DE BENOIST ANCORA SOTTO I RIFLETTORI Nel numero 253 abbiamo - TopicsExpress



          

DE BENOIST ANCORA SOTTO I RIFLETTORI Nel numero 253 abbiamo pubblicato un dossier sulle fantasiose ricostruz ioni che alcuni organi di stampa italiani hanno fatto delle idee e delle intenzioni “politiche” di Alain de Benoist. Un solo tassello della polemica mancava: l’intervista che il pensatore francese ha rilasciato mesi fa al quotidiano leghista “La Padania”, citata da Rosalba Pileggi sul “Manifesto” come una delle pietre dello scandalo. La offriamo ora ai lettori perché ne prendano cognizione e giudichino della fondatezza delle accuse delle accuse di xenofobia mosse all’autore. Aggiungiamo poi u n altro documento: la traduzione di un’altra intervista di de Benoist, rilasciata al periodico francese “Jeune Résistance” (numero datato inverno 2001), che chiarisce altri aspetti della riflessione del direttore di “Krisis” sulla politica. Una lettu ra interessante anche in chiave retrospettiva, visti i riferi menti alle elezioni francesi, all’epoca ancora lontane. La libertà dei popoli è nell’autonomia Parla Alain de Benoist, intellettuale “scomodo” della Nuova destra fr ancese la Ue è iper-centralista. Parigi o Roma, oggi si chiamano Bruxelles Alain de Benoist, è uno stimato intellettuale transalpino, di rettore di numerose pubblicazioni culturali e capofila della cosiddetta “Nuova Destra”, movimento identita rio e tradizionalista che, già alla fine degli anni 70, prese le distanze dalla destra nostalgica e reazionaria d’Oltralpe. Al recente Congresso Federale della Lega Nord i dirigenti del Movimento, e soprattutto il Segretario Federale Bossi, hanno espresso forti critiche al modello europeo c he sta prendendo forma. Qual è la sua opinione sullo stato attuale del processo? «Una concezione europea è assolutamente necessaria, a patto che non sia statalista però. Attualmente l’Europa è prigioniera di una contraddizione: ovunque si proclama di vol er superare gli Stati, ma poiché le classi politiche sono ultra-stataliste sia a Bruxelles sia nei singoli Stati, si finisce per privare l’Unione Europea dei mezzi politici necessari a superare gli Stati stessi». Ma dotando l’Ue di questi mezzi non si rischia di consegnarsi nell e mani di una casta di burocrati nemici della libertà dei singoli popoli e delle identità? «A questo rischio si può ovviare scegliendo il modello più appropriato. E sso deve essere rigorosamente federalista, e inoltre deve partire dalle autonomie. Attualm ente, invece, l’Ue propone soltanto di esportare il giacobinismo su scala europea. Vogliono solo sostituire Bruxelles a Roma e Parigi. Noi non abbiamo nulla da guadagnare nel cambiare dei burocrati giacobini romani o parigini con altri di Bruxelles, o nel trasferirli dalle vecchie capitali a Bruxelles. Attual mente, siamo giunti al paradosso che l’Europa è presente dove dovrebbe essere assente, cioè nella vita dei po poli che hanno bisogno di autonomia, ed è invece assente dove dovrebbe essere presente, cioè sulla sc ena internazionale come soggetto politico forte e indipendente». La ricetta giusta potrebbe essere sintetizzata nella formula Europa dei popoli contro Europa delle banche? «Certamente, ma occorre essere più precisi. Europa dei popoli, ci oè Europa della sovranità popolare dal basso, su questo non ho dubbi. Tuttavia, Europa delle banche non significa molto. Le banche sono solo uno strumento. Lo strumento che diventa egemone quando prevalgono la lo gica del mercato e, ancor più, la logica del mercato finanziario: il peggio è ciò che c’è diet ro le banche. Cioè una visione del mondo dove tutto ha un prezzo ma niente ha più valore; una logica che oggi ina ridisce ogni ideale e in più dirige quasi ogni movimento sociale». Bisogna dar forza ai valori creati dai popoli contro quelli dei disanimati mer cati finanziari, dunque. Ma come dovrebbero organizzarsi i popoli d’Europa? «Lo ripeto, l’organizzazione deve partire dalla base e deve es sere impostata su quattro pilastri: Identità, Volontarietà, Autonomia e Partecipazione. L’Autorità, infine, deve fluire dalla base verso l’alto. Per difendersi i popoli d’Europa devono proprio ripartire dalla base, dalla democrazia diretta. In fondo, anche gli Stati nazionali sono burocrazie come quella di Bruxelles: pe r questo nessuno Stato contrasta veramente Bruxelles. È quindi necessario estendere la partecipazione e interessare la gente alla vita politica ovunque sia possibile». La partecipazione tipica della cultura liberale, quindi? «No, questa non deve essere la visione liberale: questa pre vede infatti solo l’incoraggiamento privato di ognuno, che si interessa così della politica solo a titolo personale. Al contrario, è necessario sviluppare la dimensione pubblica del Sociale. Ma soprattutto lo Stato no n deve essere il monopolizzatore della vita sociale. Solo così essa potrà essere davvero autentica, spe cchio fedele della vita di un popolo, ed efficace strumento di sovranità». I burocrati di Bruxelles e le forze politiche e culturali che li sostengono amano definire le forze autonomiste, tra le quali la Lega Nord, con termini come “populi sta“, se non razzista o peggio. Cosa ne pensa? «I movimenti autonomisti sono un fenomeno complesso e nuov o. Assistiamo a un rinnovamento della vita associativa e questo è un bene. Però il termine populista è s emplicistico, e non serve a definire un mondo molto diversificato. Alcuni movimenti “populisti “sono ult ra-liberali, altri sono federalisti. Alcuni sono addirittura di stampo giacobino, come quello di Le Pen in Franc ia, che non è nemmeno autonomista. Populista insomma non vuol dire molto: è un termine che indi ca uno stile, non una dottrina. Che, inoltre, non è quella indipendentista. Personalmente, sono autonomi sta e non indipendentista. Specialmente oggi quando nemmeno gli Stati sono più indipendenti. Per questo a uspico un modello confederale». In un momento nel quale l’Occidente si autoproclama in un c onflitto di civiltà, con gli Stati Uniti alla testa, si potrebbe pensare di importare quel modello feder ale in Europa. Qual è la sua opinione? «Gli Stati Uniti adottarono un modello federale, ma lo ha nno tradito. In particolare, lo hanno tradito durante il cosiddetto “New Deal” di Roosevelt, negli anni ’30. Questo fenomeno, tra l’altro, ebbe caratteri di grande similitudine col Fascismo che trionfava in Europa. Ino ltre, bisogna tener presente un aspetto biblico e calvinista, tutto sommato inadatto all’Europa. A parte tutto questo, delle vere autonomie ci furono effettivamente, anche se già con la “guerra di sece ssione” si cominciò a negarle. Personalmente, non credo nell’antiamericanismo maniacale. Penso che vi si a tuttora maggior libertà di espressione in America che in Europa; e quel che resta del sistema fede rale non è malvagio. Il problema è che gli Stati Uniti sono l’unica potenza esistente e purtroppo hanno unif icato il mondo secondo la logica del mercato, cosa che nuoce a tutti. Sono necessarie altre potenze che li contrastino». Quale modello federale si può allora suggerire? «Forse, miglior fonte di ispirazione può essere il modello f ederale tedesco, con i reali poteri assegnati ai diversi Länder, realmente autonomi rispetto al centro. La cri si economica della Germania, i problemi non completamente risolti della riunificazione e i debiti che ve ngono ancora oggi fatti pagare per la storia recente, non devono far dimenticare che la Germania è la colo nna vertebrale dell’Europa; e ai tedeschi spetta il compito di spingere l’Europa all’indipendenza, lu ngo un asse che per ragioni di semplicità geometrica definirei Parigi-Berlino-Mosca, attorno al qua le ruotino le libertà individuali di tutti i popoli europei. Libertà dai giacobini all’interno, e dagli Stati Uniti all’esterno». Occidente e islam: è veramente uno scontro di civiltà? «Non credo che sia il modo migliore di porre i termini. Né occidente, né islam sono concetti omogenei, poiché sono attraversati da grandi contraddizioni. Così come Europa e Stati Uniti hanno interessi
Posted on: Mon, 08 Jul 2013 07:37:50 +0000

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