I teologi europei riuniti a Bressanone si sono interrogati sul - TopicsExpress



          

I teologi europei riuniti a Bressanone si sono interrogati sul linguaggio da utilizzare per parlare di Dio MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA TRENTO I numeri forse potrebbero parlare da soli: oltre 220 partecipanti, espressione di 27 lingue e provenienze, dalla Scozia a Malta, dal Portogallo alla Romania, ma il Convegno della Società Europea di Teologia Cattolica che si è svolto a Bressanone nei giorni scorsi è stato molto di più. In una terra trilingue – tedesco, italiano e ladino – l’interrogativo sul come parlare di Dio oggi è stato affrontato da diverse angolature, ma la conclusione è quella sottolineata dal decano dello Studio teologico dell’antica città vescovile, Paul Renner, sul Corriere dell’Alto Adige: “Come si è respirato in questi giorni, la vera differenza da tener presente – e lo sosteneva anche mons. Bruno Forte – non è tanto quella che sussiste tra credenti e non-credenti, ma piuttosto tra pensanti e non pensanti. Tutte le persone pensanti, infatti, sono interessate ad ascoltare l’esperienza e le riflessioni degli altri”. L’ateo, aveva spiegato il vescovo di Cheti-Vasto, non è tanto qualcuno che ci sta di fronte, quanto uno che abita all’interno del credente stesso: la fede perciò non può mai sottrarsi al dubbio, non è mai luce totale, verità che viene conosciuta appieno. “Più credi, più sai di non conoscere: è la fede infatti che ti introduce al mistero”. “Fede significa aver tempo per Dio, accettare anche di lottare con Dio.” E in fin dei conti il credente non è altro che “un povero ateo che si sforza ogni giorno di cominciare a credere.” “Il problema del nostro tempo, continua don Renner, docente di teologia fondamentale e delle religioni, risiede tuttavia nel fatto che sono ormai molti che non solo si professano atei o agnostici ma che si sono addirittura dimenticati di essersi dimenticati di Dio! Come coinvolgerli? Come dialogare con loro in modo aperto, rispettoso e fruttuoso per entrambe le parti?”. Molte le voci che hanno cercato di indicare una risposta: da quel “mettersi dietro le pecore” – e viene in mente l’odore richiamato da papa Francesco – suggerito dal gesuita francese Paul Valadier, già direttore della rivista Études, nell’ottica di una valorizzazione del laicato, ma anche di un nuovo rapporto col mondo (più ascolto, non parole calate dall’alto), alla necessità di ritrovare il linguaggio e lo stile usati da Gesù così come ci vengono fatti conoscere dai Vangeli, come sottolineava il biblista spagnolo Ricardo Pérez Márquez. Un linguaggio “vicino” alle persone, perché fatto di riferimenti alla vita della gente, di parabole, di semplicità e non imposizioni dogmatiche, bensì rivelazione di un Dio che parla ai cuori: una differenza abissale con la religione dell’epoca. Renner ricorda altresì la diagnosi impietosa della situazione attuale della Chiesa, incapace spesso di comunicare in modo significativo e cordiale, che è stata tracciata soprattutto da alcuni teologi dell’Est europeo che hanno citato una nota sentenza del polacco Leszek Kolakowski: “Ciò che rovina il cristianesimo è il restare fissato alla religiosità dei credenti più fedeli ma al tempo stesso più stupidi”, concludendo però con l’auspicio che “il clima di riflessione, ascolto e dialogo vissuto in questi giorni, possa trasferirsi in maniera costruttiva e feconda anche nel con-vivere quotidiano della nostra società, grazie ad una teologia che non si sente più padrona ma serva di un mondo ricco di sofferenze e di risorse”. Condiviso da Brunetto Salvarani
Posted on: Tue, 03 Sep 2013 20:01:04 +0000

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