IL XVIII SECOLO (1700 – 1799) Secolo XVIII - L’ETÀ DELLE - TopicsExpress



          

IL XVIII SECOLO (1700 – 1799) Secolo XVIII - L’ETÀ DELLE RIFORME Il Settecento rappresentò un secolo di profonde trasformazioni politiche, sociali ed economiche, in cui si verificò un eccezionale processo d’accelerazione della storia, che interessò tutti i settori della società. L’Europa, infatti, se nella prima metà del XVIII secolo subì la crisi economica e sociale del Seicento, nel corso della seconda metà del secolo visse un periodo di ripresa in cui fu attuata una serie di radicali riforme che condusse ad un generale movimento espansionistico, ad un incremento dell’economia in tutti i settori in seguito alla trasformazione dei metodi di lavorazione e al miglioramento dell’utilizzazione della terra e delle risorse alimentari, ad un’innovazione del regime fondiario verso un’economia più libera, ad un nuovo assetto giuridico e amministrativo dello Stato; alle catastazioni introdotte in Italia nonché alle numerose riforme fiscali. Al sistema politico e amministrativo dell’Ancien Régime, fondato sul rafforzamento ed accentramento del potere assoluto del re sui privilegi ecclesiastici e nobiliari che avevano diffuso malcontenti e causato lunghi e sanguinosi conflitti, si sostituì il dispotismo illuminato che fu il tentativo da parte dei sovrani, da Federico II di Prussia a Carlo III di Spagna, da Gustavo III di Svezia a Stanislao Augusto di Polonia, da Maria Teresa d’Austria e dal figlio Giuseppe II e Caterina di Russia, di conciliare la centralizzazione del potere assoluto e le esigenze di mondanizzazione dei loro regni, di avviare una stagione di riforme tendenti a modificare le strutture amministrative e sociali. Nelle società settecentesche si avvertì così l’esigenza, come intuì il filosofo J. J. Rousseau (1712-1778), di istituire un equilibrio non solo tra i sovrani, ma anche tra re e sudditi; dapprima le monarchie mirarono al consolidamento delle strutture dello Stato assolutistico, successivamente intrapresero, ispirandosi alla cultura dei lumi (Voltaire, Diderot...), fondata sulla ragione e sulla razionalità, un processo di generale cambiamento ed innovazione, che trasformò la società dall’anciem regime allo Stato moderno come lo conosciamo oggi. Il riformismo illuminato, promosso, dunque, da molti sovrani europei per disporre più agevolmente della ricchezza nazionale e soddisfare le crescenti necessità dell’amministrazione statale e degli esercizi, si propose di: ridurre il potere della Chiesa; promuovere lo sviluppo economico; consolidare l’accentramento e l’efficienza dei poteri pubblici; modificare la legislazione civile e penale; riorganizzare lo Stato in senso assoluto e moderno nonché di far accedere alle istituzioni anche esponenti dei ceti emergenti come la borghesia tesi alla trasformazione dei tradizionali gruppi dirigenti e all’abbattimento delle antiche oligarchie. Nel corso del secolo un decisivo e radicale cambiamento nello sviluppo economico del mondo occidentale fu dato dalla rivoluzione industriale e agraria; la prima nacque in Inghilterra, dove modificò il sistema di produzione e l’intero assetto economico-sociale, avviando un nuovo modo di lavorare e di produrre attraverso l’utilizzo di macchine e l’impiego della tecnologia. La meccanizzazione del lavoro fu, infatti, una vera e propria rivoluzione nel sistema di produzione e contraddistinse, a partire dal Settecento, l’industria la cui attività economica fu finalizzata alla produzione di merci e caratterizzata: da un impiego di manodopera salariata; dalla concentrazione di tale forza-lavoro in un edificio, la fabbrica; dalla divisione del lavoro poiché ciascun operaio fu addetto a una specifica fase della lavorazione nonché all’utilizzo di macchinari durante il processo produttivo. La creazione, inoltre, di rapporti tra i possessori dei mezzi di produzione (le macchine), cioè la classe borghese, e i lavoratori fu alla base del nuovo sistema capitalistico, fondato sull’accumulo di risorse e capitali impiegati nelle imprese oltre che sulla capacità di resistenza contro fattori e cicli sfavorevoli. Le prime industrie si specializzarono nella lavorazione del cotone e tesero allo sfruttamento delle materie prime presenti sul territorio; questo innovativo sistema produttivo negli altri paesi europei decollò molto più tardi, in Italia circa un secolo dopo. Tuttavia, gli effetti della situazione inglese si avvertirono in tutta Europa, attraverso le testimonianze dei viaggiatori e le prese di posizioni di filosofi e intellettuali, nel dibattito politico, negli schieramenti e nella formazione di ideologie. Lo sviluppo industriale in Inghilterra fu reso possibile grazie alla rivoluzione agraria che modificò i rapporti sociali nelle campagne, introducendo un nuovo tipo di organizzazione del lavoro; si abbandonarono sempre più i tradizionali vincoli feudali e si introdusse il sistema di gestione delle campagne attraverso fittavoli che divennero ben presto dei veri e propri imprenditori. Dunque, il sistema produttivo capitalistico si inserì anche nell’agricoltura dove, pur continuando ad esistere il proprietario percettore della rendita fondiaria, emersero nuove figure sociali: da un lato gli agricoltori di professione, i fittavoli capitalisti, aperti verso qualsiasi forma di progresso che incrementasse il loro profitto; dall’altro, la classe dei salariati, ovvero dei braccianti impiegati nella lavorazione dei campi. L’evoluzione dei rapporti sociali incoraggiò l’adozione di nuove tecniche produttive; cambiò, infatti, il sistema di rotazione delle colture con l’introduzione delle piante da foraggio, si incrementò la coltivazione di nuovi prodotti come il mais, il riso, ecc., aumentò l’allevamento del bestiame attraverso l’alternanza di pascolo e arativo nonché la produttività del terreno; la recinzione poi dei campi favorì la messa a coltura di terre non utilizzate precedentemente che, da libere o di proprietà comune, si trasformarono in unità terriere private o indipendenti, il cui coltivatore non solo si impegnò a migliorare la produttività, ma orientò la sua attività in senso commerciale tanto da contribuire alla formazione di un mercato nazionale. La generale ripresa economica e le consistenti trasformazioni sociali dell’Europa settecentesca promossero un considerevole incremento demografico, dovuto soprattutto alla diminuzione del tasso di mortalità grazie al diffuso miglioramento delle condizioni igieniche, alla riduzione di epidemie e carestie che furono fenomeni locali o regionali isolati, senza alcuna continuità nello spazio e nel tempo; anche se le guerre continuavano a minacciare la popolazione, esse non furono così distruttive come quelle che nel Seicento avevano sconvolto interi paesi. Tuttavia, non mancarono nel corso del XVIII secolo momenti di crisi e di arretramento; infatti, accanto ad aree interessate da un progressivo seppur lento sviluppo persistevano paesi come l’Italia meridionale, la Francia caratterizzati da un generale immobilismo, in cui i tradizionali vincoli feudali erano ancora saldamente radicati nella realtà. Infatti, la società, caratterizzata da profonde contraddizioni con la presenza di enormi ricchezze da un lato e di miseria e ghettizzazione dall’altro, fu tormentata nel suo interno da forti squilibri economici, culturali nonché religiosi, tra regione e regione, dove classi e categorie sociali continuarono ad esistere e dove i privilegi continuarono a seminare differenze e malcontenti. All’apice della piramide sociale vi era ancora l’aristocrazia feudale, ovvero la nobiltà, che per secoli aveva interpretato e monopolizzato lo Stato; parimenti il clero che non solo conservò il suo patrimonio fondiario, ma continuò ad invadere il potere civile condizionandolo. In posizione antagonista rispetto alla nobiltà e al clero si collocò la borghesia che rappresentò un ceto enorme ed eterogeneo, progressista sul piano economico, ma conservatore su quello sociale e ben presto non esitò ad allearsi con la nobiltà per impedire ai contadini coltivatori l’accesso alla terra; questi ultimi rappresentavano la maggioranza della popolazione e si collocarono tra i gradini più bassi della scala sociale. Infine, i poveri che costituivano coloro che non possedevano i mezzi per assicurarsi il minimo necessario per la sussistenza e destinati a vivere ai margini della società. In questo clima di profondo cambiamento si assistette alla formazione di un ceto intellettuale ampio, dotato di un notevole prestigio sociale, tendenzialmente autonomo ed indipendente, cosciente di sé, dei diritti e dei doveri del cittadino, che elaborò nuovi modelli e ideali di vita rapportabili ai diversi strati della popolazione. Si affermò il processo di laicizzazione della cultura, fondato: su un continuo scontro fra gli intellettuali, i philosophe, le istituzioni e la vita politica; su un’incessante e fervida attività di produzione di idee e di sapere attraverso l’elaborazione dell’Encyclopédie; sulla diffusione di principi come: tolleranza, uguaglianza, razionalità, socialità, fratellanza, ecc. che ispirarono le rivolte popolari e la Rivoluzione francese che determinò un profondo cambiamento nel processo storico dando inizio così all’età contemporanea.
Posted on: Tue, 06 Aug 2013 23:27:35 +0000

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