Centro-destra, governo Berlusconi 1 1. Decreto Biondi (1994). - TopicsExpress



          

Centro-destra, governo Berlusconi 1 1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi 1, vieta la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese corruzione e concussione, proprio mentre stanno per scattare gli arresti per le tangenti Fininvest della guardia di finanza. Così il blitz si blocca, intanto vengono scarcerati 2764 detenuti (di cui 350 colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli). Il pool Mani Pulite si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il «Salvaladri» inducono la Lega e An a costringere Berlusconi a ritirare il decreto. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, Salvatore Sciascia, capo dei servizi fiscali Fininvest, e Massimo Maria Berruti, consulente del gruppo. 2. Legge Tremonti (1994). Il decreto 357/1994 detassa del 50 per cento gli utili reinvestiti dalle imprese, purché riguardino l’acquisto di «beni strumentali nuovi». La neonata Mediaset utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata: che non sono beni strumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene poi una circolare «interpretativa» Tremonti che fa dire alla sua legge il contrario di ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelli immateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’estero. 3. Condono fiscale (1994). Camuffato da «concordato fiscale», il primo condono Tremonti dell’era berlusconiana viene approvato insieme al decreto Biondi il 13 luglio 1994: gli evasori potranno «patteggiare» le liti col fisco pagando una modica multa. Chi ha contenziosi fino a 2 milioni di lire può chiuderli pagando un obolo di 150 mila lire. Per le liti da 2 a 20 milioni, si deve versare il 10 per cento. Per quelle ancora superiori, invece, deve ricorrere alla «conciliazione»: sarà il giudice a stabilire la somma dovuta. Poi il concordato viene esteso anche alle società. 4. Condono edilizio (1994). Firmato dal ministro dei Lavori pubblici, Roberto Radice, riapre i termini del famigerato condono Craxi del 1985: si possono sanare, a prezzi stracciati, le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 pagando le vecchie ammende moltiplicate per 2 (se l’abuso risale a prima del marzo 1985) o per 3 (se commesso dopo). Centro-sinistra più Lega, governo Dini 5. Manette difficili (1995). La riforma della custodia cautelare e non solo, varata nell’agosto 1995, in pieno governo Dini, da tutti i partiti (Lega esclusa), ripesca e in parte peggiora il decreto Biondi. Più difficile la custodia in carcere per i reati di Tangentopoli e non solo: abolito l’arresto obbligatorio per associazione mafiosa; accorciata la durata massima della custodia cautelare; abrogato l’articolo 371bis (arresto in flagranza del falso testimone). Centro-sinistra, governi Prodi 1, D’Alema e Amato 2 6. Legge Maccanico (1997). La Consulta ha stabilito che Mediaset non può avere tre tv, ma deve scendere a due, entro il 28 agosto 1996. Ma il governo Prodi, grazie al ministro Maccanico, concede un anno di proroga, poi il 24 luglio 1997 fa approvare la legge sulle tv, che lascia tutto com’è: Mediaset dovrà cedere una rete solo quando s’insedierà la neonata Agcom, ma l’Agcom potrà insediarsi solo quando esisterà in Italia «un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via cavo». Che significhi «congruo sviluppo» nessuno lo sa, così Rete4 seguita a trasmettere sine die in barba alla Consulta. 7. D’Alema salva-Rete4 (1999). L’Agcom si mette all’opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano frequenze e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni nazionali. Rete4, essendo «eccedente», perde la concessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Ma il governo D’Alema, nel 1999, concede a Rete4 l’«abilitazione provvisoria» a trasmettere senza concessione, così Europa7 rimane senza le frequenze cui ha diritto per legge. 8. Abuso d’ufficio (1997). Il 1° luglio 1997 sinistra e destra depenalizzano il reato di abuso d’ufficio «non patrimoniale»: quello del pubblico ufficiale che commette un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, ma non si riesce a dimostrare che ne abbia avuto un vantaggio quantificabile in denaro. Vengono così legalizzati i favoritismi, le lottizzazioni, i nepotismi, i concorsi truccati, le raccomandazioni nella pubblica amministrazione. L’abuso patrimoniale rimane reato, ma solo se commesso «intenzionalmente»: per punirlo, il giudice dovrà dimostrare che è stato commesso per favorire una persona e per sfavorirne un’altra. E la pena massima per quest’ultima fattispecie viene comunque sensibilmente ridotta, da 5 a 3 anni di reclusione, con tre conseguenze: niente più custodia cautelare; niente più intercettazioni; termini di prescrizione dimezzati (da 15 anni a 7 e mezzo). In 7 anni e mezzo concludere un’inchiesta e celebrare l’udienza preliminare e i tre gradi di giudizio è praticamente impossibile: di fatto, l’abuso è depenalizzato anche nella sua versione patrimoniale. 9. Articolo 513 cpp (1997). L’articolo 513 del codice di procedura penale regola l’utilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dal pm durante le indagini. Il 31 luglio 1997 destra e sinistra lo modificano radicalmente: se prima i giudici potevano utilizzare le accuse lanciate da Tizio a Caio in fase d’indagine anche se Tizio patteggiava la pena o si faceva giudicare separatamente da Caio con il rito abbreviato e non si presentava a ribadirle nel processo a Caio, d’ora in poi le dovranno cestinare. La norma transitoria applica la nuova regola retroattivamente, costringendo i giudici a rifare da capo tutti i processi, specie quelli di Tangentopoli. Che, col tempo che si perde, finiscono quasi tutti in prescrizione, o addirittura in assoluzione perché le prove sono state abolite per legge. 10. Giusto processo (1999). Nel 1998 la Consulta cancella il nuovo articolo 513 perché incostituzionale. Ma i partiti di destra e sinistra, terrorizzati dalla ricomparsa delle prove che speravano di aver seppellito per sempre, trasformano addirittura la legge incostituzionale in legge costituzionale e la infilano nella Carta a tempo di record (nove mesi per la doppia lettura Camera-Senato-Camera-Senato), all’articolo 111, ribattezzato «giusto processo»: è una delle prime mosse del governo D’Alema, sostenuto per l’occasione dal centro-destra. Le accuse, anche se a lanciarle è un semplice testimone, non valgono nulla se verbalizzate solo davanti al pm e non al giudice. Migliaia di processi in fumo, anche di mafia. Votano contro soltanto la Lega, il dipietrista Elio Veltri e cinque deputati prodiani. 11. Simeone-Saraceni (1998). Alla vigilia della sentenza definitiva del processo Enimont che porterebbe in carcere Forlani, Citaristi, Pomicino, Sama e Bisignani, destra e sinistra approvano in gran fretta la legge Simeone-Saraceni (uno di An, uno del Pds) che risparmia il carcere a chiunque debba scontare meno di 3 anni. Con la legge Gozzini, chi deve scontare una pena o un residuo pena inferiore a 3 anni può chiedere, dal carcere, di farlo in «affidamento in prova al servizio sociale» (cioè fuori). Con la Simeone-Saraceni, il condannato definitivo a meno di 3 anni resta a piede libero: pena sospesa finché la polizia non riesce a notificargli la condanna di persona, brevi manu. Poi l’interessato fa domanda di affidamento, il giudice di sorveglianza la esamina e decide se accoglierla o no, poi la polizia deve rintracciarlo un’altra volta e notificargli a mano il provvedimento. Così, se è negativo, al condannato basta non farsi trovare per restare libero per sempre, con pena sospesa sine die. 12. Carotti (1998). Le norme di accompagnamento al «giudice unico» istituito dal ministro Flick per sveltire i processi (abolite le preture e relative procure, giudice monocratico per i reati minori) sono raggruppate nel pacchetto Carotti (un deputato del Ppi), che allunga i processi. Infatti aggiunge una nuova fase di giudizio alle quattro già esistenti. Dopo le indagini preliminari e prima dell’udienza preliminare e dei tre gradi di giudizio, viene infilato il «deposito degli atti» (articolo 415bis del codice di procedura penale). Allo scadere delle indagini, anziché chiedere subito il rinvio a giudizio per gli indagati, il pm deve notificare loro un «avviso di conclusione delle indagini» con un riassunto delle accuse e depositare a loro disposizione tutte le carte dell’inchiesta. L’indagato ha 20 giorni per chiedere di essere sentito, presentare documentazione e memorie difensive, ordinare al pm nuove indagini. Così il pm deve riaprire le indagini per qualche altro mese o anno, e solo alla fine può finalmente esercitare l’azione penale. Col risultato di dilatare vieppiù i tempi già biblici della giustizia, vanificando l’effetto benefico della riforma sul giudice unico. 13. Legge Sofri (1998). Appena la Corte d’Appello di Milano respinge l’istanza di revisione delle condanne di Sofri, Bompressi e Pietrostefani per il delitto Calabresi, un gruppo di senatori di destra e sinistra presentano subito una legge che sposta il giudizio sulla revisione dei processi nella Corte d’Appello più vicina a quella dove si sono celebrati. Relatore della norma ad personam, il senatore avvocato di An Giuseppe Valentino. Così la revisione per Sofri & C. può essere riesaminata a Brescia e di qui, una volta ri-bocciata, a Venezia, dove finalmente si rifà il processo e Sofri & C. vengono ricondannati. 14. Legge Dell’Utri 1: patteggiamento in appello (1998). Nel dicembre 1998, in pieno processo d’appello al senatore Marcello Dell’Utri, condannato a Torino a 3 anni in primo grado per le false fatture di Publitalia, l’avvocato senatore Valentino, reduce dalla legge Sofri, ne presenta una pro Dell’Utri nel silenzio del centro-sinistra (una mano lava l’altra). La norma ripristina il patteggiamento in appello cancellato nel 1990 dalla Consulta. Ma Dell’Utri in appello non patteggia e viene di nuovo condannato, stavolta a 3 anni e 2 mesi: in caso di conferma in Cassazione, finirà in galera. 15. Legge Dell’Utri 2: patteggiamento in Cassazione (1999). Subito dopo, il 19 gennaio 1999, passa trasversalmente una norma transitoria alla legge Valentino che consente di patteggiare addirittura in Cassazione a chi non ha fatto in tempo in appello almeno per quei «procedimenti in cui è stata pronunciata sentenza di appello prima dell’entrata in vigore della legge». È proprio il caso del processo Dell’Utri, che sta per aprirsi in Cassazione. Così Dell’Utri patteggia, ottiene lo sconto, scende sotto i 3 anni e non finisce in galera. 16. Gip-gup (1999). Berlusconi e Previti, imputati per corruzione di giudici romani (processi Mondadori, Sme-Ariosto e Imi-Sir), vogliono liberarsi del gip milanese Alessandro Rossato, che ha firmato gli arresti dei magistrati corrotti e degli avvocati Fininvest corruttori e chiesto invano l’arresto di Previti (salvato dalla Camera, a maggioranza Ulivo). Ora spetta a Rossato, in veste di gup, condurre le udienze preliminari e decidere se mandare a giudizio gli imputati. Su proposta dell’onorevole avvocato Guido Calvi, legale di D’Alema, il centro-sinistra approva una legge che rende incompatibile la figura del gip con quella del gup: il giudice che ha seguito le indagini preliminari non potrà più seguire l’udienza preliminare e dovrà passarla a un collega, che ovviamente non conosce la carte e perderà un sacco di tempo. Così le udienze preliminari Imi-Sir e Sme, già iniziate dinanzi a Rossato, proseguono sotto la sua gestione e si chiuderanno a fine anno con i rinvii a giudizio degli imputati. Invece quella per Mondadori, non ancora iniziata, passa subito a un altro gup, Rosario Lupo, che proscioglie tutti gli imputati per insufficienza di prove (la Corte d’Appello ribalterà il verdetto li rinvierà a giudizio tutti, tranne uno: Berlusconi, dichiarato prescritto grazie alle attenuanti generiche). 17. Finanziamento ai partiti (1997-99). Il finanziamento pubblico è stato abolito dal referendum dell’aprile ’93. Ma nel dicembre dello stesso anno, rientra dalla finestra camuffato da «rimborso per le spese elettorali»: ogni cittadino contribuirà alle spese elettorali dei partiti (solo se superano il 3 per cento) con 1.600 lire pro capite (circa 1 euro). Ma i partiti non si accontentano. Il 2 gennaio ’97 destra e sinistra cambiano la legge: i cittadini potranno devolvere ai partiti il 4 per mille dell’Irpef. Ma quasi nessuno lo fa. Nel 1999, per evitare la bancarotta, i partiti tornano alla chetichella al finanziamento diretto dello Stato: 1 euro pro capite per le elezioni della Camera, del Senato, delle Regioni, del Parlamento europeo (il quorum per accedervi scende dal 3 all’1 per cento): cioè 4 euro a quinquennio. Che ben presto raddoppia a 2 euro per quattro elezioni a legislatura. Risultato: nel 2001 i partiti incasseranno la bellezza di 92.814.915 euro. 18. 41bis e supercarceri nelle isole (1997). Due dei 12 punti del «papello» consegnato nel 1992 da Totò Riina ai suoi referenti politici e istituzionali con le richieste dalla mafia allo Stato in cambio della fine delle stragi, dicevano così: «7) Chiusura super carceri. 8) Carcerazione vicino le case dei familiari». Detto, fatto. Nel 1997, il ministro Flick – con l’appoggio del centro-sinistra e nel silenzio del centro-destra – chiude le supercarceri di Pianosa e Asinara, che facevano impazzire i boss perché, reclusi nelle isole lontani centinaia di chilometri da casa, non riuscivano a comunicare i loro ordini all’esterno tramite parenti e avvocati. Compito molto più agevole ora che vengono tutti trasferiti nelle carceri continentali. E Pianosa e Asinara vengono «restituite al turismo». 19. Abolito l’ergastolo (1999). Altra bestia nera dei mafiosi è l’ergastolo. Infatti il papello ne chiede l’abolizione in tre punti: «1) Revisione sentenza maxiprocesso [che condannava a vita molti boss mafiosi]. 5) Riconoscimento benefici dissociati – Brigate rosse – per condannati per mafia [con i benefici per la dissociazione, si ottengono sconti di pena]. 6) Arresti domiciliari dopo 70 anni». Detto, fatto. Il pacchetto Carotti estende il rito abbreviato a tutti i delitti, anche quelli più gravi (stragi mafiose comprese). Chi accede all’abbreviato ha diritto allo sconto di un terzo della pena e, al posto dell’ergastolo, rischia al massimo 30 anni. Che poi diventano 20 con i benefici della Gozzini. E, siccome la gran parte dei boss sono stati arrestati all’indomani delle stragi del 1992-93, ne dovrebbero scontare poco più di una decina e potrebbero sperare in tempi brevi nei primi permessi premio. Il tutto mentre a Firenze e a Caltanissetta si celebrano i processi di primo grado e di appello per le stragi del 1992-’93. Solo grazie alle vibrate proteste dei magistrati antimafia e dei familiari delle vittime, il governo Amato ingrana la retromarcia e il 23 novembre 2000 vara un decreto per ripristinare l’ergastolo almeno per i delitti più orrendi. 20. Aboliti i pentiti (2001). Ancora il papello: «4. Riforma legge pentiti». Detto, fatto. Nel 2001 il governo Amato (ministro della Giustizia Piero Fassino) vara la «riforma» dei collaboratori di giustizia del 2001 che – sempre col consenso del centro-destra – stravolge un’altra delle conquiste che Falcone e Borsellino pagarono con la vita. La legge riduce sensibilmente i benefici per i mafiosi che collaborano con la giustizia; prevede una serie di sbarramenti per l’accesso ai programmi di protezione; e impone di raccontare ai giudici tutto ciò che sa nei primi 6 mesi di collaborazione. Del resto il ministro dell’Interno del governo D’Alema, Giorgio Napolitano, autentico ispiratore della legge, ha sostenuto che «i pentiti in Italia sono troppi». Non i mafiosi: i pentiti. «Con questa legge», commenta il procuratore di Palermo Piero Grasso, «al posto di un mafioso, non mi pentirei più». Infatti da allora molti vecchi pentiti ritrattano e tornano mafiosi; alcuni che stavano per parlare di trattative Stato-mafia e mandanti occulti delle stragi, si cuciono la bocca; e i nuovi pentiti si conteranno sulle dita di una mano.
Posted on: Sun, 07 Jul 2013 22:18:22 +0000

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