Complessità e momento note su In nomine domini di Fulvio - TopicsExpress



          

Complessità e momento note su In nomine domini di Fulvio Leoncini 1. Il contenuto del disastro è per intero nel tempo? Si può dire che il potere temporale del male di credere è tanto esteso da farsi infine davvero atemporale. Questa l’eternità. Ma: come il potere disintegra negli individui i presupposti analitici per la sua messa in crisi, così il non-potere della pittura (di alcune forme - nell’arte contemporanea) può sollecitare e reintegrare e reintegra di fatto la visione/sguardo di connessione e di critica in chi - se ancora umano - osserva e immette linee di senso in quel che circoscrive, analizza, apprende. È un non-potere puntuale, un inciso/incisione; è un graffio anche in grado di ferire il sé del gesto di graffiare. Dura il tempo riquadrato della tavola dipinta, sovrascritta. Configura,ri-figura, forma, stabilisce un momento, una macchia di senso avverso in e contro un flusso aggressivo, e precisamente ha l’energia del muro, della diga o vetro contro la massa acquea nera del credere = confidare = confessarsi = condannarsi. Le tavole incise di Fulvio Leoncini, le materie biffate, cancellate, sovrascritte, abrase, dove i materiali differenti e diffidenti (garza, colore, taglio, rinvio, profilo) congiurano verso quanto è ancora da dire e costruire, sono già il corpo offeso della sensibilità avversa al potere, insofferente verso il potere e la sua fabbrica di fides. L’istante o effimero profondo del gesto pittorico fa muro contro l’atemporale potere temporale delle chiese, che disintegrano nel corpo e nel pensiero dei fedeli dannati le attitiudini pensanti, lo scetticismo, la gioia di vivere, ogni traccia di vera e piena felicità di delirio, sessualità, scienza della differenza, eccesso, dispendio. È - quella di queste opere - una sensibilità non sognante ma segnante (e segnata). La traccia - escavazione da acido/vita - è quella che Leoncini non lascia che lo sguardo perda. Ogni ferita è restituita nella sua verità. Altrettanto, ogni affossamento di verità, finta prospettiva (la prospettiva centrale: vertigine del teatro cristiano), è non sottovalutata. È ripresentata come ribaltamento in negativo da Leoncini. Che scaglia contro i prelati la stessa manciata di graffi che le gerarchie e le chiese hanno imposto alla fodera interna del nostro pensare (e pensarli). [Si osservi il Principe della chiesa (2008), entro questa sequenza: come balza evidente la sagoma tagliata del doppio a quasi-sovrapposizione del “principe”] 2 Come si reintegra un osservare, uno sguardo di connessione tra gli eventi, dunque critico? Attraverso la complessità. In Leoncini una particolare forma di “espressionismo” (se non è illecito tornare a far uso di questo termine) fa leva non solo e non tanto sul - pur presente - gesto, sulla registazione in materia - e trattamento della materia - dell’azione aggressiva del segno. Quello che stupisce ogni osservatore - e forma la gran parte dell’intensità di quel segno - è la stratificazione, la complessità, la grafia metodicamente e follemente recursiva che batte o tempesta tanto la superficie dipinta, quanto la stessa materia pittorica e i segni, nel loro insieme e singolarmente. Nulla è lasciato a una linearità di tratto, ampiezza immacolata di campitura a spatola, calligrafia. Ogni tratto è invece minacciato da ogni lato; ogni campitura è ridiscussa da velature sovrastanti e viraggi; ogni grafia è rattorta lungo l’asse del discorso - tutto esteriore e tutto interiore - della critica che Leoncini svolge. L’ordinata e netta ossia recisa funzionalità pittorica, il filo di ferro espressionista, è tagliente e piegato a gomitolo (non irrazionale, non irrazionalisticamente). La “bolla papale” asemantica che sovrasta un’Africa - che possiamo immaginare contesa e dissanguata - si fa debordare a destra e a sinistra in piani spazialmente sfalsati. È impossibile ridurre e semplificare il Reliquiario (2007) schiacciandolo su una visione binaria di ampolla a destra e femore scarnificato a sinistra: ogni dettaglio del “flacone miracoloso” è una macchina moltiplicante dettagli; come in più punti l’osso assolutamente ma apparentemente nudo nella campitura nera è pur tagliato verticalmente da tracce. Per non dire delle opere di ancora più pronunciata complessità, come la Madonna del rosario (2008), in cui segni cruciformi (da confessionale, trine), fori, tela, macchie, righe rette, castone che suggerisce un cavo uterino, sommano piani su piani di un discorso che solo l’occhio attento - catturato dal complesso, dal multiforme - indugiando intende. Il linguaggio complesso forma sguardi complessi, dunque è - in questo - politico. Non altro (e sempre eccessivamente altro) è il piano di scorrimento del lavoro di Leoncini. Visibilissimo in questi otto testi grafici (sovrascritture, discorsi) nati tra 2007 e 2009. Tre anni di testardo appressamento alla verità delle materie, dei segni, delle grafie ritornanti, come impronta e difesa di chi - nella storia scolpita delle chiese - è invece senza nome e senza dominio. Marco Giovenale. testo per " In Nomine Domini " 2010
Posted on: Thu, 18 Jul 2013 13:42:13 +0000

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