Il Messico «malato» chiuso in un giardino - Cristina - TopicsExpress



          

Il Messico «malato» chiuso in un giardino - Cristina Piccino Test di un venerdì sera: «Ma voi vi alzereste domani alle 7 del mattino per andare a vedere un film allAuditorium alle 9?». Risposta: «Ma sei sicura che li fanno i film alle 9?» È solo un gioco che bene ci dice però della distanza tra la «bolla» in cui si muovono gli «addetti ai lavori» che ogni mattina arrancano sulle ripide scale della Sala Petrassi - con sosta talvolta per imbustamento del cellulare - e la città. La quale si sveglia, e comincia a arrivare intorno alledificio di Piano con calma a fine mattina. Specie se è sabato, specie se ci si va coi bambini, specie se è per una passeggiata magari sbirciando, come le impavide ragazzine all-stars-doc-martens, per non farsi sfuggire un divo (meglio se italiano e magari conosciuto pure alla tivvù). O anche solo per gustarsi un film di cui si parla insieme agli amici. Questa è la festa, il resto, professionisti e polemiche, è il festival. Certo che poi il connubio popolare/ artie è complicato, e scivolosissimo (ma certo non antagonista). Sul bus-navetta una voce dice: «Non sono andata a vedere Veronesi, capirai 25 euro ed esce giovedì prossimo. Poi che vuoi che sia, la solita commedia italiana...». Anche questa è Roma, e mica è facile inventare un festival da zero, pensando a una città senza trasporti, attraversata da correnti e correntisimi, col peso della politica che il festival lha inventato, e ciò che ne comporta in termini di macchina e di costi. Daccordo il tappeto rosso inaugurale è stato cafone, nella rete del festival però ci sono un sacco di cose, e la scommessa è spostarci anche la festa. Basterebbe oggi (ore 16.00) la masterclass di Jonathan Demme, occasione per scprire con lui i segreti del suo cinema. O la sperimentazione amorosa di Spike Jonze e dei suoi divi, Scarlette Johansson e Joaquim Phoenix protagonisti di Her . La tavola rotonda (ore 10, al Maxxi) on i protagonisti della grande stagione del peplum - da Mimmo Palmara, Chelo Alonso, Alan Steel, Kirk Morris, a Umberto Lenzi ... - dove i curatori della retrospettiva, Steve Della Casa e Marco Giusti, presenteranno Il grande libro di Ercole (Csc e edizioni Sabinae). O alle proiezioni che celebrano il cinema di Claudio Gora, a cui è dedicato un importante omaggio. Ieri è stato il giorno di Come il vento , il nuovo film di Marco Simon Puccioni ispirato alla figura di Armanda Miserere, una delle prime donne in Italia a dirigere un carcere. E non uno soltanto, ma lUcciardone a Palermo, le Vallette a Torino, Ascoli Piceno, Lodi, San Vittore a Milano, Sulmona ... Nel 2003 si è uccisa con un colpo di pistola in compagnia dei suoi cani. «Fin dalla Pasqua di dieci anni fa quando lessi della notizia del suicidio di Armida pensai che avrei voluto raccontare la sua storia» ha detto nella conferenza stampa Marco Simon Puccioni. «Per scrivere la sceneggiatura mi sono affidato ai tanti documenti che esitono su di lei, articoli di giornale, interviste, trasmissioni televisive e per costruire il suo aspetto più interiore abbiamo utilizzato i suoi diari perché lei scriveva molto, era una donna molto colta e sensibile e abbiamo cercato di mostrare nel film tutta questa sua complessità». Il risultato, complice Valeria Golino - magnifica interprete - e anche la presenza sottile di Filippo Timi, è un film teso, che come in altri film di Puccioni declina narrativamente (come tutte le imperfezioni necessarie) la lezione del «personale come politico». Perciò solitudine e sistema carcerario che in Italia è tra i peggiori dEuropa, e se si parla di amnistia fa orrore chi la riduce al solo Berlusconi, in un battibecco politi strumentale che passa sopra la vita dolorosa (e la morte) delle persone. Dove il conflitto per chi ci si confronta può diventare una condizione insostenibile. In gara ieri anche il Messico di Michal Rowe, regista al secondo film - ma il concorso romano di questa edizione sembra avere puntato su un cinema giovane e indipendente - lanciato dal festival di Cannes dove ha vinto nel 2010 la Caméra dor per Ano bisesto , una storia di edipo e distruttiva claustrofobia femminile in un appartamento di Mexico City. Manto acuifero ne ripropone la struttura e le dinamiche narrative. Anche stavolta al centro cè un personaggio femminile (infatti dovrebbe essere il secondo capitolo di una trilogia sulla solitudine), Caro, ragazzina di otto anni che dopo il divorzio dei genitori va a vivere con la madre e il patrigno. Dalla metropoli ci spostiamo nel sud del Mesico rimanendo sempre chiusi in una casa e nel suo giardino, fuori dai quali non usciremo mai. E come per la ragazza del film precedente, di cui Caro potrebbe essere la versione bambina, anche qui la tragedia è tutta edipica intorno allassenza del padre. La madre della ragazzina infatti lha portata via al papà entomologo, dal quale Caro ha ereditato la passione per gli insetti, e non vuole mai più farglielo vedere. Anzi pretende che lo cancelli sostituendolo col nuovo compagno che le ha chiuse nella villa dove è cresciuto. Rowe fa coincidere il suo sguardo con quello della sua protagonista - filmando anche a altezza di bambina - senza mai abbandonarlo. Siamo in un horror, ma una casa e una famiglia inevitabilmente lo producono. La madre accetta gli ordini del nuovo uomo scavando una distanza sempre più forte dalla figlia, anche se non lo ama, ma vuole rimanere incinta ... Come Caro ascoltiamo frammenti di conversazione dietro alle porte chiuse, che rivelano la guerra familiare. E ci mostrano una madre stronzissima nel suo opportunismo mellifluo, disgustosa quasi quanto il suo uomo coi piedi da vecchio, e il tono tronfio di chi scopre la potenza macha di una tardiva paternità. Rispetto al greco Miss Violenc e (interessante il ritorno della famiglia come spazio narrativo del presente) però, le dinamiche delluniverso chiuso familiare sono ribaltate. Intanto perché Rowe si identifica con la ragazzina - il regista greco i suoi di personaggi sembra solo disprezzarli- ma soprattutto perché Caro organizza la sua resistenza. Silente prepara luccisione della Madre contro un sistema di una borghesia corrotta che controlla in nome di amore o benessere. Rowe ha lavorato sul racconto di uno scrittore australiano - tra i produttori cè Garcia Bernal - per una metafora che diventa però fin troppo evidente. Tutto appare stabilito nei passaggi fino alla conclusione inevitabile. In fondo il cinema è anche lambiguità di qualcosaltro. Da ilmanifesto.it
Posted on: Mon, 11 Nov 2013 17:58:11 +0000

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