Da "Giulia Colbert di Barolo. Una donna fra Restaurazione e - TopicsExpress



          

Da "Giulia Colbert di Barolo. Una donna fra Restaurazione e Risorgimento", Il Capricorno, 2008 Si è già parlato della compilazione da parte della Mar-chesa di Barolo delle Costituzioni o Regole che doveva-no servire di norma alle religiose del Monastero delle Oblate di S. Maria Maddalena e dell’Istituto delle Suore di Sant’Anna. Le Costituzioni vennero poi consegnate all’Arcivescovo, il quale le approvò dopo qualche tem-po. Ma Giulia non era ancora soddisfatta: dopo molti anni di buon funzionamento degli Istituti da lei fondati, riteneva giusto che essi ricevessero l’approvazione della Santa Sede. Non sarebbe stato facile, certo, ma la Mar-chesa non era donna da scoraggiarsi. Così nel novembre del 1845 si recò a Roma accompagnata da Silvio Pellico e dal Teologo Tua, canonico di Acqui. Si presentò al cardinale Lambruschini, Segretario di Stato, il quale, conoscendo i suoi meriti, l’accolse con cordialità e parlò in favore di lei al Santo Padre. Fu subito chiaro però che gli ostacoli all’approvazione papale erano molti: la Marchesa di Barolo si recò da altri Cardinali, ma tutti le prospettarono molti impedimenti. Chiese allora un’udienza al Santo Padre e le fu conces-sa. Gregorio XVI l’ascoltò con attenzione e con bene-volenza, ma le disse che il cammino era lungo: quando la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari avesse ter-minato l’esame delle Regole dei due Istituti e dato il voto favorevole, il che non era scontato, egli avrebbe potuto concedere non la compiuta approvazione, ma soltanto la Laude, che costituiva un primo passo per giungere all’approvazione. Lei, entusiasta esclamò “Oh Santo Padre, la Laude è già molto di più che non meri-tiamo!… ma non mi basta” . Quelle parole, così ener-giche, spinsero Gregorio XVI ad adoperarsi di più, ed egli si convinse a sottoporre le Regole solo ad alcuni membri della S. Congregazione, invece che a tutti, per guadagnare un po’ di tempo. La Marchesa sapeva che il cardinale Lambruschini le avrebbe dato volentieri il suo aiuto e chiese che questi fosse nominato a capo della Commissione esaminatrice. Anche questa richiesta fu esaudita e la Commissione fu insediata, composta dai cardinali Ostini, Bianchi, Polidori e Lambruschini. Le difficoltà in effetti erano molte, e ad un certo punto la Marchesa seppe che una lettera commendatizia del re Carlo Alberto le avrebbe giovato. Così gli scrisse. Carlo Alberto aveva per la marchesa di Barolo molta simpatia e aveva stimato moltissimo Tancredi. Presso l’Archivio Barolo infatti sono conservate alcune lettere che il re inviò a Giulia, ringraziandola perché gli per-metteva di contribuire alle sue opere di carità, facendo-gli indirettamente aiutare il prossimo secondo i principi cristiani: “Je vien de nouveau vous rémercier”, le scrive nel 1844, “ma chère Marquise, de m’avoir mis à même de faire quelque chose qui vous puisse être agréable en me procurant en même temps le bonheur de vous admi-rer. Vos bienfaits vous préparent une couronne sublime dans le ciel et ne peuvent à moins que d’attirer les be-nédictions du Seigneur sur vos prières. Je m’y recom-mande en vous priant de croire à la gratitude et à mon bien sincère affection. Carlo Alberto” . Ma la stima di Sua Maestà per i Falletti non si limitava al settore della beneficenza, riguardava anche un altro ambito, più, per così dire, prosaico: quello del vino. Già si è parlato delle vastissime tenute fondiarie coltivate a vigneto che i Falletti possedevano nelle terre di Barolo: la vigna era parte integrante del paesaggio collinare da secoli, ed era diventata una delle maggiori fonti dell’economia rurale di quelle terre e di sostentamento per le famiglie che vi abitavano. Si narra che un giorno Carlo Alberto avesse rimprove-rato in maniera scherzosa la Marchesa “imperocchè mai gli aveva fatto gustare quel suo famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare”. Pochi giorni dopo, una lun-ga fila di carri trainati da buoi solcò le vie di Torino, di-retta a Palazzo Reale, destando stupore e meraviglia nei passanti. Ogni carro trasportava una carrà di vino, sorta di botticella tipica della zona del Barolo, della capacità di circa dieci brente e conteneva Barolo per ciascuna delle tenute dei Marchesi coltivate a vigneto, trecento-venticinque per la precisione, una per ogni giorno dell’anno, a parte i quaranta giorni di Quaresima, poiché secondo l’indole molto pia della Marchesa, durante quel periodo bisognava astenersi dal bere vino. Fu tanto l’entusiasmo del re per quel regalo, che desiderò anch’egli possedere vigneti in terre così generose. E in-fatti la frequentazione della corte dei marchesi Falletti e la loro amicizia con le famiglie più nobili furono di enorme giovamento anche al vino che veniva prodotto sulle loro terre di Barolo. I Falletti lo regalavano ai Sa-voia, lo offrivano ai loro invitati, ne rifornivano gli ami-ci. Fu la stessa Marchesa Giulia già vedova, a chiedere l’aiuto al “Petit terrible Camille”, come lo chiamava lei, cioè a Camillo Cavour, per poter approfittare della pre-ziosa consulenza dell’enologo francese Oudart, che dal 1843 collaborava con il Conte nella produzione del vino Barolo nelle cantine del castello di Grinzane. Era stato proprio Oudart a tenere a battesimo quello che sarebbe diventato il futuro Barolo, vinificato secondo la meto-dologia alla francese, e cioè secco e pronto per essere invecchiato. Benché la Marchesa fosse di idee politiche fieramente conservatrici, decise in seguito di avviare tutta una serie di innovazioni enologiche per ottenere un vino ogni volta migliore, applicando tecniche di cantina volte alla riuscita di un vino sempre più moderno rispetto a quello che era già il famoso Nebbiolo di Barolo e che si avvi-cinasse ai celebri blasonati di Francia. Giulia continuerà fino alla morte a seguire le vicende delle sue immense proprietà, tanto che lei, e non Cavour, nell’immaginario enoico collettivo della gente di Langa, viene pienamente identificata con la nascita del Barolo moderno nella sua terra d’origine. Si può quindi ben comprendere che Carlo Alberto non aveva nessun motivo per negarle il suo aiuto: inoltre la regina Maria Teresa, sua moglie, si occupava anch’essa di istituzioni filantropiche e accoglieva sempre con en-tusiasmo i progetti della Marchesa, mantenendo con lei una fitta corrispondenza. E questa corrispondenza e amicizia continuerà anche dopo la morte del re. La lettera di raccomandazione di Carlo Alberto, natu-ralmente fu presa in grande conto dai Cardinali e dal Pontefice stesso, e valse a mettere d’accordo i vari membri della Congregazione i quali, dopo mature di-scussioni, convennero di approvare le Regole con alcu-ne modifiche. I desideri della Marchesa finalmente si avverarono e il 6 marzo del 1846 poté scrivere la seguente lettera alle sue amate Figlie: “Mie care Figlie, oggi, primo venerdì del mese consacrato a S. Giuseppe; oggi, primo venerdì del mese, giorno dedicato al S. Cuore di Gesù, alle ore sette di sera all’incirca, sono state riferite al Papa le Costitu-zioni delle Sorelle penitenti di S. Maria Maddalena da Monsignor Baluffi, Arcivescovo di Camerino e Segreta-rio della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari. Sua Santità le ha pienamente approvate. Te Deum Lauda-mus, Te Dominus adoramus; tibi Domine gratias agi-mus! Per rendere l’approvazione più solenne se ne spe-dirà quanto prima il Breve pontificio. In quanto alle In-dulgenze concedute all’Ordine, sono tutte quelle con-cesse alle Dame del Sacro Cuore. Ma non so ancora quali siano. Figlie mie, quanto è grande la mia consolazione! Quanto grande sarà pure la vostra! Se abbiamo pregato Iddio, la Madonna, i Santi, oh! Quanto dobbiamo adesso caldamente ringraziarli! Ah sì, ringraziamoli con offerte degne di loro, cioè sacrificandoci più che mai tutte ge-nerosamente per la maggiore gloria di Dio! Radunatevi per leggere questa lettera, datevi il santo bacio di pace, animatevi tutte, infervoratevi e pregate un poco per la vostra indegna Madre, che vi ama tanto e che vi brama tutte sante, perché essa non desidera fuorché la vostra felicità in questo mondo e nell’altro (…)”. La vittoria di Giulia di Barolo fu anche più importante perché, come racconta Silvio Pellico nelle sue memorie, il Cardinale Ostini, proprio quello che da principio era stato tra i più avversi all’approvazione delle Regole, cambiò radicalmente atteggiamento: “Fu desso che ven-ne una sera ad annunziarle il buon successo pienamente ottenuto. Indicibile giubilo sfavillò in lei e si gettò in gi-nocchio a benedire Iddio che tanto la consolava e a pre-garlo che la sanzione del Vicario di Gesù Cristo facesse crescere in virtù quei due fortunati Istituti. Si rivolse quindi con profonda riconoscenza a ringraziare il Cardi-nale (…). Ciascuno degli altri Cardinali fu altresì com-mosso dalla gratitudine ch’essa loro espresse. Tutti la chiamavano una nuova Santa Paola”.
Posted on: Wed, 03 Jul 2013 05:33:54 +0000

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