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DA LEADER A PECORA NERA: IL PROBLEMA DELLE INFRASTRUTTURE IN ITALIA Secondo alcune cronache la prima autostrada realizzata al mondo è stata la tedesca Automobil Verkehrs und Übungs-Strasse (AVUS). Questa strada, costruita attraverso la foresta di Grunewald, nella zona occidentale di Berlino, era nei fatti un circuito automobilistico formato da due rettilinei lunghi circa 10 km uniti da curve di ritorno. Non a caso questi rettilinei furono inaugurati il 24 settembre 1921 con una corsa automobilistica, prima di essere aperti anche al traffico privato nell’ottobre dello stesso anno. Proprio lungo i rettilinei dell’AVUS si corse,l’11 luglio 1926, il primo gran premio di Germania, vinto da Rudolf Caracciola su Mercedes-Benz (per la cronaca, le formula 1 torneranno a correre all’AVUS nel 1959, con un trionfo delle Ferrari che occuparono tutti i gradini del podio con Brooks, Gurney e Phil Hill). A voler essere pignoli quindi, la prima vera autostrada, progettata e destinata esclusivamente al traffico privato, fu la Milano-Varese: l’attuale A8. Ripercorriamone brevemente la storia, facendo attenzione alle date. Nel gennaio 1922 l’ingegnere Piero Puricelli, assurto a fama mondiale per aver costruito in appena cento giorni quello che oggi è il più antico autodromo permanente del mondo, il circuito di Monza, presenta un progetto per la realizzazione di una strada che colleghi Milano alle zone dei laghi lombardi. L’11 marzo 1922 viene costituito un ente apposito per lo sviluppo del progetto e per la gestione della futura autostrada. Il progetto accellera con la nomina, il 31 ottobre 1922, di Mussolini a Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia il 31 ottobre 1922. Mussolini capisce subito che l’opera progettata da Puricelli, sostenuta peraltro da capitale privato e quindi finanziariamente autonoma, può garantirgli vantaggi politici e garantire ricadute positive sull’economia. Il 18 novembre nasce la Società Anonima Autostrade (capitale sociale 20000 lire), ente che il 1 dicembre firma con l’onorevole Tangorra, ministro del tesoro, una convenzione in cui si stabilisce che i lavori dovranno terminare entro il dicembre 1925. Una delle questioni più importanti sono gli espropri: 300000 metri quadrati di terreni con oltre 3.000 soggetti interessati. Servono appena quattro mesi scarsi per risolvere la questione: il 26 marzo 1923 Mussolini può dare il fatidico primo colpo di piccone. Poco meno di un anno e mezzo dopo, per l’esattezza il 21 settembre 1924, l’ingegner Puricelli, in stiffelius e cilindro, inaugura alla presenza di Vittorio Emanuele III il primo tratto della prima autostrada al mondo: Milano-Varese, 50 chilometri, interscambi con la viabilità ordinaria ogni 5 chilometri, 17 caselli, 35 sovrappassi, 71 sottopassi. Il secondo tratto, da Lainate a Como, 24,5 chilometri, sarà inaugurato il 28 giugno 1925; il terzo, da Gallarate a Sesto Calende, 11 chilometri, il 3 settembre 1925. Mussolini tuonò: “le autostrade sono una grandiosa anticipazione italiana”. Il 24 settembre 1927 è inaugurata la Milano-Bergamo (49 chilometri con un ponte sull’Adda ad un solo arco di 80 metri); il 28 ottobre 1928 la Roma-Ostia (23 chilometri, illuminata da 3000 lampade elettriche); nel giugno 1929 la Napoli-Pompei (29 chilometri); nell’agosto 1931 la Bergamo-Brescia (45 chilometri, con un ponte sul fiume Oglio di 284 metri costruito con tre arcate); nel 1932 la Firenze Mare e l’imponente Torino-Milano (126 chilometri, 22 grandi ponti tra cui quello sul Sesia di 305 metri e quello sul Ticino, 347 metri); nel 1933 la Padova-Venezia. Bisogna attendere il 1933 per vedere la prima vera autostrada non italiana: il primo tratto della Autobahn Amburgo-Francoforte-Monaco-Salisburgo in Germania. Avevamo detto di prestare attenzione alle date. La Milano-Varese ha richiesto per la progettazione e costruzione circa 33 mesi: dal gennaio 1922 al 9 settembre 1924. L’intera autostrada dei laghi lombardi, circa 85 chilometri, ha richiesto 45 mesi. Nel settembre del 1927, con l’inaugurazione della Milano-Bergamo, dopo circa 69 mesi dall’ormai famoso gennaio 1922, la rete autostradale italiana ammontava già a circa 135 chilometri di strade. Qualche chilometro in più dell’autostrada Siracusa-Gela, autostrada il cui progetto ha preso avvio nel 1974 e che ancora oggi non può dirsi conclusa: 39 anni che testimoniano drammaticamente come l’insipienza gestionale, l’ingordigia politica, l’egoismo di molte realtà locali o le infiltrazioni della malavita organizzata abbiamo concorso a trasformare una delle eccellenze italiane, quella delle infrastrutture, nell’esempio principe della paralisi italiana. Una paralisi, quella delle infrastrutture, che riguarda, più che la fase progettuale, la fase realizzativa, con tempi di esecuzione che spesso si dilatano verso l’infinito con ovvio aumento dei costi. Si pensi alla storia della Salerno-Reggio Calabria. Iniziata nel 1964 e terminata nel 1972 fu presto giudicata inadeguata per contenere il traffico in movimento: già nel 1982 l’Unione Europea obbligò l’Italia all’adeguamento della strada alle normative europee. Il 22 luglio 2012 erano stati completati 300 chilometri: circa il 67,8 % del percorso. Negli ultimi decenni il mercato mondiale è stato caratterizzato da una forte globalizzazione, fenomeno che nasce sia dalle politiche di liberalizzazione sia dai grandi processi di innovazione che hanno investito le comunicazioni, i trasporti e le tecniche di produzione ed immagazzinamento. In questi anni le dinamiche dei fenomeni economici si sono caratterizzate per lo spostamento della concorrenza dalle singole imprese (quindi la ditta A è concorrente della ditta B) ai sistemi economici territoriali (quindi il territorio A è concorrente del territorio B). Il raggiungimento di posizioni competitive quindi non è più associato alle capacità del singolo imprenditore ma all’interazione tra questo e le risorse socio-economiche del territorio in cui svolge la sua attività. Le infrastrutture diventano quindi una precondizione per lo sviluppo economico di un paese: mentre in Italia si discuteva se la new economy comportasse una diminuzione dell’impegno pubblico nell’investimento e nell’ammodernamento delle infrastrutture, le altre nazioni continuavano ad aumentare le loro dotazioni. Facciamo un esempio; le recenti statistiche sulla movimentazione dei container nei porti europei e mediterranei: un mercato in cui l’Italia è stata a lungo protagonista. Si pensi che nel 1971 il porto di Genova copriva da solo il 13% del totale continentale: una percentuale però drammaticamente scesa al 4% nel 1984. Colpa delle maggiori capacità imprenditoriali e di investimento nelle infrastrutture ei paesi dell’Europa settentrionale. Tra il 2005 ed il 2010 si è assistito però ad una forte crescita dei porti mediterranei che sono stati capaci di recuperare 3 punti percentuali (dal 38,9% del 2005 al 41,8% del 2010) grazie soprattutto allo sviluppo dei porti spagnoli, alla realizzazione di nuove strutture nei paesi nordafricani (Marocco ed Egitto) e all’incremento di competitività degli scali del Mediterraneo orientale. L’Italia non ha aiutoto i porti mediterranei a recuperare terreno, anzi: tra il 2005 ed il 2010 la sua quota di mercato è scesa dall11% al 9,3 % ! Circa il 40% delle merci con origine o destinazione extra-europea che gravitano nell’Italia settentrionale (escluso petrolio e prodotti metallurgici) transita attraverso i porti dell’Europa settentrionale. Eppure i porti italiani dovrebbero, per la centralità della nostra penisola, giocare un ruolo di primo piano nel mercato dei container. Ma il vantaggio della collocazione geografica viene a ridursi drasticamente per il modello organizzativo della portualità italiana: i nostri porti sono carenti sia nell’offerta dei servizi pubblici (dogana, sanità, Polizia di frontiera, Guardia di finanza, ecc.) sia in quelli privati (rimorchio, pilotaggio, ormeggio gestiti spesos in monopolio), servizi che dovrebbero essere più rapidi, sempre disponibili e meno costosi. Inoltre manca la logistica ‘inland’: le infrastrutture di collegamento e nodi logistici ubicati strategicamente . In altre parole, manca un sistema di gestione che consenta una rapida ed efficace movimentazione delle merci. Se l’Italia vuole uscire dalla crisi, uno dei primi passi è recuperare quella competitività sui mercati deve investire per prima cosa sui servizi di collegamento e trasporto creando in tempi competitivi una rete capillare e soprattutto efficiente (evitando di perdersi dietro inutili chimere come il ponte sullo stretto di Messina). Soltanto così, recuperando il primato nelle infrastrutture che ha caratterizzato l’Italia fino agli anni ’60 del XX secolo, eviteremo di perdere ulteriore competitività rispetto al sistema logistico globale in continua evoluzione.
Posted on: Thu, 25 Jul 2013 15:38:51 +0000

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