Gli uomini e le donne del Pd sanno tutto... Proprio oggi, - TopicsExpress



          

Gli uomini e le donne del Pd sanno tutto... Proprio oggi, pertanto, essi dovrebbero sentire il dovere di parlare, di restituire alla Repubblica la verità del suo passato. La memoria della Repubblica. Il PD e i difetti nazionali. Da Corriere della Sera del 03/11/13 digitaledition.corriere.it Tra i partiti oggi esistenti solo il Partito democratico (se si esclude la microscopica Udc) può essere considerato in qualche modo erede della Prima Repubblica: se non altro perché già allora la grande maggioranza dei suoi esponenti era sulla breccia e spesso in prima fila. Tra gli attori politici odierni solo il Pd, insomma, può essere considerato rappresentante della memoria storica di quei decenni; non immemore di quella che è stata la loro vicenda. Proprio da ciò, tra l’altro, nella Seconda Repubblica esso ha ricavato non pochi vantaggi: a cominciare dal ritrovarsi ad essere l’unico rappresentante di una certa continuità istituzionale, della tradizione politica del Paese formatasi nel dopoguerra, venendo così ad essere il naturale interlocutore della sua classe dirigente tradizionale, degli ambienti economici e finanziari consolidati, delle magistrature dello Stato, dei grandi burocrati. Tutti costoro, avendo a suo tempo appreso quanto il Pci (Partito comunista italiano) contasse, quanto fosse utile non averlo nemico, e quanto di esso ci si potesse per così dire «fidare», non hanno avuto problemi a trasferire sul Pd suo erede e su molti suoi esponenti quell’antica immagine positiva e, spesso, anche una più o meno antica consuetudine di rapporti.Ma proprio per tutto questo oggi il Pd dovrebbe sentirsi investito di quello che può ben definirsi un dovere civile prima che politico. Il dovere cioè di testimoniare — lui che ben la conosce — la verità di ciò che la Prima Repubblica è realmente stata. Un dovere civile, ho detto, perché solo da una piena consapevolezza (e conoscenza) di quel passato, degli errori e delle responsabilità di allora, l’Italia di oggi può sperare di imboccare la via della rinascita. Solo se ci convinceremo che oggi paghiamo scelte sbagliate, compiute però con il concorso più o meno generale, solo così saremo capaci di trovare un minimo di accordo preliminare sulla necessità di cambiare. Non già, sia chiaro, in vista di qualche nuova versione delle «larghe intese», ma per poter muovere — sia pure ognuno con la propria identità politica e con il proprio programma — almeno da un punto di partenza e da una diagnosi comuni. Da un’opinione condivisa circa i nodi da sciogliere e il perché della loro esistenza.Il nostro passato, dunque. Il Pd sa bene che non è certo tangentopoli la verità della Prima Repubblica. Gli uomini e le donne che lo dirigono conoscono bene quale fu il tormentato cammino del Paese dalla fine dei Sessanta agli anni Novanta: quale fu la realtà di quel consociativismo, delle leggi di spesa fatte tutt’insieme senza curarsi troppo del futuro, dei danni prodotti nel pubblico impiego da leggi che vollero i sindacati e i grandi partiti. Ricordano senz’altro il clima di colpevole ottimismo nel quale fu dato avvio all’esperimento regionalistico; sanno la miriade di elargizioni e sussidi, concessi a chiunque o quasi li chiedesse e fosse abbastanza forte da alzare la voce; dei favori fatti alle tante corporazioni, ai tanti interessi costituiti, protetti dall’una o dall’altra parte.Avendo avuto dirette responsabilità di governo non ignorano di quante impensabili complicità ha potuto godere da sempre l’evasione fiscale: non l’evasione dei super ricchi, che percentualmente è poca cosa, ma quella delle affollatissime categorie professionali e commerciali. Soprattutto essi sanno bene come il Paese, finché c’era il Partito comunista, fosse condannato a non poter cambiare mai il proprio governo: e come questo abbia avuto la sua parte (e quale parte!) nel produrre i danni che oggi lamentiamo. Gli uomini e le donne del Pd sanno tutto. E semmai l’avessero dimenticato possono leggere i libri di tanti bravi storici di sinistra — da Silvio Lanaro ad Aurelio Lepre, a Guido Crainz, ad Andrea Graziosi — che lo hanno raccontato bene e con dovizia di particolari.Proprio oggi, pertanto, essi dovrebbero sentire il dovere di parlare, di restituire alla Repubblica la verità del suo passato. Senza di ciò, infatti, il Pd resterà sempre prigioniero di quella parte dell’opinione pubblica di sinistra — numericamente minoritaria, ma vocalmente prevalente sulla scena pubblica — la quale non solo, ebbra com’è di antiberlusconismo, è portata a vedere esclusivamente nel «fare giustizia» la soluzione di tutti i problemi del Paese, ma è convinta che la responsabilità di questi sia sempre e solo degli «altri», chiude gli occhi di fronte alla complessità delle questioni per la varietà degli interessi in gioco, spasima perché ogni contrasto sia tagliato con l’accetta, perché chi non la pensa come lei sia collocato all’istante tra i «nemici» e possibilmente consegnato a un tribunale. È fatto di questi ingredienti il volto nuovo dell’antico estremismo italiano che oggi ha preso le sembianze di un radicalismo iperdemocratico nutrito di un’ossessiva rivendicazione di «trasparenza» e di «diritti» quanto della più schietta ignoranza di ogni passato. Un estremismo che proprio per la sua forma «democratica» è capace, però, d’infiltrarsi per mille rivoli anche nell’opinione «media» di sinistra, finendo in tal modo per prendere in ostaggio e condizionare lo stesso Pd.È dunque soprattutto per avere la libertà d’azione necessaria che oggi il Pd dovrebbe sentirsi spinto a contrapporre a tale estremismo una battaglia di verità sul passato italiano di cui è figlio il nostro (e dunque anche il suo) presente. Una battaglia del genere avrebbe un ulteriore e ben maggiore significato. Essa sarebbe infatti, nella sostanza, una cruciale battaglia per l’egemonia sul futuro sviluppo politico del Paese. In una situazione incerta, fluida, com’è quella odierna dell’Italia, dove i profili politico-sociali hanno confini così mal definiti, in una situazione di marasma profondo privo di punti di orientamento, riuscire a stabilire una narrazione credibile del passato, una narrazione inclusiva capace di accogliere in modo equo torti e ragioni di tutti i principali attori, evitando di racchiudersi in una prospettiva esasperatamente di parte: se il Pd fosse in grado di tanto, porrebbe di certo una premessa decisiva per ottenere il consenso necessario a governare. Non nascondere al Paese alcuna difficoltà, alcun problema, né addebitarne con leggerezza le colpe solo agli «altri»; non «farla facile» insomma. Ma al contrario mettere tutti davanti alla cruda verità ammettendo anche le proprie colpe: è solo così che ci si può conquistare un capitale di fiducia e quindi chiamare tutti ai sacrifici necessari. L’Italia ha bisogno di una forza politica, di un leader, che sappiano fare questo. Che abbiano l’intelligenza e il coraggio di farlo.© RIPRODUZIONE RISERVATA _____________________________________________________________ Articolo condiviso con Corriere della Sera Digital Edition. Il tuo quotidiano su Tablet, PC e Smartphone Provalo 7 giorni gratis corriere.it/promoestate
Posted on: Sun, 03 Nov 2013 13:57:21 +0000

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