Fine Agosto (di Eugenio Caccamo) Attraverso la ringhiera del - TopicsExpress



          

Fine Agosto (di Eugenio Caccamo) Attraverso la ringhiera del balconcino i miei occhi accarezzano il piccolo giardino dei Macaluso: ora il pino d’Aleppo ora le due grandi palme ora le altissime pomelie cariche di fiori bianchi e gialli poi le aiuole fitte fitte di margherite e gli alberi d’arancio e limone, felpatamente un gatto rosso attraversa la scena ed il mio sguardo allunga la traiettoria. Al di là del cancello l’ombra generosa di un pioppo tremulo abbraccia l’abbraccio di due adolescenti addossati all’inferriata. Respiro un’aria fresca e piacevole di un pomeriggio fresco e piacevole di fine agosto quando il cielo è prateria con nuvole selvagge e bianche che galoppano come mustangs per il puro piacere di galoppare. Anche il mio cuore avrebbe desiderato galoppare ma qualcosa ormai molto presente, che si è già ramificato nel possesso della mia anima, impedisce un qualunque tentativo di correre. “Sta fermo” dico e le mie mani cercano il pacchetto di sigarette. Ho da poco cambiato marca, la cambio e ricambio continuamente per via dei colori sul pacchetto o del profumo conciato dell’interno che mi ricorda i miei quindici anni e le prime feste da ballo da Franco o da Elvira. Lo stesso profumo e la voglia d’afferrare, di ridere, di partecipare mentre una tempesta d’ormoni voleva una cosa sola. Mi alzo dalla poltroncina di plastica e vado in cucina, le campane della chiesa vicina si mettono a martellare nelle mie orecchie, stappo una bottiglia di Nero d’Avola e ne riempio un bicchiere , torno a sedere nel balconcino che dà sul giardino dei Macaluso. I rondoni piroettano nell’azzurro, bevo un gran sorso e respiro una profonda boccata di fumo. La mia solitudine non è cattiva anzi è una buona compagna discreta ed eloquente. Mi viene in mente il mio primo approccio con Heminguay “Le verdi colline d’Africa” e i miei occhi puntano un Luì sul ramo di una pomelia, bevo un altro sorso di vino. Penso all’intensità di piacere e commozione che mi pervase dopo aver letto “Il vecchio e il mare” tanti anni fa. Il gatto rosso punta ora qualcosa. E “La corriera stravagante” di Steinbeck. Il gatto balza dietro l’aiuola. Scene di caccia, di safari e di whisky quando la savana abbacinante tocca i cinquanta gradi. Mr. Macomber. Il gatto si è tranquillizzato e riattraversa la scena. “Il mestiere di vivere”, le poesie di Prevert e di Alberti e “Il muro” e più recentemente “Donna Flor” e “I guardiani della notte” e “Gabriela”. Darei chissà che cosa per trovarmi a Bahia a bere una cachaca assieme a Jorge Amado in una piazzetta dalle case intonacate di rosa di verde di celeste. Una libellula fa l’elicottero sospesa in cima ad un arancio. Bevo un altro sorso e svuoto il bicchiere. Squilla il telefono. Mi alzo maledicendolo e mi porto nel soggiorno. “Buona sera signore, spero di non disturbarla……..” “No, no, grazie non ho bisogno di niente…..”. Non so cosa volessero vendermi. Riacchiappo il momento, ritorno in cucina a riempire il bicchiere: il retrogusto amarognolo del Nero d’Avola m’arriva dentro i nervi, tra i muscoli, alle mascelle. Pompo qualcosa, bisogna approfittarne! Decido di uscire, fare una passeggiata, riallacciarmi al presente. Vado in bagno, faccio una lunga pisciata, mi guardo allo specchio: il mio volto solcato come un campo appena arato sembra pronto per la semina. “Ma che ci devi seminare testa di cazzo!”. Getto acqua su quella mia faccia antipatica piena di ricordi, di lacrime, d’idiozia. Faccio le smorfie allo specchio: “Stronzo!”. In camera da letto mi cambio la camicia, metto quella a scacchi celesti, mi piace. Dei bambini fuori giocano a palla, grida e piccole invettive mi ricordano il campetto dei preti, il pallone di cuoio con le cuciture che quando Gigi me lo sparò in faccia mi sembrò che mi spappolassero la testa. Gigi era morto finito, così improvvisamente e da fessi, lui così preparato alle tecniche del vivere, del sopravvivere, così furbo, così dentro alle cose pratiche, così decisamente vivo! La camicia mi sta bene. Scendo le scale, apro il portone e mi arriva addosso il pallone , i bimbi mi guardano un attimo, io decido di fare il gradasso: una mezza rovesciata a volo e il nervo sciatico subito si prende la rivincita. Resto un pò perplesso poi sorrido ai bambini. Il colpo in fondo mi è riuscito, il guizzo di dolore è cosa mia, solo mia. Non posso fare a meno di zoppicare un poco ma col sorriso sulle labbra: vecchio, vecchio sono, vecchio e stronzo. Gli occhi del professore di ginnastica mi arrivano nella mente , il professor Soana: “Con quelle gambe, col tuo fisico puoi fare ciò che vuoi!” Ed io marciavo con le mosse dei marciatori ed andavo pulito e scorrevole lungo la pista dello stadio “Delle Palme” con i complimenti e gli incitamenti del mio professore di ginnastica. Avevo quindici o sedici anni e la fatica dello sport non era nutrimento adatto a me. Mi masturbavo continuamente e due natiche di donna “bona” valevano cento medaglie di sacrificio sportivo! Passo vicino agli adolescenti addossati all’inferriata. Lui le sta baciando il collo e lei ride con gli occhi persi. Mi avvio verso le strisce pedonali sulla strada grande e veloce dove tutte le auto sembrano ‘Ferrari’ durante un Gran Premio. Se mi dovessero beccare, il dolore, il tonfo, la paura, magari la morte istantanea! Più che altro un grande terribile colpo inaspettato: crak! Cammino vacillando con la netta idea della morte e penso a quante volte l’ho esorcizzata, la bastarda! A cinquanta metri da me il piccolo parco della case popolari degli anni cinquanta, uccellini, alberi, profumo ed un sedile in ferro, amico del mio dolore al nervo sciatico. Quattro panchine sotto i pini d’Aleppo, ombra ed aria fresca. Una giovane donna bruna dalla pelle ambrata e scollatissima che le grosse tette sembravano straripare porta due fragili cani al guinzaglio. Siede cordiale sulla panchina di fronte e parla di cani ed i miei occhi non possono staccarsi da quelle mammelle giovani e poco pudiche. Se quella cosa ormai radicata in me imperversante e spiacevole non m’avesse attanagliato, avrei sicuramente avuto un turbamento. Comunque mi alzo. ”Buona sera” la saluto un poco sconvolto. Vado via consapevole che certe cose in certi momenti non mi sono d’aiuto. Una folata mi accarezza la testa, sono i colombi. I colombi… e il mio piccolo Luca nei giardini di Bolzano trent’anni prima, mio figlio tutto riccioli e continuamente in cerca di me, veloce e pericoloso nel suo guizzare felice! E le belle ginocchia tonde e lucide di Maria, la mia Maria, dalla pelle profumata e ricettiva. Rideva sempre e Luca era una sua appendice. Quando l’appendice andava a letto quelle ginocchia tonde ed i piedi erano per me una pista di partenza e furore, ardore, amore, pista d’atterraggio del mio godere più vivo! Maria! Bella come una dea greca, giovane come la speranza, Maria! Tutto quel tempo aveva resistito Maria, aveva atteso paziente che io crescessi, ma di me cresceva, anno dopo anno, soltanto la parte più stronza. Il resto restava come sempre a contemplare il miracolo di restare ad oltranza perennemente “u picciriddu”, il resto non voleva crescere e infatti non cresceva. Cammino senza meta fino all’imbrunire. Molti negozi hanno riaperto dopo le ferie di ferragosto.La cosa mi rincuora anche se non me ne importa un bel niente. Il solito cane si mette ad abbaiare violentemente dal solito giardino facendomi venire un colpo,dovrei aspettarmelo ma ci casco sempre. Non mi è stato mai simpatico quel cane, ha un’espressione idiota nel suo folle latrare. Che differenza con Max! il mio bel Labrador dagli occhi umani; gli mancava solo la parola! E Max è vero che parlava, ragionava, intuiva. Mi viene una stretta al cuore nel ricordo dell’ultima volta che lo vidi . Lo sguardo fisso su niente tra le braccia di Maria e sembrava che sorridesse ma moriva. Moriva e sembrava impossibile che tanta vitalità andasse a farsi fottere in un niente. Se ne andò lui e dopo due mesi mi salutò Maria. Mi rovesciò addosso tutto quello che aveva tenuto nello stomaco per così tanti anni e se ne andò a vivere con Luca, la sua appendice. Luca e Maria erano la stessa cosa ed entrambi pensavano di me le stesse cose. Da un canto la cosa mi rincuorava, non avevo da temere per loro, insieme stavano benone, erano sempre stati benone. E senza di me poi era una vera liberazione! Le gambe mi portano proprio davanti al Pub all’angolo di via Lazio, un Pub all’inglese con i tavolini fuori, il caffè espresso, i cornetti e le pizzette. Siedo ad un tavolo. Come si fa a spendere tanto denaro per un arredamento fatto venire apposta da Londra e poi…i tavolini fuori, i gelati e le pizzette! Penso: solo io avrei potuto avere un’idea così “brillante”! Assieme ad un whisky con ghiaccio domando al cameriere una penna e un pò di carta. Al primo sorso comincio a scrivere: guardo le rose bianche ai bordi del giardino ti cerco andando a zonzo imperterrito il mare ondeggia in questo pomeriggio azzurro dai gialli fili di luce sento un canto lontano e mi accorgo d’essere solo non ho altro che il vento La cosa non mi piace, tuttavia prendo il foglietto e me lo caccio in tasca. Che cosa mi è piaciuto in fondo della mia vita? Niente, sempre insoddisfatto a fare e disfare. Ma sono un artista! Cazzate! Bella fregatura! Che cosa ho guadagnato con questa arte? Ma quale arte! Ho solo la fissazione di essere artista, una maledetta illusione che ha deviato tutto il corso di una vita! Ero, sono e sarò sempre scadente! Finisco di bere, pago e me ne vado; il whisky mi ha messo un pò di fame, ha aperto il famoso buco. Che ho in frigo?... oppure ceci in scatola, pasta e ceci, ditali ceci e peperoncino? No, non è il tempo, ci vorrebbe il freddo. O maccheroncini col burro fuso, pasta d’acciughe e pane grattuggiato! I negozi stanno per chiudere. Torno a casa. “Me ne vado a ristorante” penso. No, mi rimangono pochi soldi, non posso buttarli in un ristorante. Accendo il televisore mentre preparo in cucina. I soliti palestinesi erano esplosi ammazzando i soliti israeliani che avevano occupato i soliti territori….. “ma vaffanculo”! Però mi stupisco e mi dispiace di essermi abituato a tanto orrore. Succede così, ci si abitua a tutto come io stavo abituandomi all’assenza di Maria. Calo un etto di pasta e mentre cuoce bevo un bicchiere di nero d’Avola. No, non è cattiva la mia solitudine, è una buona compagna, non si lamenta, non dice cazzate ogni volta che le parlo. Dopo aver mangiato i miei buoni maccheroncini, una fetta di caciocavallo fresco ed una pesca vado nel soggiorno, spengo il televisore e prendo l’album di fotografie. Lo apro a caso. Mi rivedo giovane con Luca a cavalcioni sul mio collo e Maria sorridente e bellissima. Eravamo sul lago di Garda, era forse il 1974. mi ribello all’incipiente crisi di pianto. Chiudo l’album e riaccendo il televisore. Una partita di calcio mi farebbe sicuramente bene! Vado in cucina alla ricerca del nero d’Avola.
Posted on: Tue, 20 Aug 2013 10:10:50 +0000

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