IL PIL DELLA FANTASIA. COSI’ LA CREATIVITA’ FA CRESCERE - TopicsExpress



          

IL PIL DELLA FANTASIA. COSI’ LA CREATIVITA’ FA CRESCERE L’ECONOMIA. L’IMMATERIALE ALLA CONQUISTA DEL POTERE Creatività, ricerca, innovazione. Per la prima volta entrano a far parte del prodotto interno lordo americano. Una rivoluzione culturale. Canada e Australia le considerano già, gli Usa le includeranno tra pochi giorni, l’Europa tra un anno: ricerca, innovazione, creazione artistica fanno il loro ingresso nel calcolo del Pil. Se fosse entrata in vigore fin dal 2007 avrebbe prodotto un balzo oltre il 3%. Noi italiani consideriamo la creatività una specie di dotazione genetica, una prerogativa etnica o forse zodiacale; ma poi la trattiamo con la stessa sprezzatura che riserviamo a Pompei, al patrimonio paesaggistico o alle nostre immeritate eccellenze in campi come quello musicale e artistico. A darle prima nome, e poi sostanza e oramai anche valore sono stati gli americani. Non con i bilanci della finanza creativa ma con bilanci finanziari che contemplano la creatività. Quel che succede è che nel calcolo del Pil statunitense le spese per la ricerca, lo sviluppo e la creazione in campo tecnico, scientifico, artistico e culturale verranno d’ora in poi considerate come investimenti. Una vera e propria svolta culturale: se non è proprio la vecchia utopia dell’immaginazione al potere, quanto meno è il riconoscimento della potenza anche economica della fantasia. A certe conclusioni arte e cultura, a dire il vero, erano arrivate già da tempo. 1984: sono passati trent’anni fa da quando il teorico del postmoderno François Lyotard ha allestito al Beaubourg una mostra sugli «immateriali». Dopo ci siamo tutti svezzati a distinguere hardware e software, a fare a meno di carta, vinili, inchiostro, metalli. Così, oggi non c’è più bisogno di grande sottigliezza filosofica per capire che l’immateriale è reale, e a volte cruciale. Per la tradizionale metafora chi è ricco «ha una posizione solida»; ma non si può attribuire non solo «solidità», ma persino «posizione»a quelle ricchezze che si calcolano in pensiero, innovazione, bellezza e proprio per questo non contribuiscono in modo tangibile e computabile ai fatturati, ai dividendi e alle stock option. Il problema è che quello di creatività è un concetto sin troppo confuso. Nacque proprio negli Usa, negli anni Cinquanta, quando si accorparono le riflessioni di scienziati, inventori, filosofi, artisti di tutto il mondo e di tutte le epoche, da Mozart a Einstein, da Aristotele a Picasso per provare a capire il modo in cui la mente umana arriva a progettare nuovi assetti, escogitare nuove soluzioni, ribaltare le tradizioni, in qualsiasi settore. La creatività divenne poi un mito per tutti: copywriter e indiani metropolitani, industriali ed eversori, cuochi e filosofi, scrittori e stilisti, cronisti e blogger. Definire la creatività risulta però impossibile, perché è un mito, e non un principio filosofico. Ma una delle idee di creatività più interessanti la vede proprio come quell’elemento non quantificabile, immateriale, in sé inutile e improduttivo senza il quale, però, non c’è cambiamento ma replica dell’uguale. Il Pil non è solo roba pesante, cemento, acciaio, container e pallet di merci importate ed esportate: c’è un Pil immateriale, la cui sostanza è fatta d’idee, parole, astrazioni e nell’ammetterlo si fa un grande passo avanti. Ma infine si spera che questo passo non inauguri una strada che finisca coll’imporre nuovi balzelli sulle buone idee. La finanza creativa certo ne sarebbe capacissima. “Il Pil non serve più. È utilizzato male, bisogna cambiarlo”: è il settembre del 2009. Joseph Stiglitz, insieme con Amartya Sen e a Jean Paul Fitoussi, consegna all’allora presidente francese Nicolas Sarkozy il rapporto sui nuovi strumenti per misurare la ricchezza di un Paese a partire dal benessere non solo macroeconomico dei suoi cittadini. Ora tocca agli Stati Uniti compiere la vera rivoluzione: nel calcolo entrerà per la prima volta la creatività. Nel paese che ha trasformato il cinema in mito, allevato alcuni dei migliori scrittori e inventato tutto nel campo delle tecnologie, prima o poi doveva accadere. E l’ingresso avviene dalla porta principale: mercoledì la novità verrà presentata dal Bureau of Economic Analysis, l’istituto che elabora le principali statistiche economiche, a partire appunto dal Prodotto interno lordo. “Sarà la più importante revisione mai fatta”, scrive idea, finalmente entriamo nel ventunesimo secolo”. Per anni abbiamo sottovalutato la creatività e l’innovazione. Ci siamo accorti che le nostre rivelazioni mostrano sempre più punti critici. L’errore è quello di non considerare come voci attive del bilancio i beni immateriali. Ovvero libri, film, musica, programmi televisivi, quadri, fotografia e, con un peso finanziario ancora maggiore, la ricerca e lo sviluppo. Diritti d’autore e brevetti. Sino ad ora tutto questo finiva nella casella spesa: tipo le bollette per la luce o il cibo della mensa, soldi buttati al vento o quasi. Comunque zavorra per il Pil. Adesso il contrordine. Persino i biglietti di auguri saranno nel raggio d’azione del nuovo termometro. L’esempio è piccolo ma rende l’idea: questi cartoncini possono essere utilizzati sempre, non passano mai di moda. Sono, dunque, un benefit sicuro a lungo termine, come costruire un palazzo o una fabbrica, appunto. La novità è che non ci sarà bisogno di guadagni immediati. Il nuovo Pil considererà l’investimento di aver scritto un libro, prodotto un film, composto una canzone già di per sé come un fattore positivo, senza aspettare il verdetto del pubblico: i soldi verranno conteggiati quando arriveranno. L’anno scorso, solo considerando il lavoro degli scrittori, sarebbero entrati nelle statistiche 9 milioni di dollari in più, secondo un primo calcolo. Una bella soddisfazione per una categoria accusata di non “dar da mangiare alla gente”. Niente da fare invece per i giornalisti, i cui articoli deperiscono troppo in fretta: «Ma con l’arrivo degli e-book, che sempre di più raccolgono inchieste e reportage, anche questo cambierà in futuro, chissà», dice consolatorio un analista. Personalmente non ho dubbi: Se sommassimo il peso specifico dei beni immateriali supererebbero di gran lunga gli altri. È una rivoluzione culturale, prima ancora che economica: «Finalmente avremo uno sguardo più realistico sul mondo. È 18 marzo del 1968 quando Robert Kennedy tiene nel campus del college del Kansas uno dei suoi discorsi più famosi: «Non possiamo misurare il successo di un Paese sulla base del suo Prodotto interno lordo. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità dell’educazione o della gioia dei momenti di svago. Non comprende la bellezza della poesia». Ecco, forse per i versi in rima è ancora presto ma almeno il freddo indicatore economico dovrà iniziare a fare i conti con le parole dei libri, le emozioni dei film e il potere delle idee. Magari la ripresa passa proprio da qui.
Posted on: Mon, 21 Oct 2013 09:34:52 +0000

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