FRANCO BERTOSSA: Gustavo Bontadini e l’apparire. Scrive - TopicsExpress



          

FRANCO BERTOSSA: Gustavo Bontadini e l’apparire. Scrive Franco Bertossa: . RF è ben altro da un presunto , come vedemo alla fine del post; naturalmente sarebbe stato necessario aver studiato o almeno letto la risposta di Severino a Bontadini per sincerarsene. Infatti il problema non è che rimanga un come credeva Bontadini e come ancora crede Franco Bertossa; eppure Severino lo dice molto chiaramente: “Il DIVENIRE, che pure appare, non è il processo […] in cui ne va dell’essere, bensì il processo del comparire e dello sparire degli enti”; “NON SI NEGA CIÒ CHE APPARE, MA L’INTERPRETAZIONE NICHILISTICA DI CIÒ CHE APPARE; NON SI NEGA IL DIVENIRE […] MA L’INTERPRETAZIONE NICHILISTICA DEL DIVENIRE” (“Essenza del nichilismo”, pag. 295), il MAIUSCOLO è mio. Ancora, nella stessa pagina, Severino ribadisce: “Al di fuori del nichilismo, il divenire è il processo del comparire e dello sparire dell’essere”. Dunque non c’è nessun da negare. Più chiaro di così si muore. Pertanto, con Severino, non resta che constatare: “Non hanno quindi inteso il significato di ‘Ritornare a Parmenide’ quanti [= Enrico Berti, Bontadini e ora anche Bertossa, n.d.r.] ritengono che in esso sia sostenuta la ‘negazione dell’esperienza’ ” (ibidem). Il vero problema _ riportando le parole di Bontadini _, è se “c’è almeno questo minimum [= “l’apparire della carta”, n.d.r.]” che si annulla, ovvero “il non-essere dell’apparire della carta” (pagg. 295-6). In sostanza, Bontadini contestava questo: “Se anche si ammettesse […] che quella carta, che la comune degli uomini dice non esistere più, in quanto s’è vista bruciare, esiste invece ancora, ed eternamente, fuori dall’esperienza, e se perciò si ammettesse che […] l’esperienza non attestra il divenire, cioè non può decretare, come pura esperienza, che ‘l’essere della carta non è’; è però ineliminabile quel residuo di divenire conto cui Severino si arrovella col suo ampio argomentare: ossia il divenire - epperò il non-essere - dell’apparire della carta […]. Se, infatti, io posso disgiungere, in un senso determinato, la carta dal suo apparire - in quanto affermo che esiste anche fuori dell’apparire - non posso disgiungere l’apparire dall’apparire, ossia da se stesso, affermando che l’apparire (della carta) esiste anche fuori dall’apparire (cioè fuori di se stesso!). Quando Severino assevera che, come la carta è eterna, così è anche eterno, eadem ratione, l’apparire della carta, si deve osservare che codesto eterno […] apparire (chiamiamolo S […]) non è lo stesso di quell’apparire (chiamiamolo A) in cui si verifica che, scomparendo la carta, vien meno, con ciò stesso, l’apparire della carta. Se, infatti, S e A fossero lo stesso, allora, essendo eterno l’apparire della carta in S, lo sarebbe anche in A. Perciò si deve ammettere che almeno questo residuo - ‘l’apparire della carta in A’ - è soggetto al divenire (in senso classico, cioè come implicante il non essere dell’essere)” (ibidem). Così Bontadini… Ma, come illustra chiaramente Severino, Bontadini non tiene conto del rapporto tra l’orizzonte totale dell’apparire (ossia dell’apparire trascendentale) ed il contenuto particolare cui consiste il divenire empirico (cioè il sopraggiungere e lo scomparire degli essenti) che in quello si avvicenda. In base a ciò, quando Bontadini afferma di non poter “disgiungere l’apparire dall’apparire, ossia da se stesso, affermando che l’apparire (della carta) esiste anche fuori dall’apparire (cioè fuori di se stesso!)”, è già caduto vittima del mancato rapporto or ora accennato, infatti avrebbe dovuto disgiungere l’apparire empirico dall’apparire trascendentale, non l’apparire empirico “da se stesso”! Ma, come detto, non avendo tenuto presente quell’essenziale distinzione, è costretto a concludere con quella impossibilità la quale però, non c’entra nulla col discorso severiniano. Per Bontadini, l’apparire A della carta scompare con lo scomparire della carta, cioè l’apparire A si annulla, in quanto è differente da S, perché se fosse identico, A continuerebbe ad apparire. Ma così dicendo, fa recitare ad A l’impossibile ruolo e di apparire empirico e di apparire trascendentale. Se A _ come dice Bontadini _, è ciò “IN CUI SI VERIFICA che, scomparendo la carta, vien meno, con ciò stesso, l’apparire [= A] della carta”, allora A, qui, deve spogliarsi del doppio significato implicitamente e contraddittoriamente assegnatogli per assumere il valore autentico dell’apparire trascendentale e quindi il termine “VIEN MENO” significherà: ESCE dall’apparire trascendentale, cioè ESCE da ciò “IN CUI SI VERIFICA che, scomparendo la carta, vien meno”. Invece, se l’ “apparire A della carta” lo si vuol considerare come ciò che “VIEN MENO” e non come ciò “in cui si verifica che, scomparendo la carta, vien meno”, allora assume il carattere dell’apparire empirico che esce dall’apparire trascendentale, cioè = “VIEN MENO” appunto: ESCE. Pertanto, A “VIEN MENO” _ ossia ESCE da ciò “ in cui si verifica (= l’apparire trascendentale) che, scomparendo la carta, vien meno”, A non è ciò “IN CUI SI VERIFICA che, scomparendo la carta, vien meno l’apparire [= A] della carta” _, significherà non il suo annullamento, cioè il suo disgiungersi dall’apparire di se stesso (onde così tale apparire divenga un nulla), bensì il non appartener più all’apparire trascendentale da parte di A. …………… Tornando ora alla domanda iniziale di Bertossa:
Posted on: Wed, 31 Jul 2013 08:13:10 +0000

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