Dalla Regione di oggi 7 settembre 2013. L’ANALISI Quanta - TopicsExpress



          

Dalla Regione di oggi 7 settembre 2013. L’ANALISI Quanta ipocrisia sulla Siria di Aldo Sofia Di Obama, e del suo rompicapo siriano, s’è detto praticamente tutto: dal “guerriero riluttante” che si è messo in trappola tracciando “l’invalicabile linea rossa” dell’uso delle armi tossiche, a cui ora si sente costretto a reagire; al primo presidente americano post-Atlantico, intenzionato a staccare il più possibile l’America dai meandri del Medio Oriente per concentrarsi sul fronte del Pacifico (Cina), ma che viene inesorabilmente risucchiato dall’esplosiva crisi in parte innescata dalle avventure militari del suo predecessore. Così il Nobel della Pace si trasforma in un improvvisato guerrafondaio, bersaglio quasi esclusivo di un coro più o meno sincero di “pacifisti improbabili”. Infatti, degli altri “protagonisti esterni” della tragedia siriana, cosa si dice? Poco o nulla. Tanto che l’illiberale Putin diventa il portabandiera del non-interventismo. Proprio lui, lo zar che sulle rivolte nel Caucaso ribelle e secessionista ha usato la clava di una repressione e che ha armato fino ai denti la dittatura di Damasco, anche quando il clan degli Assad ha risposto con le baionette e i carri armati alle prime pacifiche manifestazioni delle piazze siriane (sono passati due anni, ma chi lo ricorda?). La Cina, abile compartecipe, insieme a Mosca, dei veti che all’Onu hanno puntualmente bloccato qualsiasi tentativo di sanzionare il regime siriano. Arabia Saudita e Qatar, complici e al tempo stesso concorrenti, che si scontrano in Egitto ma che imbottiscono di petrodollari i ribelli siriani, senza troppo curarsi delle tasche in cui finiscono, sunniti moderati o jihaddisti feroci quanto i miliziani messi in campo da Damasco. E sull’altro fronte l’Iran, dove il neopresidente Hassan Rohani potrebbe magari risultare l’uomo del dialogo con l’Occidente (ipotesi che un attacco americano sulla Siria sbriciolerebbe definitivamente), ma intanto invia armi e uomini, anche attraverso l’Hezbollah libanese, a sostegno dell’esercito di Damasco. Infinito sarà il dibattito innescato dall’orrore dell’attacco chimico alla periferia di Damasco: chi ne sia il responsabile; se non si stia ripetendo l’inganno delle armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein; che interesse potesse avere Assad nell’ignorare la “linea rossa” proprio quando stava infilando una serie di indiscutibili successi sul piano militare e diplomatico. Mentre anche sull’utilità dello “strike” punitivo sono più i dubbi che le certezze: quali bersagli; con quante inevitabili vittime collaterali del “fuoco amico”; come indebolire Assad senza provocarne la caduta che aprirebbe il varco a un nuovo regime islamista nella regione; quali i rischi di provocare una slavina incontrollabile che potrebbe travalicare lo stesso Vicino Oriente? È dal suo inizio, che si sottolinea il pericolo di una internazionalizzazione del conflitto. Ci si è illusi, in molte capitali, che ognuno potesse fare, limitandola al teatro siriano, la sua comoda guerra per procura. Non poteva essere. Quindi tutti: il “guerriero riluttante” Obama, ma anche certi pacifisti improvvisati, dovrebbero assumersi le proprie responsabilità. Condivisibile la preoccupazione per la viltà, la bestialità, e gli accresciuti futuri pericoli che in tante zone di guerra deriverebbero da un ritorno all’arma chimica, l’“arma dei poveri”. Ma non era inevitabile che qualcuno ci provasse in Siria, dopo i silenzi, la vuota retorica, e l’impunità internazionale garantita ai massacratori delle due parti, dopo 100mila morti e 4 milioni di profughi?
Posted on: Sat, 07 Sep 2013 10:02:08 +0000

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