Dal romanzo La voragine di Pietro Casu, pubblicato nel - TopicsExpress



          

Dal romanzo La voragine di Pietro Casu, pubblicato nel 1926 continuo.. Era allegro, e gli venne voglia di aggranfiare quel piedino ben calzato, che faceva così mali passi: e l’aggranfiò infatti, senza pensarci due volte, e l’attanagliò stringendo i denti. – Che fai, assassino? – gridò il sindaco, scalciando. – Sei allegro perché mi hai succhiato il sangue? – Io? succhiare il sangue a lei, io? Ma me lo cavo dalle mie vene, il mio, invece, per darglielo tutto a lei, se occorre! Non mi dica più che sono Silvestru Marreri! – Si vede. Giustizia!… Ma io perdo il mio tempo. Devo pur rincasare. A che ora domani? – Vorrebbe tornare a casa sua con questo diluvio? In quel punto pareva che la pioggia si rovesciasse più violenta sul tugurio, sbattuta dal vento, il quale la cacciava tra i tegoli a trombe fischianti e spruzzanti e faceva tremare le imposte e il tavolato e il tetto e rombare le stanze e traballare gli oggetti appesi alle pareti. Lampi spessi avvolgevano d’un nimbo livido le cose abbrividite, e annunziavano gli scoppi fragorosi, che pareva sventrassero la terra. Sembrava il finimondo. Minna si segnava a ogni guizzo, e diceva: “credo!”. Don Ziròmine volle sfruttare il fenomeno impressionante. – Vedi, – disse tutto serio, in un momento che la donna riappendeva uno staccio caduto dal cavicchio – anche gli elementi gridano vendetta. Appena si è concluso l’affare vergognoso, si è scatenato l’inferno! – Davvero dice? Ha dunque corrispondenza con quelli di là, lei? Stia allegro, che anche i demòni ci rispettano, perché siamo galantuomini, noi! Manco a farlo apposta, le porte e la finestra si spalancarono all’improvviso, e un colpo di vento li avvolse frusciando, e li sbatacchiò furiosamente l’uno contro l’altro come due pennecchi. – Maria Vergine! – gridò Minna. E gli uomini ruggirono. – Non scherzare, sai, mala pelle! – raccomandò il sindaco. – Con Dio non si scherza! – Eh, lo so bene! con Lui no! Ma tra di noi possiamo scherzare! Scommetto che don Ziròmine ha paura, vero? Ma, corpo di bacco, è stata una carezza poco amabile… Mi cola sangue dal naso. Lei è tutto sano? Il gentiluomo si palpava la fronte, dove rosseggiava un piccolo bernoccolo. – M’hai fatto nascere un cornetto. Hai la zucca dura, Dio ti benedica! Poi risero entrambi della figura buffa della donna, che si affannava come anima in pena in mezzo a quell’abbaruffio da tregenda. – Lascia tutto, via: e portaci da bere! – le gridò il marito. Quando il vino fu versato nei bicchieri, un vino rosso e chiaro proprio color rubino, don Ziròmine credette veder del sangue. Corpo di bacco, il suo sangue! Ma no, che ce l’aveva tutto nelle vene, il suo sangue: e ben caldo, grazie a Dio! e ben pulsante, e ben sano! Stesse allegro, che era proprio vino, e che vino! Faceva risuscitare i morti solo a vederlo. Ne bevve quattro o cinque bicchieri pieni cupoli, e il cielo si rasserenò dinanzi ai suoi occhi come per incanto, e la sua vista si allargò per campi sconfinati arrisi dalla piena primavera. – Chiudi, chiudi bene! – raccomandava Silvestru, appena il sindaco fu uscito. – Fa scorrere il paletto! Così! Serra bene: che non entri nessuno. Hai ben serrato? lascia vedere! –. Ed egli stesso tentennava la porta di strada, per sincerarsi ch’era ben sicura. Poi abbatteva gli scuri della finestra dello stanzino, e dava una scrollatina anche a questa. – Vieni qua: dammi una mano, ora. Poi preparerai la cena, se vuoi. Era stata accesa la vecchia lampada a tre becchi, perché il buio s’era precipitato in anticipo sul villaggio a causa del temporale. Minna l’attaccò al chiodo, e si diede ad aiutare il marito. Egli si caricava sulle spalle i sacchi del grano, traballava ansimando sotto il peso, e li deponeva in un canto. – Poggiamelo bene sul capo!… Dammi ben in mano i pellicini!… Così! Sollevalo meglio! Ah, mi sguscia, vedi? Non sei bona a niente! Ella faceva del suo meglio per contentarlo. Saliva sul mucchio, raddrizzava il sacco come poteva, si sforzava per addossarglielo appena egli si curvava sotto aspettando con le braccia in alto. – Lo tieni bene? Aspetta! Non farti male! Su su su! Dio t’aiuti! Avanti! La lampada dondolava e tremolava, facendo vagare sulle pareti le loro ombre mostruose. A poco a poco il vecchio forziere nero restava scoperto, e apparivano i disegni primitivi di uccelli e d’idoli e di fregi che l’istoriavano. – Dà’ una fregatina di straccio qua, per togliere questa polvere. È già un mese che non l’apriamo, vero? e della polvere ne è caduta in tanto tempo, con tanto vento! – Sono trentadue giorni appunto: quando abbiamo dato i cento scudi a Simone Rucca, ti ricordi? Ma… quanto dài al sindaco, che non me l’hai detto ancora? – Mille scudi. Ella passava il ceneracciolo umidiccio sul coperchio e sulla toppa, e pareva lustrasse il legno; ed egli cercava la chiave dentro un involtino di cenci, che aveva cavato da una tasca interna della sottoveste, dove riposava di solito accanto al cuore. Svolgeva piano piano le corregge che avviluppavano la stoffa, poi la stoffa stessa, che tramandava un puzzo di sudore e di sporcizia. Le dita bronzine e incallite e bitorzolute s’impigliavano nelle pieghe, e avevano dei tremiti di brama, come se palpassero una reliquia. Minna rideva di quell’impaccio, dando l’ultima strofinatina. – E non la trovi! sta a vedere che non la trovi… L’han mangiata i topi, quando bevevi con don Ziròmine… Ah, a proposito e gli interessi? – Quindici scudi ogni cento. Santa Maria, Santa Maria! – esclamava spaventato, perché l’involto, in una mossa brusca, gli sgusciava quasi di mano. – E in tutto, quanto? – Centocinquanta scudi in un anno. – Troppo, demonio! È un’esagerazione! Se vai a confessarti, non ti assolvono! L’hanno predicato anche i missionari che non si deve prendere più dell’otto, al massimo! E chi prende più è come se rubi. Silvestru, senza interrompere l’operazione, gorgoliava in gola il solito suo riso gaudente. – Ah, così dicono, i preti? Essi sono padroni di regalarli, anche, i danari, se vogliono. Li guadagnano cantando… Ma io so come si guadagnano, i danari. Io vi ho sparso sudore e sangue, cara mia! e ho volato di qua e di là come l’uccello, d’inverno e d’estate, di notte e di giorno, e ho lasciato brani di carne tra le spine e tra le rocce. Non lo sai tu? non lo sanno, quei signori? – Lo so: ma il quindici è troppo, troppo… Dio te ne chiederà conto! Io, vedi, quando do qualche bagattella a qualche povera bisognosa, (pochi scudi, sai bene, perché non me ne lasci, tu, delle somme grosse!) non domando mai più che una pezza1( Cinquanta centesimi) al mese per ogni scudo… perché si tratta di fare un’elemosina ai bisognosi… – Perché tu sei santa! Ah ah ah, taci, che mi fai ridere! Ti metteranno sugli altari, per queste tue carità fiorite! Ah ah ah! Sai a quanto va l’interesse che prendi tu in quel modo? al cen-to-ven-ti per cento! – Malavventurata! Bugiardo, che non è vero! Dimmi però che non è vero! – Vero, come è vero che adesso è notte! È un conto fatto tante volte… E se ti ricordi, l’hanno fatto anche i tuoi missionari in chiesa… Forse tu eri addormentata, allora, perché l’argomento non ti piaceva: ma l’ho udito io stesso con questi orecchi. E ti dànno l’assoluzione, a te? – Ma non l’ho mai confessato memmanco, perché credevo di fare un’elemosina, anzi, e le buone opere tu sai che non si accusano… San Giorgio mio! Ma tu mi burli! Dimmi che mi burli! – Non ti burlo, no, che parlo sul serio! I danari ti piacciono più che le particole, anche a te: sta zitta. – Se è così, io non voglio condannare l’anima mia, peccatrice ch’io sono! Mi toccherà però restituire una bella somma… E in questo momento non ho che pochi scudi! Egli scaracchiò forte, come se non avesse udito, temendo ch’ella gli chiedesse dei danari, pentito già di averle aperto gli occhi: e s’affrettò a sviluppare gli ultimi stracci con maggior tremito delle mani. La chiave finalmente apparve: una vecchia chiave arrugginita, primitiva. Egli l’avvicinò alla toppa, dopo essersi fatto con essa il segno della croce. – Fa un po’ di luce, qua! Ella prese la lampada fumigante e s’accostò al mobile con la domanda dei soldi scolpita sul viso, pronta e impaziente sul labbro. Ma egli non la guardò e volle sviarne ogni idea. – Fa attenzione! attenzione! non accostar troppo la fiamma! Dopo un momento di esitazione, introdusse piano piano il ferro, e l’ordigno scricchiolò: e quel lamento si ripercosse nei due cuori che battevano con violenza. Sollevò religiosamente il coperchio, e aspirò per un istante con un senso di delizia il tanfo che si sprigionava dal cenciume. Esitò ancora, con l’animo in ascolto, pauroso d’un rumore che gli era parso d’udire per la via. Finalmente cacciò dentro la mano per ghermire i primi stracci. Ma un forte picchio alla porta lo fece balzare come un ossesso. Si piantò in mezzo alla stanza con le braccia tese e con gli occhi spalancati. continua..
Posted on: Tue, 19 Nov 2013 21:35:41 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015