Iannone - Priebke. - TopicsExpress



          

Iannone - Priebke. Martedì 15 ottobre, abbiamo provato un senso di straniamento, quando abbiamo appreso dai giornali limprobabile equazione, proposta dal presidente della provincia di Salerno un tale Antonio Iannone, tra la figura politica del guerriero comunista Ernesto Guevara, morto assassinato sotto interrogatorio da agenti della Cia in Bolivia, dove fu ferito e catturato durante un combattimento ed il capitano delle SS Erich Priebke, morto ultranovantenne, agli arresti domiciliari a Roma, nella stessa città dove fece uccidere per rappresaglia 335 italiani, prelevati di notte nel carcere di “Regina Coeli”. Signor Iannone, pur con molto fastidio siamo costretti a far notare a lei, ai membri del consiglio provinciale, nonché ai pavidi dipendenti dell’ente da lei presieduto, che fra le due figure politiche arbitrariamente accostate non c’è un minimo di similitudine, né per i luoghi, né per i modi, né per le cause del contendere. Lei è un fascista e come tale, probabilmente riconosce soltanto la differenza fra olio di ricino e quello doliva, ma non riesce a distinguere la differenza fra un guerriero ed un macellaio. Il guerriero uccide correndo il rischio di essere ucciso, mentre il macellaio uccide ed infierisce sulle sue vittime non correndo nessun rischio ed è questa differenza morale che rende i due personaggi da lei arbitrariamente assimilati, imparagonabili ed incompatibili tra di loro. Poiché ci sentiamo chiamati in causa in un ennesimo ed inesauribile confronto tra fascismo e comunismo, vogliamo ribadire che la città di Roma, luogo dove è stato prodotto l’eccidio delle fosse Ardeatine, era stata dichiarata con un accordo tra comando tedesco ed italiano: “Città Aperta”, ovvero non potevano esserci operazioni militari al suo interno, ma ciò non per magnanimità dello S.M. tedesco, ma per un vantaggio tattico conseguito dai comandi italiani nella battaglia di Porta San Paolo del 9 settembre ’43, dove fu impedito alla wehrmacht con centinaia di carri armati e diecimila uomini di entrare in Roma e ciò con una battaglia dove a fianco all’esercito italiano era sceso in battaglia il popolo antifascista di Roma, fra cui i comunisti. In quella battaglia furono messi fuori uso decine di carri, uccisi più di trecento soldati tedeschi e altri ottocento furono fatti prigionieri o feriti, questo accordo firmato fra la parte italiana e quella tedesca, con la mediazione del vaticano, prevedeva il rilascio di soldati tedeschi, fatti prigionieri durante la battaglia di Porta San Paolo, che servirono appunto come valenza politica per far accettare ai tedeschi l’extraterritorialità di Roma. Va tenuto presente che questo accordo garantiva la sicurezza della numerosa colonia di funzionari tedeschi e loro familiari, che ammontava ad alcune centinaia di persone, che in tal modo potevano continuare a viveva nella città di Roma, senza paura e disagi. E un dato di fatto che nessun civile tedesco è stato mai toccato per rappresaglia dai Gap, che agivano agli ordini ed erano inquadrati nei ranghi dell’esercito italiano, non a caso i membri del comando che agirono a via Rasella, furono decorati con medaglie al valore militare. Dunque malgrado l’extraterritorialità di Roma, i militari tedeschi vi giravano a drappelli armati e con l’aiuto di spie italiane operavano rastrellamenti di antifascisti nella città, i più noti sono stati quelli operati al Ghetto ed al Quadraro, dove furono arrestati 1200 italiani trasportati in Germania dove ne giunsero meno di mille. Inoltre a via Tasso operava una centrale del terrore, dove venivano internati gli antifascisti, per sottoporli a tormentosi interrogatori per strappare notizie sulla rete clandestina antifascista. In tale situazione di pericolo per gli italiani e di assoluta impunità per tedeschi e fascisti, ci pare più che giusto che l’esercito italiano dovesse dare una prova della sua esistenza in vita operando attraverso i Gap. Difatti lattentato a via Rasella, fu contro uomini con armi e divise della wehrmacht. A meno di ventiquattro ore dall’azione dei Gap che procurò la perdita di 32 soldati, la rappresaglia tedesca si era già compiuta, andando a prendere nel carcere di “Regina Coeli”, con armi e mezzi 335 prigionieri, passandoli per le armi, seppellendoli poi in una fossa comune e per occultare il tanfo della marcescenza del sangue e dei corpi a cui era stata recisa la vita, coprirono la fossa di immondizia. Il manifesto in cui il comando tedesco minacciava che sarebbero stati passati per le armi dieci italiani per ogni soldato della wehrmacht ucciso, fu affisso soltanto due giorni dopo l’eccidio, ma quel manifesto stava anche a significare che Roma non era una “Città Aperta”, ma una città occupata e ciò per colpa della codardia del Re, della sua corte e del comando militare di Badoglio e di Roatta, due criminali che si distinsero nella loro carriera per la loro efferatezza in nord Africa e nei Balcani, i quali durante la battaglia di Porta San Paolo avevano lasciato solo la divisione dei granatieri, che aveva ingaggiato senza indugi e paura i combattimenti contro i tedeschi, negando i necessari e dovuti rinforzi alle truppe impegnate nei combattimenti, impedendo manovre di avvolgimento del nemico, anzi facendo ripiegare le truppe verso il sud ed abbandonando Roma al seguito del Re in fuga verso Bari, costringendo dunque il comando della piazza alla trattativa con la mediazione del vaticano. La pericolosa situazione in cui si vennero a trovare gli ufficiali italiani rimasti in città ed i membri dei partiti antifascisti in una Roma formalmente extraterritoriale ma praticamente occupata, dimostra come sia una gratuita calunnia ed unautentica porcheria, il continuo punzecchiare della propaganda neofascista sulla supposta vigliaccheria dei Gap. Essi erano gruppi di azione patriottica che si erano formati sul campo già nella battaglia di Porta San Paolo, dove il popolo combatté a fianco dell’esercito e sottrasse le armi ai soldati tedeschi feriti o morti. Costretti per motivi di sicurezza a celarsi ai fascisti e nazisti, ma al momento di farsi sentire furono pronti e decisi. Signor Iannone, non vogliamo essere pedanti ma riteniamo opportuno chiarire che il manifesto in cui Kappler minacciò di fucilare dieci italiani per ogni tedesco ucciso, mi pare unoffesa che dovrebbe colpire la sua spiccata suscettibilità in qualità di “fratello d’Italia “, a meno che lei non pensa che tale razzistica proporzione in realtà si riferiva ai comunisti. Se questo è il suo retro pensiero, le diamo volentieri una dritta per potersi regolare per nuove proporzioni ed equivalenze. Si tratta di leggere un libro di Giovanni Pesce, “Senza Tregua Per Il Comunismo”, un autobiografia di tutti i luoghi, i modi ed i tempi, in cui egli ha combattuto il fascismo, dalla difesa della Repubblica di Spagna nel ’37, fino alla sua milizia nei Gap a Milano nel ’43. Per tale milizia nei Gap e per le sue coraggiose sortite contro i nazifascisti G. Pesce fu insignito della medaglia doro al valore militare ed in tal ragione ai suoi funerali c’era un picchetto d’onore militare. Se lei ha la pazienza di leggere e di contare quanti fascisti e nazisti ha ucciso da solo o in compagnia, si renderà conto che Kappler si sbagliava: un comunista vale tantissimi fascisti e nazisti e purtroppo si dovrà fare una ragione del perché un uomo con una biografia come quella di Ernesto, che è stato amato ed ammirato da intellettuali di ogni specie e di ogni nazione, in Africa, in Europa, in America, non può assimilarlo ad un uomo oscuro, semianalfabeta come Erich Priebke, il cui solo atto pubblico è stata una strage di persone inermi ed innocenti. Un pò di sobrietà e serietà da uomini come lei che si dicono politici. Alfonso Natella Comitato Operaio I° Maggio
Posted on: Fri, 18 Oct 2013 17:39:41 +0000

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