Endo che? L’incubo endometriosi, una patologia cronica che - TopicsExpress



          

Endo che? L’incubo endometriosi, una patologia cronica che colpisce decine di donne 19 anni. È notte. Il male sale piano dalle viscere. Le attorciglia, le apre, si fa largo tra budella e terminazioni nervose. Trafitture improvvise che svegliano il cervello, spilli. Qualcuno sta cucendo dentro di me, imbastiture e orli. Ho una ricamatrice segreta seduta tra l’utero e l’intestino che, abilmente, a furia di punto croce compone tele dalla dubbia interpretazione. È un male mai provato prima, è fatto di spasmi violenti che mi piegano a metà e mi costringono in posizione fetale, solo esclusivamente sul fianco destro. Se mi giro sul fianco sinistro, la pancia mi cade giù come se dentro tutto fosse smontato e crollasse. Crampi, qualcuno mi sta spremendo le ovaie e sta torcendo l’utero neanche fosse uno straccio sporco da strizzare. Il male si propaga a onde, è un male indegno questo. Arriva fino sotto, tra le gambe e dietro fino all’ano. Ora mi esplode tutto, penso. Mi concentro sul respiro, massaggio un po’ la pancia, ma niente. Il male aumenta fino a farmi urlare. Lacrime veloci scendono giù a fiotti. Provo a tenermi stretta, metto una mano in mezzo alle gambe e sorreggo il dolore perché ho la sensazione che da un momento all’altro possa cadere tutto da lì. Uscire. La pancia mi sembra un paniere di uova rotte, un sacchetto pieno di sassolini che si scontrano, una cantina buia di topi morti. Le fitte arrivano fino ai reni e fin sotto i talloni seguendo le nervature delle gambe, un senso di vomito fa da cornice al tutto, l’ombelico non riesco nemmeno a sfiorarlo. Appena ritrovo un briciolo di fiato e riesco a sincronizzare il respiro con le parole, chiamo mia madre. Mi trova accartocciata su me stessa con la faccia bianchissima e gli occhi sbarrati dal male. Glielo descrivo, ci provo. Ma le parole sono davvero poca cosa, certe volte. Poi ecco di nuovo la bestia che divampa dentro come un incendio, mi esce un gemito soffocato, socchiudo gli occhi e chiedo aiuto. La vescica, anche la vescica fa male, è dura, contratta. Ho un macigno sopra il pube, la pancia è gonfia e tesa, a stento riesco a controllare l’urina, qualche gocciolina fuoriesce e inumidisce gli slip. Un conato di acqua chiara mi fa urlare “mamma, un asciugamano. Portami un asciugamano!”, ho il vomito fermo in gola. Mia madre mi consiglia di stendermi a pancia in su e cercare di rilassare la pancia, ma non posso, non ci riesco. Devo tenerla stretta, altrimenti quei singulti di sangue che sento pulsare in maniera ritmica sotto la pelle potrebbero anche creparla. Poi mi porta un maglioncino di lana da stringere in vita, sono un peso morto tra le sue mani, sollevare appena quell’arco di fianco disteso sul letto è un’immane fatica, ogni passo falso è un dolore acuto. A seguire una supposta di Buscopan Compositum farcito di Belladonna, mi sembra quasi una presa in giro. Bella donna e sto da cani, ho il ventre spappolato e ho bisogno di “droga” per lenire questo male. Passano i minuti, tre mezze ore e il male è solo vagamente attutito, è un male con il coperchio perché la Belladonna lo sta restringendo, molto lentamente. Dopo tre ore riesco a mettermi supina e a sorseggiare un po’ di camomilla, ma ho come la sensazione di essere stata investita. Pezzi di colon sono rimasti sul bordo del letto, frammenti di ovaie sparsi sul pavimento a mo’ di coriandoli, i nervi sono filanti come le stelle di carta, come i fili elettrici una volta tolta la guaina isolante. Quando cerco di tirarmi su e sedermi sul bordo del letto, mi muovo al rallentatore, in punta di sedere. Ho ancora la pancia rotta, ora mi sembra piena di lividi ed ematomi. Non riesco a stare dritta, a tirare gli addominali. Devo camminare gobba, un po’ piegata in avanti e sostenere la pancia con entrambe le mani. Una volta arrivata in bagno, un’altra amara sorpresa, non riesco a fare pipì, è trattenuta in una bolla a forma di chiocciola, il dolore la risucchia su, è un pizzicotto quando non te lo aspetti. Di nuovo spasmi. Fino alle tempie. “Ma che cavolo ho? Ehi Tu lassù, me lo dici che cavolo ho? Non ti sembra un po’ troppo per delle noccioline?” Stringo i pugni fino all’ultimo goccio di pipì accompagnato da una lacrima che cade esattamente al centro della mattonella beige. Da dietro la porta sento mia madre che mi chiede se ho bisogno di aiuto. Mi offre un braccio e con l’altro mi sostiene la schiena, io mi appoggio e mi affido al suo sostegno come quando avevo dieci mesi e dal gattonare passai ai primi passi. Mi escono lamenti simili alle doglie del parto. Arranco nel corridoio, un po’ mi appoggio al muro, la posizione eretta non ne vuol proprio sapere di esistere. “Mi chiamo ENDOMETRIOSI e sono bastarda. A volte mi nascondo e fanno fatica a trovarmi. Forse mi genera una mestruazione retrograda o forse sono “embriogenetica” nasco insieme a TE donna, nasco da difetti nella genesi dell’apparato riproduttivo. Quando pezzetti di endometrio (la parete che riveste l’utero) si staccano e migrano altrove (ovaie, vescica, tube, reni, intestino, legamenti utero-sacrali, peritoneo, cute, polmoni…) formando cisti “cioccolato”- dense e vascolarizzate – ci sono io. Sono una patologia metaplastica benigna, ma cronica e fortemente invalidante. Provoco infiammazioni, aderenze, tessuto cicatriziale, sanguinamenti interni e infertilità. Sono la causa di un ventaglio variegato di sintomi e dolori di ogni tipo e sono in grado di alterare il sistema di percezione del dolore mutandolo in dolore neuropatico. Posso ridurre drasticamente la qualità della vita, minando anche la sfera affettiva e sociale. Mi chiamano la malattia “allontana mariti”. Faccio perdere giorni, energie, amicizie, entusiasmi, successi, piaceri.” E ora a te donna – amica, collega, sorella, figlia, nipote, studentessa, conoscente – dico: quei dolori non sono normali. La femminilità è cosa meravigliosa e sacra e non fa rima con sofferenza. Cerca, domanda, informati, controllati. Non permetterle di batterti sul tempo, riprenditi la gioia di vivere, di amare e di godere come meriti. La vera salvezza è la diagnosi precoce e l’intervento tempestivo. L’endometriosi è una malattia vera e propria e non fa parte del corso naturale delle cose, non è quel lieve e passeggero malessere da manuale femminile. No, è molto di più. Diabolicamente, maledettamente di più. Ci sono donne che passano più tempo dal ginecologo che col proprio marito, donne che il marito lo perdono a causa dei dolori e dell’impossibilità di costruire una famiglia “normale”. Ci sono donne che passano più tempo in sala operatoria che dal parrucchiere, donne la cui vita è stata rovinata da anni di diagnosi semplicistiche e sbagliate; pare che ci sia un ritardo diagnostico di circa dieci anni. Per disinformazione, per ignoranza medica e sociale. Ci sono donne che hanno perso un rene, donne che perdono entrambe le ovaie, donne costrette alla resezione intestinale, alla plastica della vescica, donne che perdono il sogno della maternità. Ci sono donne sole con un dolore segreto. Donne che perdono il lavoro a causa di quella settimana out che le costringe a letto. Donne che perdono il sorriso e talvolta la dignità. Donne che fanno fatica a raccontarsi. Perché è una storia lunga e intima l’endometriosi.
Posted on: Sun, 22 Sep 2013 15:03:06 +0000

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