Ecco il continuo... “Scomparso?” chiese sorpreso Leon, non - TopicsExpress



          

Ecco il continuo... “Scomparso?” chiese sorpreso Leon, non riuscendo a credere a quelle parole. La posizione del ragazzo si sarebbe aggravata non appena ritrovato. Pablo si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Doveva riflettere: l’interrogatorio ai tre insegnanti gli aveva dato parecchi indizi, ma c’era ancora qualcosa di poco chiaro. La prima cosa da fare forse era ispezionare l’appartamento di Gregorio per saperne qualcosa di più. “A cosa sta pensando?” chiese l’assistente, avendo notato il suo viso concentrato. “Ho tre domande nella mia mente che devono trovare risposta. Perché non si è sentito lo sparo? Che ruolo riveste la tazzina di caffè nel delitto? E l’ultima, ma non meno importante: chi è il personaggio della foto che ho visto in casa di Francesca?” esclamò Pablo. “Solo queste tre domande? Davvero? Io ne avrei altre centomila” specificò Leon. “Queste sono le questioni che mi preme di più risolvere” rispose seccamente l’uomo. “Parliamo con Camilla Torres? Potrebbe aver visto Maxi, visto che era assente anche lei alla lezione di Jackie” propose il ragazzo. Sarebbero dovuti tornare a scuola, e lui ne avrebbe approfittato per dare un’occhiata al giardino sul retro della scuola per trovare indizi. Non appena arrivarono, Galindo si diresse nell’aula di danza per interrogare la giovane. “La raggiungo dopo…vorrei prima verificare alcune cosa se me lo permette” spiegò l’assistente. Una volta ottenuto il consenso del capo, fece il giro della scuola e cominciò a perlustrare la zona. Niente…si avvicinò alla finestra dell’ufficio di Gregorio. Tutto normale, o almeno così gli pareva. Cercò di scavalcare la finestra, e ce la fece tranquillamente; chiunque avrebbe potuto farlo, non ci voleva alcuna abilità particolare. Dopo averla scavalcata nuovamente, ebbe occasione di sentire una parte di una conversazione: “Non ce la faccio più!”. Quella voce gli era familiare: si trattava di Natalia, ma con chi stava parlando? Si mise dietro un cespuglio continuando ad ascoltare; “Natalia, non essere sciocca, dobbiamo giocarci bene questa carta”. Anche quella voce gli era nota: era l’amica bionda di Natalia, Ludmilla. “Ma, se poi…” cominciò a dire la mora, bloccandosi di colpo. Un fruscio colpì la loro attenzione; “Qualcuno ci sta spiando?” chiese Natalia spaventata. “Silenzio! Andiamocene da qui” sibilò l’altra con un tono serio. Leon uscì dal suo nascondiglio non appena fu sicuro che si fossero allontanate: qualcun altro oltre lui aveva seguito quella conversazione. “Allora, signorina Torres è sicura delle sue parole? Non ha avuto occasione di vedere il signorino Maxi?” chiese Pablo, guardando negli occhi la ragazza. Camilla era una bellissima ragazza con il fisico da ballerina, capelli castani con alcuni riflessi color rame, occhi vispi scurissimi e un sorriso vivace. “Certamente no” rispose la giovane con un certo nervosismo. “E mi sa dire come mai il giorno del delitto lei non era presente alla lezione di Jackie?” la interrogò nuovamente. “Io…non mi sentivo molto bene, quindi me ne sono andata via prima” disse Camilla. “Signorina Torres, siamo di fronte a un delitto, e non è il momento di indugiare. Se sa qualcosa me lo deve dire…” la incoraggiò l’investigatore. Un minuto di silenzio calò nella stanza; Camilla sembrava incerta sul da farsi, voleva parlare, ma era come se qualcosa la frenasse proprio all’ultimo: “Non ho nulla da aggiungere…e ora se me lo permette dovrei andare”. Pablo annuì e la guardò allontanarsi; sicuramente gli nascondeva qualcosa, ma non aveva avuto la forza di parlare. Aveva solo paura che quando si fosse decisa sarebbe stato troppo tardi. Leon si sedette rassegnato su una panchina con aria afflitta: non aveva trovato nulla di nulla e per questo era alquanto depresso, quando qualcuno si sedette accanto a lui. “Signorina Castillo” esclamò il giovane, illuminandosi di colpo alla sua vista. Violetta gli sorrise guardandolo negli occhi: “La vedo un po’ abbattuto”. “Non ho trovato alcun indizio per quest’indagine” spiegò deluso, ma poi aggiunse: “Però vederti mi ha reso davvero felice”. La ragazza, che prima si era irrigidita di colpo al sentire la parola indizio, arrossì piano. Le aveva dato del tu, e in quell’atmosfera così particolare il cuore cominciò a batterle forte. Con la mano sfiorò la sua mentre continuava a fissarlo, a perdersi in quegli occhi verdi. A quel punto Leon non seppe resistere e si avvicinò sempre di più, chiudendo lentamente gli occhi. Violetta fece lo stesso quasi inconsciamente finché le loro labbra non si sfiorarono per poi andare a combaciare perfettamente. Il giovane le prese la mano e la accarezzò delicatamente, mentre continuava a baciarla con sempre più passione. Violetta dischiuse le labbra per approfondire ulteriormente quel bacio. Posò la mano destra sulla sua spalla, mentre la sinistra era ancora stretta in quella di Leon. Si separarono lentamente, come se volessero assaporare ogni momento di quello che era successo, come se stessero facendo una gran fatica per allontanarsi. Leon sentì di non riuscire nemmeno a respirare tanto era emozionato: “Io...non riesco a crederci”. Frase banalissima, al limite del demenziale, ma in quel momento non era in grado di dire nient’altro. Violetta lo guardò ancora rossissima e prendendogli il viso tra le mani lo baciò nuovamente. Sentiva il bisogno di sentire il calore di quelle labbra, tutto gli dava un senso di protezione che desiderava profondamente. Quando si separò però nei suoi occhi stavolta si poté leggere unicamente tristezza: “E’ stato un errore, uno sbaglio. Non ci possiamo più vedere”. Si alzò velocemente, ma Leon altrettanto rapidamente scattò in piedi e le afferrò il braccio: non poteva lasciarla andare così, non senza una spiegazione. Si avvicinò nuovamente fino a poggiare la fronte sulla sua, guardandola innamorato. Violetta si liberò dalla presa e mise le mani avanti per allontanarlo, finendo col poggiarle sul suo petto. Era in grado di sentire il battito accelerato del suo cuore, e si sentì in colpa per aver fatto innamorare quel ragazzo. Un amore che non avrebbe mai potuto ricambiare, non in quel momento della sua vita. Leon la guardava come se davanti a sé avesse un oggetto prezioso da custodire con tutte le sue forze, desiderava proteggerla da tutto e da tutti, e non si sapeva spiegare nemmeno lui il perché. “Violetta!”. Una voce interruppe quel contatto visivo e quella stretta che univa i loro corpi. “Arrivo subito, Francesca” esclamò la ragazza, allontanandosi piano. Si voltò di scatto e cominciò a correre in direzione dell’amica. Non poteva voltarsi, non voleva leggere la delusione nei suoi occhi. “Qui abbiamo finito” esclamò Galindo avvicinandosi al suo assistente, buttato sulla panchina con uno sguardo perso nel vuoto e il morale a terra. Sembrava quasi che un treno l’avesse messo sotto. “Ma a quanto pare, qui le cose non vanno bene. E’ successo qualcosa?” chiese premurosamente. “Niente, niente, sono solo un po’ stanco…” sussurrò Leon, mettendosi in piedi. Non voleva pensarci: aveva delle responsabilità in quel caso e non poteva mandare la sua carriera per una cotta che sicuramente col tempo sarebbe passata. Ritornarono in fretta nell’ufficio del signor Galindo per sapere se fossero arrivati i risultati dell’analisi della tazzina di caffè. Ancora niente di nuovo. I due aspettarono in silenzio nello studio; Pablo si era messo seduto con i piedi sulla scrivania, mentre Leon faceva avanti e indietro lavorando al suo archivio. D’un tratto il giovane si fermò e prese un foglio per sedersi di fronte al suo mentore: “Ricapitolando…Diego trova il corpo di Gregorio, Maxi scompare, Jackie porta il caffè al direttore, ma poi non entra più nel suo studio. Dopo nella sala professori arrivano Nata, Ludmilla e infine Francesca, alla quale viene richiesto di andare da Gregorio. Quindi, facendo i conti entrano nellufficio del direttore solo Jackie, Francesca e Diego. Però ho notato che è possibile entrare anche dalla finestra che da sul giardino sul retro senza essere notati, quindi risultano sospetti tutti quelli che erano allo Studio… primo tra tutti Maxi che è scomparso all’improvviso. Potrebbe essere anche stato ucciso perché ha visto qualcosa” riepilogò scrupolosamente l’assistente. “Esatto, ma i tre professori sono esclusi, visto che sono stati tutto il tempo in aula professori. Inoltre dobbiamo capire perché Maxi e Camilla non si sono presentati alla lezione di Jackie, come anche la signorina Castillo che eppure è stata tutto il giorno alla scuola” aggiunse Pablo pensieroso. “E dobbiamo perquisire l’appartamento di Gregorio, penso lo faremo domani mattina, per fortuna abbiamo messo qualcuno a sorvegliarlo, per evitare intrusioni” concluse poi con un sospiro. “Il passato di tutti questi individui allo Studio…Non capisco, nessuno sembra aver avuto a che fare con Gregorio” disse Leon confuso. “Già così pare, ma ho chiesto ad alcuni agenti di svolgere delle indagini in un luogo in particolare” disse Pablo. “In Italia, vero? Quella lettera che Gregorio aveva scritto, parlava di qualcuno, di una donna che veniva dall’Italia” ipotizzò il giovane. “Esatto. Gregorio è di nazionalità italiana ed è venuto a Londra da giovane. Ho scoperto che Jackie, Angie, Francesca e Federico vengono dall’Italia” disse Pablo. “Angie non le sembra un po’ sospetta? Insomma, perché non è voluta andare nello studio di Gregorio? Forse sapeva già che era morto e non voleva trovarsi nel luogo del delitto?” chiese l’assistente, portandosi una matita alla tempia e grattandosi piano. “Tutto ancora da scoprire, ma è solo questione di tempo, anche perché se quello che penso è vero…” esclamò l’investigatore, preso dalle sue riflessioni. Qualcuno bussò alla porta. “Avanti” disse l’uomo con una punta di emozione nella voce. Entrò uno degli agenti in divisa con una busta giallognola in mano. Gliela porse in tono confidenziale ed uscì, seguito con lo sguardo da Leon. “Qui dentro c’è la possibilità di fare grandi progressi nella risoluzione del caso…” sussurrò Pablo. “Che aspetta? La apra!” esclamò Leon agitato. L’investigatore si alzò in piedi, camminando nervosamente: “Deve essere come dico io! Insomma altrimenti nulla avrebbe senso…e poi…si, deve essere per forza così”. Staccò il sigillo con forza, lasciandolo cadere per terra, ed estrasse alcuni fogli con i risultati. Li lesse attentamente…saliva, caffè e… “Allora?” chiese il giovane, non riuscendo più a trattenersi. Pablo teneva gli occhi fissi sul foglio e quando li rialzò sembrava distrutto: “Semplice caffè. Non c’è niente di strano in quella tazzina. Siamo a un vicolo cieco. L’assassino si è burlato di me, mi ha fatto credere possibile qualcosa che non lo era. Dobbiamo ricominciare daccapo, andiamo subito a interrogare Federico Bianchi per conoscere i motivi della sua assenza quel giorno allo Studio”. Era affranto: come poteva aver preso una cantonata di quel genere? Ora doveva ricominciare da capo, considerando altre eventualità; ma in quel modo l’omicidio era assurdo! Non si sapeva spiegare come fosse possibile. Arrivarono in una piccola villetta accogliente, dove li accolse una giovane donna, probabilmente la domestica. “La prego di attendere qualche minuto, il signorino Bianchi arriverà tra poco” disse la donna dagli occhi azzurri e profondi. I due aspettarono un po’ in quella sala di attesa, mirando i pavimenti il parquet ben curato e lucente, e dei quadri pregiati di artisti per lo più sconosciuti. “Questo è davvero molto bello” disse Leon, indicandone uno che colpì la sua attenzione. “Quella è la Maddalena del Caravaggio” esclamò qualcuno alle loro spalle scendendo le scale. Il giovane Federico Bianchi si avvicinò a loro con un sorriso. Era pallido in viso, ma conservava il fascino che lo contraddistingueva: capelli di un colore castano scuro, occhi scurissimi anchessi e unelegeanza nel modo di camminare e parlare invidiabile; indossava una vestaglia di un color rosso porpora. “Mi piace quel quadro, l’espressione della Maddalena così sofferente, ma allo stesso tempo piena d’amore, come è chiaro nel modo in cui tiene unite le mani…non sembra anche a voi la perfezione? Ovviamente questa ne è solo una copia” spiegò il giovane italiano, mettendosi in mezzo a loro due. Osservava il quadro meravigliato, e in effetti Leon non poté dargli torto. La donna nel dipinto era seduta con lo sguardo chino mentre al lato sinistro si vedevano alcuni gioielli e collane buttate per terra come se non valessero nulla. Aveva ragione il giovane Bianchi: quel volto, quegli occhi trasmettevano emozioni contrastanti. Pace e sofferenza; amore e dolore. Tutto in una sola persona, in un solo sguardo. “Ma non credo siate venuti qui per parlare di arte, o sbaglio?” esclamò ad un certo punto l’italiano, muovendosi verso una piccola porticina in legno, al lato sinistro della scalinata. I tre entrarono in uno studio poco usato con numerose mensole e libroni enormi. “Mio padre è un medico e un ricercatore molto rinomato, siamo venuti qui per i suoi studi. Tutta robaccia a mio parere, preferisco di gran lunga l’emozione che può dare una singola nota creata con cura da un musicista che accorda il pianoforte. Voi uomini di scienza e di logica…chi vi capisce è bravo!” esclamò sedendosi su una poltroncina di velluto blu. Diede qualche colpo di tosse, e Pablo gli chiese premurosamente se non stesse poco bene. “Ormai è qualche giorno che sono malato, febbre batterica come dice mio padre. Io la chiamo semplicemente influenza, ma alcuni miei amici mi sono venuti a trovare e mi hanno raccontato tutto quello che è successo. Come posso esservi utile?” disse il giovane. “In realtà volevamo sapere appunto come mai non fosse venuto alla scuola quel giorno, ma a quanto pare c’è una spiegazione plausibile” esclamò l’investigatore Galindo con un sorriso rassicurante. “Beh, allora possiamo anche andare” si azzardò a intervenire Leon. “Già che ci siamo però qualche domandina gliela farei…riguardo il primo giorno allo Studio…quando sono stati presentati i nuovi insegnanti, intendo. Questo è il primo anno che frequenta lo Studio, vero?” lo interrogò Pablo. “Esatto. Impressioni del primo giorno, quindi…beh, Gregorio si è mostrato molto severo e rigido, ma era anche stranamente nervoso. E pallido, sembrava avesse visto un fantasma; aveva guardato in mezzo a noi nuovi arrivati e per poco non sveniva, poi aveva rivolto lo sguardo anche agli insegnanti e gli è preso un altro colpo! Non mi chieda il perché, non ne ho proprio idea!” rispose cortesemente l’italiano, tirando un altro colpo di tosse. Leon si alzò e cominciò a osservare alcune teche nella stanza tra cui quella in cui erano riposte con cura siringhe di ogni grandezza. Non appena furono usciti Pablo guardò con attenzione la casa. “Qualcosa ti preoccupa?” chiese Leon notando il suo stato d’animo. “Niente, solo che quel ragazzo…è strano” osservò semplicemente. “Bene, sbattiamolo in cella per la sua stranezza allora” esclamò ridendo l’assistente. “Hai visto come guardava il dipinto? Era così preso…” gli fece notare. “Anche a me ha affascinato molto, ma che c’entra?” chiese curioso. “Non lo so…ma nasconde qualcosa anche lui, come tutti d’altronde, maledizione! Ogni volta che interroghiamo qualcuno, quello dopo ci porta su una pista completamente diversa” esclamò Pablo rientrando in macchina.Il giorno dopo era quasi ora di pranzo. Leon stava continuando a lavorare al suo archivio, mentre Pablo rifletteva. Quella mattina non aveva spiccicato parola, fino a quando la porta del suo studio non venne spalancata con forza. “Signore c’è stato un altro omicidio. La vittima è stata ritrovata nei pressi del giardino della scuola” dissero due agenti. Leon rabbrividì: lo sapeva! Quel povero ragazzo, Maxi, doveva essere stato ucciso. “Di chi si tratta?” chiese Pablo con un tono freddo e professionale, che però nascondeva una fortissima ansia. L’agente fece un profondo respiro: “Si tratta di Natalia Herdier. E’ stata strangolata”
Posted on: Thu, 28 Nov 2013 17:15:57 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015