Dopo il congresso, niente Le paranoie del Pd La conta delle - TopicsExpress



          

Dopo il congresso, niente Le paranoie del Pd La conta delle tessere di Cosenza passa agli archivi (per ora) lasciandosi alle spalle una sensazione di vuoto, di bottiglie che non si possono stappare. Nessuno può far festa mentre rimane in piedi, a pieno titolo, il “mistero Laratta” Riesce a fare tutto da solo il Pd e a differenza di Berlusconi, che sa scegliere grandi teatralità quando fa nascere o morire un partito, il contesto in cui si muove va sul deprimente andante. Sul decadente. Dentro la paranoia. Fa tutto da solo il Pd, dicevamo. Si fa la gara in casa, la contesa. Si costruisce più nemici che leader. Imbroglia quando può, e spesso può. Celebra e poi convalida vittorie congressuali quando sul ring è salito un solo pugile. Non s’è mai sentito il “gong”. A Cosenza di tutto un po’. È come se le caratteristiche endemiche e perverse di questo partito si concentrassero in scala in questa che è una provincia grande ma non al punto da contenerle tutte le negatività. È qui che si danno appuntamento ambizioni e repressioni, vendette, intrighi, affari da spartire, poltrone da difendere, posizioni da scalare. Finti giovani (o giovani vecchi) che si danno il cambio con stempiati marpioni che pensano di saperne una più del diavolo. In mezzo una generation di potenziali disoccupati della e dalla politica che tremano come foglie al vento al solo pensiero di rimanere senza incarichi da qui a poco, e senza stipendio ovviamente. Non contenesse queste “primizie” Cosenza non sarebbe finita nella sezione che il Corriere della Sera ha riservato al fango della conta congressuale. In mezzo a Frosinone, Latina, Asti con la foto dei carabinieri davanti ai seggi e il simbolo del partito a fare da didascalia. Ma non è bastato tutto questo a coprire la fase congressuale della provincia di Cosenza con un velo di misericordiosa pietà umana. Non è bastato. La vittoria (di Pirro) s’è celebrata comunque in una domenica paradossale e in un cinema surreale, con applausi vuoti e scontati e senza un movente per farli sentire più forte. Non serviva. Tutto scontato, tutto naturalmente ovvio. Tutto da rituale con i big in prima fila, il concorrente che vince senza sfidante, il popolo poco appassionato e molto più “cliente” a scaldarsi le mani prima di andare a pranzo. Siamo certi che anche Luigi Guglielmelli (è lui il segretario provinciale, diciamo giovane solo perché nato non molto tempo fa) avrebbe preferito una scena migliore per cominciare il suo film. Scelto dall’asse incredibilmente di ferro ripassato con l’acciaio (Mario Oliverio e Nicola Adamo) Luigi Guglielmelli in queste ore sta tentando di rivestire la sua vittoria di un tocco di vernice più civile, salubre, dialogante, progressista. Manda ponti di legno sospesi nell’acqua a Franco Laratta, messaggi che fanno riferimento a una stagione nuova che deve aprirsi per tutto il partito, è ora di dire basta alle divisioni. Anche queste, sia pure da gradire nelle formali intenzioni, solo parvenze di rito. Come la risposta, anche questa scontata, dello stesso Laratta che non poteva che ricordare all’ex sfidante che erano altri i momenti in cui ci si poteva confrontare con serenità. Ora non serve perché quel che è fatto è fatto. Sagre del rito decadente del Pd. Gesti e controgesti di un partito che si convince, per sopravvivere, che esiste una realtà al di fuori a sua misura, che lo perdona e lo aspetta, che non fa altro che pensare a lui. E sappiamo bene che non è così. Su una cosa il Pd è più abile degli altri partiti. Sa mascherare i suoi misteri lasciando che si cuociano lentamente. Sperando che si consumino. Non si spiega diversamente l’oblio che è calato attorno alle dimissioni, al ritiro dalla corsa, di Franco Laratta. S’è detto per convenzione che del clima torbido delle schede taroccate non ne poteva più. Gli altri hanno risposto che forse s’era accorto d’aver perso. Può darsi l’una, può darsi l’altra delle risposte. Ma può darsi anche che ci sia altro ancora che Laratta non dice e che invece qualcuno conosce benissimo. La domanda ad oggi rimane ancora intatta nel suo mistero di fondo. Perché Franco Laratta ha smesso di gareggiare quando non si era ancora a metà gara? Niente era irrecuperabile dal punto di vista della battaglia congressuale delle schede e anche perdere “bene” in ogni caso poteva avere un senso. E allora? Perché rinunciare subito? Il meglio dei fendenti da guerra congressuale ancora doveva venire fuori, questa è una terra viscida e piena di insidie e non è difficile trovare guai (non solo politici) degli avversari da mettere in vetrina. Mediaticamente non ci vuole poi molto. Ma non si è arrivati a questo. Laratta s’è chiamato fuori ben prima. Ma perché? Siamo sicuri che oltre alle schede non ci siano altri argomenti alla base? Siamo certi che tutti quelli che stanno dalla sua parte politica hanno remato sempre e comunque verso l’unica direzione? “Roma” era al corrente prima di come sarebbero poi andate le cose? E cosa ne pensa ora? Mistero. Il mistero Laratta o se preferite una delle facce della paranoia Pd. Che ha finito di contare le sue tessere (non si sa quanto dopate). E ora aspetta tempi migliori magari anche “cadaveri” che arrivano dall’alta parte del fiume (Scopelliti che si trova metà dei consiglieri di prima). Ma guai a fidarsi dei mali altrui. È prima di metterlo nel forno che si fa il sapore del pane. Poi non si può fare più niente.
Posted on: Sat, 16 Nov 2013 10:04:14 +0000

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