 sergente elettromeccanico di bordo Martano Marcacci 8 maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani 9 sergente marconista Francesco Paga 10 maggiore pilota Amedeo Parmeggiani 11 sergente maggiore montatore Silvestro Possenti 12 tenente medico Francesco Paolo Remoti 13 sergente maggiore montatore Nicola Stigliani.
Posted on: Mon, 11 Nov 2013 19:43:08 +0000

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