Chi come noi pensava che in Italia fosse illegale rifiutarsi di - TopicsExpress



          

Chi come noi pensava che in Italia fosse illegale rifiutarsi di declinare le proprie generalità ai tutori dell’ordine deve ricredersi. Nel 2008 ci fu in Italia una sorta di Emergenza Rom, con campi nomadi improvvisati che proliferavano come funghi un po’ dappertutto senza alcun rispetto di qualsiasi norma igienica, con grave pregiudizio della salute dei suoi abitanti e della cittadinanza. Si registrò una recrudescenza di reati, di furti in appartamenti, di scippi, di stupri, di liti e risse tra residenti e rom. Ad un certo punto la situazione divenne quasi insostenibile perché vennero fuori addirittura filmati della polizia in cui si potevano vedere un gran numero di berline ed auto sportive di ignota provenienza parcheggiate all’interno dei campi nomadi, senza dire delle lezioni di destrezza al furto impartite dai più esperti ai più piccoli e di numerosi conti correnti milionari che spuntavano dal nulla ad ogni accertamento della polizia. Già nel 2007 le autorità nazionali e locali italiane avevano firmato i cosiddetti “patti della sicurezza” con l’obiettivo di affrontare le percepite minacce alla sicurezza, tra cui quelle legate alla presenza di insediamenti rom. Sicurezza per tutti, per proteggere i cittadini comuni dalle pratiche illegali dei rom, almeno di alcuni di loro, per i rom talvolta oggetto di aggressioni spontanee da parte di cittadini esasperati, che però spesso facevano scontare a degli innocenti colpe e reati commessi da altri. Un anno dopo, a maggio 2008, il governo italiano dichiarò un vero e proprio stato di “emergenza nomadi” per affrontare una situazione che aveva prodotto nella popolazione vibrate e giustificate proteste ed un grave allarme sociale, con possibili ripercussioni in termini di ordine pubblico, in Campania, Lombardia e Lazio. Nel maggio 2009, lo stato di “emergenza nomadi” fu esteso anche a Piemonte e Veneto. In quella occasione il governo fece ricorso a una legge del 1992, in base alla quale uno “stato di emergenza” può essere dichiarato in caso di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per la loro portata, natura ed intensità, non possono essere affrontati con mezzi ordinari. Nel caso in oggetto, la mancanza della conoscenza del numero, dell’identità e della posizione sul territorio dei rom impediva ai comuni persino di prendere provvedimenti a loro favore. Ad esempio a Roma si decise di smantellare tutti i campi profughi malsani ed abusivi, quasi una trentina distribuiti a macchia di leopardo attorno alla città, offrendo in cambio agli sfollati residenze attrezzate con tutti i servizi in 5 insediamenti ad hoc. Una misura decisa per andare incontro alle esigenze ed alle richieste dei rom ed alla possibilità di assicurare loro condizioni di vita umanitarie e dignitose, permettendo altresì alle autorità di programmare gli interventi, le misure per la loro protezione e di commisurare i servizi da rendere ai rom, dalla scuola alla sanità. Per procedere su questa ragionevole e pacifica via si rese necessario almeno censire i rom residenti, procedendo altresì alla loro identificazione con foto ed impronte digitali, una prassi che negli USA ed in altri paesi è normalmente seguita per chiunque ai valichi di frontiera. Questo successe, nessuna schedatura, ma un censimento a prova di smarrimento dei documenti che i rom, per ragioni di varia natura, sono restii a portare con se stessi, o che spesso “smarriscono” rendendo impossibile la loro identificazione. Insomma un compromesso che andava a vantaggio di tutti. Ma non la pensava così Elviz Salkanovic, un rom che tre anni fa fu “censito” insieme ad altri migliaia di rom residenti a Roma, nonostante avesse in tasca una carta di identità valida. Pochi giorni fa è arrivata la sentenza del Tribunale Civile di Roma cui il rom era ricorso, che ha riconosciuto che fu vittima di una discriminazione, e che ha ordinato al Ministero dell’Interno di distruggere la sua scheda e di pagargli, insieme alla presidenza del Consiglio, 8 mila euro di risarcimento per i danni morali. Salkanovic aveva presentato un ricorso insieme all’Associazione 21 luglio, all’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e ad Open Society Justice Initiative per chiedere al giudice di accertare il carattere discriminatorio delle procedure d’identificazione previste dal Piano Nomadi di Roma, varato nell’ambito dell’ “Emergenza nomadi” dichiarata dal governo Berlusconi nel 2008, e quindi che Prefettura e Questura non potessero più conservare i suoi dati sensibili. Secondo le tre associazioni, quelle misure “hanno provocato, esclusivamente per un gruppo di appartenenti a una specifica comunità etnica, quella rom, una distinzione che ha gravemente violato il loro diritto all’onore, al decoro, alla reputazione e alla riservatezza, nonché il diritto all’eguaglianza nell’accesso all’alloggio. Il censimento era infatti stato presentato come una condizione necessaria per accedere a nuovi alloggi”. Nella sentenza emessa dalla seconda sezione civile del Tribunale di Roma, si legge che il fotosegnalamento ha “comportato una distinzione basata sulla provenienza etnica, poiché quella persona di etnia Rom, è stato senza ragione identificato mediante rilievi segnaletici in quanto coinvolto in un’operazione i cui destinatari di fatto erano gli appartenenti alla comunità rom”. “Il trattamento a cui è stato sottoposto Salkanovic – prosegue la sentenza – ha provocato l’effetto sia di violare la sua dignità, sia di creare un clima ostile da parte dell’opinione pubblica”. Con tutto il rispetto della Corte, noi riteniamo che il clima ostile se lo siano creato più i rom stessi che non si sa come vivano e come possano vantare così tante ricchezze, spesso sorpresi a rubare e truffare in giro, arrivando talvolta a rapire bambini, piuttosto che da infondati pregiudizi razzisti e discriminatori. Questo di Roma è solo l’ultimo macigno giudiziario scaricato dalla presunta giustizia italiana sull’emergenza nomadi. Concludono le tre lobby pro-rom: “Raccogliere le impronte digitali e le informazioni personali di migliaia di persone in un archivio, esclusivamente in base all’appartenenza a un particolare gruppo etnico o sociale, oltre che costituire una discriminazione dal punto di vista giuridico, rappresenta una violazione della dignità umana che risulta particolarmente grave perché effettuata da autorità pubbliche preposte alla tutela dei diritti di chi vive sul territorio”. Argomentazioni assurde e pretestuose. Si sono censiti i rom perché erano loro i destinatari degli alloggi attrezzati. Chiunque richieda un alloggio popolare, italiano od extracomunitario che sia, deve necessariamente compilare una domanda con le generalità e tutti i relativi dati anagrafici. Altrimenti come si fa a procedere alle graduatorie ed alle assegnazioni? I rom avevano pure il vantaggio di essere gli unici destinatari degli alloggi, non avevano concorrenti e si lamentano pure di essere stati loro i discriminati? Casomai i discriminati saranno stati i romani, gli italiani e le persone appartenenti a tutte le altre etnie non prese in considerazione per sistemazioni logistiche che con i tempi che corrono sono tutt’altro che da disprezzare. Poi se un rom si sente male e lo porti all’ospedale, come fai ad avvertire qualcuno o a decidere quale terapia adottare, come fai a sapere se ha precedenti magari registrati in una cartella clinica o soffre di particolari patologie o è soggetto a qualche allergia se neanche si sa chi sia? Niente, per loro declinare i loro dati anagrafici significa solo che siamo razzisti, che ci volete fare? per cui invece di estendere l’archiviazione di foto e di impronte digitali, e magari pure del DNA indistintamente a tutti, italiani e non, adesso distruggeranno gli archivi anagrafici che si erano cominciati a costruire. Non c’è speranza che questa interessata tendenza prevalente a favore di presunti discriminati cambi e cominciamo a renderci conto che più si va avanti più si renderà difficile essere italiani.
Posted on: Mon, 15 Jul 2013 13:11:20 +0000

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