«E proprio questo è il guaio, che non pensi. Svegliati, finché - TopicsExpress



          

«E proprio questo è il guaio, che non pensi. Svegliati, finché sei in tempo. E sei in tempo. Sei ancora giovane, graziosa; potresti amare, sposarti, essere felice...» «Non tutte quelle sposate sono felici», troncò nel solito modo sgarbato, parlando come una macchinetta. «Non tutte, naturalmente: e tuttavia è molto meglio che qui. Incomparabilmente meglio. E con lamore si può vivere anche senza felicità. Anche nel dolore la vita è bella, è bello stare al mondo, comunque si viva. Mentre qui che cè, a parte... il fetore? Puah!». Mi voltai con ribrezzo; ormai non disquisivo più freddamente. Cominciavo io stesso a sentire quel che dicevo, e mi infiammavo. Ormai ero ansioso di esporre le mie ideuzzesegrete, sofferte nel mio cantuccio. Qualcosa a un tratto si accese in me, era apparso uno scopo. «Tu non guardare me, se mi vedi qui: non sono un buon esempio. Io, forse, sono ancor peggio di te. Del resto, sono entrato qui ubriaco», mi affrettai tuttavia a giustificarmi. «Inoltre luomo non può essere un esempio per la donna. La faccenda è diversa; anche se qui mi infango e insudicio, non sono schiavo di nessuno; ci sono stato e me ne vado, e chi sè visto, sè visto. Me lo scrollo di dosso e sono nuovamente un altro. Ma prendiamo solo il fatto che fin dallinizio tu sei schiava. Sì, schiava! Tu cedi tutto, tutta la tua volontà. E poi vorrai spezzare queste catene, ma ormai no: ti legheranno sempre più saldamente. È una catena maledetta. Io la conosco. Daltro non parlo neppure, e poi tu non capiresti, forse, ma ecco, dimmi un po: certo ti sei già indebitata con la padrona, vero? Ecco, vedi!», aggiunsi, anche se non mi aveva risposto, ma ascoltava soltanto in silenzio, con tutto il suo essere. «Eccoti la catena! Non ti riscatterai mai più. Fanno così. È come vender lanima al diavolo... ...E inoltre io... forse sono altrettanto infelice, che ne sai, e anchio mi immergo apposta nel fango, per langoscia. Non si beve forse per la disperazione? Ebbene, io sono qui per la disperazione. Ma dimmi, che cè qui di buono: ecco, io e te... ci siamo incontrati... poco fa, e per tutto il tempo non ci siamo detti una parola, e tu, come selvaggia, solo dopo hai cominciato a osservarmi; e io te. Si ama forse così? Si devono forse incontrare così due esseri umani? È tutto un orrore, ecco cosa!». «Sì!», si affrettò ad acconsentire bruscamente. Mi meravigliò perfino la fretta di quel sì. Dunque anche a lei, forse, vagava nella testa quello stesso pensiero, quando prima mi studiava? Dunque anche lei era già capace di certi pensieri?... Al diavolo, è curioso, questa è - affinità, pensavo, quasi fregandomi le mani. E del resto, come non aver ragio- ne di unanima così giovane?.... Soprattutto mi appassionava il gioco. Lei volse il capo e lavvicinò a me e, mi parve nelloscurità, si appoggiò alla mano. Forse mi studiava. Come mi dispiaceva di non poter distinguere i suoi occhi. Sentivo il suo respiro profondo. «Perché sei venuta qua?», cominciai con un tono già quasi imperioso. «Così...». «Eppure come sarebbe bello vivere nella casa paterna! Al calduccio, in libertà; nel tuo nido». «E se fosse peggio di così?». Bisogna azzeccare il tono, mi balenò in testa, con il sentimentalismo, forse, non si ottiene molto. Del resto fu solo un attimo. Lo giuro, lei mi interessava davvero. E poi ero rilassato e nella giusta disposizione. Daltronde, limpostura convive così facilmente col sentimento. «Chi lo dice!», mi affrettai a rispondere. «Tutto può essere. Infatti sono sicuro che qualcu- no ti ha offesa e che sono gli altri colpevoli nei tuoi confronti, piuttosto che tu nei loro. Certo io non so nulla della tua storia, ma una ragazza come te, probabilmente, non capita qui dentro di sua volontà...».«E che ragazza sarei io?», sussurrò in modo appena percettibile; ma io sentii. Al diavolo, ma la sto adulando. È disgustoso. O forse è anche bene.... Lei taceva. «Vedi, Liza, ti dirò di me! Se avessi avuto una famiglia fin dallinfanzia, non sarei quello che sono adesso. Ci penso spesso. Perché per quanto si stia male in famiglia, sono pur sempre il padre e la madre, e non dei nemici, non degli estranei. Almeno una volta allan- no ti dimostreranno affetto. Saprai pur sempre che sei in casa tua. Io invece sono cresciuto senza una famiglia; forse per questo sono venuto su così... insensibile». Aspettai di nuovo. Forse non capisce nemmeno, pensavo, e poi è ridicolo: la morale!. «Se fossi un padre e avessi una figlia mia, credo che amerei la figlia più dei maschi, davvero», cominciai alla lontana, come se cambiassi argomento per distrarla. Confesso che arrossivo. «E perché?», domandò. Ah, dunque ascoltava! «Così; non so, Liza. Vedi: conoscevo un padre che era un uomo severo, rigido, ma dinanzi alla figlia stava in ginocchio, le baciava le mani e i piedi, non poteva saziarsi di ammirarla, davvero. Lei balla a una festa, e lui sta fermo nello stesso posto per cinque ore, non le stacca gli occhi di dosso. È impazzito per lei; io questo lo capisco. Lei di notte, stanca, si addormenta, e lui si sveglia e va a baciarla mentre dorme e a darle la benedizione. Lui gira con un soprabitino bisunto, per tutti è avaro, ma per lei spende il suo ultimo rublo, le fa regali preziosi, ed è una gioia per lui se il regalo le piace. Il padre ama sempre le figlie più della madre. Come è allegro per certe ragazze vivere in casa! E io, credo, mia figlia non vorrei neppure darla in sposa». «E perché mai?», domandò lei, sorridendo appena. «Sarei geloso, quanto è vero Dio. Be, è mai pensabile che si metta a baciare un altro? Ad amare un estraneo più del padre? È penoso perfino immaginarlo. Naturalmente sono tutte sciocchezze; naturalmente chiunque finisce con lintender ragione. Ma io, credo, prima di cederla, sarei assillato da un solo pensiero: scartare tutti i pretendenti. E comun- que finirei col darla a colui che ella stessa ama. Infatti, quello di cui la figlia sinnamora al padre sembra sempre il peggiore. È proprio così. E questo genera molto male nelle fami- glie». «Altri invece sono felici di venderla, la figlia, altro che maritarla onorevolmente», disse lei a un tratto. Ah! Ecco di che si trattava! «Questo, Liza, in quelle famiglie maledette dove non cè né Dio né amore», ripresi con calore, «e dove non cè lamore, non cè neppure il buon senso. Esistono delle famiglie così, è vero, ma non è di quelle che parlo. Si vede che dalla tua famiglia non hai avuto nessun bene, se parli così. Sei veramente disgraziata. Hmm... Il più delle volte è la povertà la causa di tutto». «E dai signori è forse meglio? La gente onesta vive bene anche in povertà». «Hmm... sì. Forse. Di nuovo, Liza: alluomo piace calcolare soltanto il suo dolore, e lafelicità non la calcola. Ma se facesse bene i conti, vedrebbe che a ogni destino ne è riserva- ta una parte. Ebbene, e se nella famiglia le cose van bene, se Dio manda la sua benedizio- ne, capita un bravo marito che ti ama, ti vezzeggia e non si allontana da te! Si sta bene in quella famiglia! Talvolta anche condividere un dolore è bello; e poi dove non cè dolore? Forse ti sposerai, lo saprai da te. In compenso, se prendiamo magari i primi tempi dopo aver sposato chi ami: quanta felicità arriva talvolta! È una felicità continua. Nei primi tempi perfino i litigi col marito finiscono bene. Alcune quanto più amano, tanto più litiga- no col marito. Davvero; ne conoscevo una così: Ecco, pareva dire, ti amo, e per amore ti tormento tanto, e tu capiscilo. Lo sai che per amore si può tormentare apposta una persona? Lo fanno soprattutto le donne. E lei stessa pensa fra sé: In compenso poi ti amerò tanto, ti accarezzerò tanto, che non è un peccato farti penare un po adesso. E nella casa tutti si rallegreranno per voi, e ci sarà la serenità, e lallegria, e la pace, e lonestà... Altre magari sono gelose. Se lui se ne va da qualche parte (ne conoscevo una così), lei non lo sopporta, e nel cuore della notte si precipita fuori, e corre di nascosto a spiare: non sarà là, in quella casa, con quella tale? E questo è male. E lo sa anche lei che è male, e il cuore le resta sospeso, e si tortura, eppure ama; tutto per amore. E comè bello dopo la lite far la pace, riconoscersi colpevole per prima davanti a lui oppure perdonare! E come stanno bene entrambi, come diventa improvvisamente bello, quasi si fossero incontrati di nuovo, si fossero sposati di nuovo, il loro amore fosse iniziato di nuovo. E nessuno, nessuno deve sapere quel che accade fra il marito e la moglie, se si vogliono bene. E qualunque litigio nasca fra loro, neppure la madre, neppure lei devono chiamare a giudicare, o raccontarle luno dellaltra. Sono solo loro i giudici di se stessi. Lamore è un mistero divino e deves- sere celato a tutti gli occhi estranei, qualunque cosa succeda. Così è più sacro, più bello. Si rispettano di più, e molto si basa sul rispetto. E se lamore cè stato una volta, se per amore si sono sposati, perché lamore dovrebbe finire? Non lo si può forse sostenere? È raro il caso in cui non lo si possa sostenere. E poi, se si ha la fortuna di un marito buono e onesto, come può finire lamore? Il primo amore del matrimonio finirà, è vero, ma allora suben- trerà un amore ancor più bello. Allora le loro anime si incontreranno, ed essi metteranno in comune ogni cosa; non avranno segreti luno per laltra. E quando arriveranno i figli, ogni momento, anche il più difficile, sembrerà felicità; purché si ami e si sia coraggiosi. Allora anche il lavoro è allegro, allora qualche volta rinunci anche al pane per i figli, eppure lo fai con gioia. Perché essi ti ameranno poi per questo; dunque accumuli per te stesso. I figli crescono: senti che sei un esempio, che sei un sostegno per loro; che anche se morrai, loro porteranno in sé per tutta la vita i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri, così come li hanno ricevuti da te, assumeranno la tua immagine e somiglianza. Significa che questo è un grande dovere. Come possono non sentirsi più uniti il padre e la madre? Dicono che è faticoso avere dei figli? Chi lo dice? È una felicità celeste! Ti piacciono i bambini piccoli, Liza? A me piacciono da morire. Sai: un bimbetto tutto roseo che ti succhia il seno: ma a quale marito il cuore si rivolgerà contro la moglie, guardandola tenere in braccio il suo stesso bambino! Il bambinello roseo, paffutello, si allunga, si coccola; i piedini e le manine di burro, le unghiette pulitine, piccole, così piccole che è buffo guardarle, gli occhietti come se capisse già tutto. E succhia: con la manina ti tira il seno, gioca. Si avvicina il padre: si stacca dal seno, si piega tutto allindietro, guarda il padre, ride - proprio come fosse Dio sa quanto divertente - e di nuovo, di nuovo riprende a succhiare. O altrimenti prende e morde il seno alla madre, se gli spuntano già i dentini, e con gli occhietti le lancia uno sguardo: Vedi, ti ho morso!. Ma non è forse la felicità, quando loro tre, il marito, la moglie e il bambino, sono insieme? Per questi momenti si può perdonare mol- to. No, Liza, prima dobbiamo noi imparare a vivere, e soltanto dopo incolpare gli altri!». Quadretti, proprio con questi quadretti bisogna accalappiarti!, pensai fra me, anche seavevo parlato con sentimento, quanto è vero Dio, e a un tratto arrossii. E se a un tratto lei scoppierà a ridere, dove andrò a nascondermi?. Lidea mi fece infuriare. Verso la fine del discorso mi ero veramente infervorato, e adesso il mio amor proprio soffriva. Il silen- zio perdurava. Ebbi perfino voglia di darle uno spintone. «Lei però...», cominciò a un tratto e si fermò. Ma avevo già capito tutto: nella sua voce vibrava già qualcosa di diverso, non brusco, non sgarbato e scontroso come poco prima, bensì qualcosa di dolce e pudico, così pudico che a un tratto io stesso mi vergognai dinanzi a lei, mi sentii colpevole. «Che cosa?», domandai con tenera curiosità. «Ma lei...» «Che cosa?» «Lei... parla proprio come un libro stampato», disse, e a un tratto nella sua voce risuonò di nuovo una nota di derisione. Quellosservazione mi punse dolorosamente. Non era quello che mi aspettavo. E non capii che il sarcasmo era una maschera, che era la tipica, ultima scappatoia delle persone pudiche e caste di cuore, a cui tentino di insinuarsi brutalmente e insistentemen- te nellanima, e che fino allultimo momento non cedono per orgoglio, timorose di espri- mere il loro sentimento dinanzi a voi. Già dalla timidezza con cui era arrivata, in diverse mosse, alla sua battuta sarcastica, decidendosi solo alla fine a pronunciarla, avrei dovuto indovinare. Ma non indovinai, e un sentimento malvagio mi sopraffece. Aspetta un po, pensai. VII «Eh, basta, Liza, ma quale libro stampato, quando io stesso provo un tale schifo, pur dallesterno. Anzi, no, non dallesterno. Nella mia anima adesso si è risvegliato tutto... Possibile, possibile che tu stessa non provi schifo qua dentro? No, si vede che labitudine vuol dir molto! Lo sa il diavolo come può ridurre un uomo labitudine. Ma non penserai sul serio che non invecchierai mai, che sarai eternamente bella e ti terranno qui fino alla fine dei secoli? Non parlo già del fatto che anche qui è un laidume... E del resto, ecco quel che ti voglio dire anche di questo, della tua vita di adesso; ecco, anche se adesso sei giova- ne, attraente, buona, con unanima, con del sentimento; ebbene, ma lo sai che poco fa, appena mi sono svegliato, ho subito provato schifo di essere qui con te? Solo da ubriachi infatti si può finir qui. Mentre se tu fossi in un altro posto, se vivessi come vive la gente onesta, allora, forse, non solo ti farei la corte, ma semplicemente mi innamorerei di te, sarei lieto di un tuo sguardo, non dico di una parola; rimarrei appostato davanti al tuo portone, starei in ginocchio davanti a te; ti guarderei come una fidanzata, e ancora lo riterrei un onore. Non oserei pensare alcunché di poco pulito su di te. Mentre qui so che mi basta fare un fischio, e tu, volente o nolente, mi seguirai, e non sarò io a dipendere dalla tua volontà, ma tu dalla mia. Il più misero mu• ik che viene ingaggiato per un lavoro non asservisce comunque tutto se stesso, e poi sa che ha un termine. Ma dovè il tuotermine? Pensa soltanto: che cosa dài qui dentro? Che cosa asservisci? Lanima, lanima, di cui tu non puoi disporre, lasservisci insieme al corpo! Lasci profanare il tuo amore da qualsiasi ubriacone! Lamore! - ma è tutto, ma è il diamante, il tesoro di una fanciulla, lamore! E per meritare quellamore, qualcuno è disposto a giocarsi lanima, ad affrontare la morte. E quanto viene valutato adesso il tuo amore? Sei tutta comprata, tutta intera, e a che scopo allora conquistarsi il tuo amore, quando anche senza amore tutto è possibile? No, non cè oltraggio peggiore per una ragazza, lo capisci? Ecco, ho sentito che vi conso- lano, sciocche che siete, permettendovi di avere degli amanti qui dentro. Ma questo è soltanto un contentino, soltanto un inganno, soltanto una beffa ai vostri danni, e voi ci credete. Forse che lui, lamante, ti ama davvero? Non ci credo. Come può amare, sapendo che possono chiamarti via da lui da un momento allaltro? Sarebbe proprio un porco! Ti rispetta forse almeno un briciolo? Che hai in comune con lui? Ride di te e ti sfrutta: ecco tutto il suo amore! E sei fortunata se non ti picchia. O forse ti picchia anche. Chiedigli un po, se ne hai uno: ti sposerà? Ma scoppierà a riderti in faccia, se solo non ti sputerà addosso o non ti batterà: e forse lui stesso non vale che due soldi bucati. E che credi, per cosa hai rovinato qui la tua vita? Perché ti dan da bere caffè e da mangiare a sazietà? Ma per cosa ti danno da mangiare? A unaltra, a una onesta, un boccone simile non andrebbe giù, perché sa per cosa le danno da mangiare. Tu qui sei in debito, e sarai sempre in debito e fino alla fine di tutto sarai in debito, fino a quando gli ospiti cominceranno a disdegnarti. E il momento arriverà presto, non contare sulla giovinezza. Qui il tempo galoppa a spron battuto. E così ti sbatteranno fuori. E non solo ti sbatteranno fuori, ma molto tempo prima cominceranno a recriminare, cominceranno a rimproverarti, comin- ceranno a insultarti: come se tu non avessi dato la tua salute, non avessi perduto invano la giovinezza e lanima per la padrona, bensì avessi mandato lei in rovina, lavessi ridotta in miseria, derubata. E non aspettarti sostegno: anche le altre tue amiche ti assaliranno, per ingraziarsi la padrona, perché qui sono tutte in schiavitù, hanno perso da tempo la co- scienza e la pietà. Si sono abbrutite, e ormai sulla terra non cè nulla di più turpe, vile, offensivo di quegli insulti. E tu avrai lasciato tutto qui, tutto, senza riserve: la salute, la giovinezza, la bellezza e le speranze, e a ventidue anni sembrerai averne trentacinque, e andrà ancor bene se non sarai malata, prega Iddio per questo. Perché tu forse ora pensi che il tuo non sia neppure un lavoro, ma una pacchia! Ma al mondo non cè, né cè mai stato lavoro più pesante e da galera. Parrebbe che il cuore dovesse struggersi tutto in lacrime. E non oserai dire neanche una parola, neanche mezza, quando ti scacceranno da qui, te ne andrai come una colpevole. Passerai in un altro posto, poi in un terzo, poi chissà dove ancora, finché approderai alla Sennaja. E là ormai cominceranno a picchiarti come se niente fosse; è la gentilezza di quei posti; là il cliente non sa neppure accarezzare senza aver prima picchiato. Non ci credi, che là è così orribile? Vacci, guarda una volta o laltra, forse lo vedrai con i tuoi occhi. Io là ne ho vista una a Capodanno, davanti a un portone. Lavevano sbattuta fuori i suoi, per deriderla, a congelarsi un pochino, perché strillava troppo e avevano chiuso la porta dietro di lei. E alle nove del mattino era già completa- mente ubriaca, scarmigliata, discinta, massacrata di botte. Era imbellettata, ma con i lividi intorno agli occhi; dal naso e dai denti le colava il sangue: un vetturino laveva appena conciata per le feste. Sedeva su una scaletta di pietra, in mano aveva un pesce salato; piangeva, cantilenava una litania sulla sua malasorte, e batteva il pesce sui gradini della scala. E davanti allingresso si erano affollati dei vetturini e dei soldati ubriachi, che la prendevano in giro. Tu non ci credi, che farai la stessa fine? Anchio non vorrei creder- ci, ma chi lo sa, forse dieci, otto anni fa anche lei, quella col pesce salato, era venuta qui da chissà dove fresca come un cherubino, innocente, pura; non conosceva il male, a ogni parola arrossiva. Forse era come te, orgogliosa, suscettibile, diversa dalle altre, guardava come una regina e sapeva bene quale felicità attendeva colui che lavesse amata e che leiavesse amato. Vedi come è finita? E se in quello stesso momento in cui batteva quel pesce sui gradini sudici, ubriaca e scarmigliata, se in quel momento si fosse ricordata i suoi puri anni passati, quando viveva nella casa del padre e andava ancora a scuola, e il figlio del vicino le faceva la posta per strada, le giurava che lavrebbe amata per tutta la vita, che le avrebbe affidato il suo destino, e quando insieme avevano stabilito di amarsi per sempre e sposarsi, appena fossero diventati grandi! No, Liza, sarà una fortuna, una fortuna per te, se morirai al più presto di tubercolosi da qualche parte, in un angolo, in uno scantina- to, come quella di stamane. Allospedale, dici? Va bene, ti ci porteranno; ma se la padrona ha ancora bisogno di te? La tubercolosi è una malattia balorda; non è la malaria. Fino allultimo istante uno spera e dice di star bene. Si autoinganna. E la padrona ci guadagna. Sta tranquilla, è così: hai venduto lanima, e per di più devi dei soldi, dunque non oserai neppure fiatare. E quando sarai moribonda, tutti ti abbandoneranno, tutti si volteranno dallaltra parte, perché ormai che si può ricavare da te? E oltretutto ti rinfacceranno di occupare il posto gratis, di non sbrigarti a morire. Non potrai chiedere da bere, senza che te lo porgano con improperi: E quando crepi, diranno, schifosa; ci impedisci di dormi- re: gemi, i clienti si disgustano. È vero; io stesso ho colto parole simili. Ti cacceranno, agonizzante, nellangolo più puzzolente dello scantinato: buio, umidità; che cosa non penserai allora, giacendo lì da sola? Morirai: ti raccoglieranno alla svelta, con mani estra- nee, con brontolii, con impazienza; nessuno ti benedirà, nessuno sospirerà per te, pense- ranno solo a sbarazzarsi di te al più presto. Compreranno una cassa di legno grezzo, ti porteranno fuori, come oggi hanno portato fuori quella poveretta, poi andranno a com- memorarti allosteria. Nella fossa fango, sporcizia, neve fradicia - è forse il caso di far cerimonie per te? Dài, buttala giù, Vanjucha; guarda, la malasorte anche qui è andata a gambe allaria, da quella che è. Accorcia le corde, demonio. Va bene anche così. Come va bene? Non vedi che è distesa sul fianco? Era pur sempre un essere umano, o no? E va bene, butta la terra. Per causa tua non varrà neppure la pena di insultarsi troppo. Ti ricopriranno alla svelta di argilla livida e bagnata e andranno allosteria... E così finirà anche la tua memoria sulla terra; sulla tomba degli altri si recano i figli, i padri, i mariti, per te invece né una lacrima, né un sospiro, né una preghiera, e nessuno, nessuno mai nel mondo intero verrà a trovarti; il tuo nome sparirà dalla faccia della terra: proprio come se non fossi mai esistita e mai nata! Fango e acquitrino, per quanto tu bussi contro il coper- chio della bara laggiù, di notte, quando i morti si levano: Lasciatemi andare, buona gente, a vivere nel mondo! Ho vissuto, ma la vita non lho conosciuta, la mia vita si è consumata come uno straccio; se la sono bevuta in unosteria della Sennaja; buona gente, lasciatemi vivere ancora una volta al mondo!...». [memorie dal sottosuolo]
Posted on: Sat, 22 Jun 2013 08:55:34 +0000

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