Il Vetro Soffiato Fantasia e Ragione al Potere Nella - TopicsExpress



          

Il Vetro Soffiato Fantasia e Ragione al Potere Nella Letteratura moderna non esistono più i generi. Un grande autore esplora sé e la vita intorno con il suo linguaggio In una recensione molto pregevole di qualche giorno fa pubblicata dal “corriere della Sera” sull’opera di Milan Kundera, Alessandro Piperno sottolinea l’aspetto secondo lui più importante e innovativo di quell’autore che è certamente uno dei maggiori scrittori contemporanei: il completo e definitivo superamento dei generi letterari. Riprendo quest’osservazione di Piperno perché concordo interamente con lui: la cultura moderna, a cominciare da Diderot, della poesia, del racconto, del romanzo, dell’aforisma. Un autore può - se vuole – comporre un libro che si propone un tema e ruota intorno ad esso, l’approfondisce, lo racconta, lo esprime con un suo linguaggio che nelle stesse pagine spazia tra quelli che un tempo erano generi nettamente distinti l’uno dall’altro, con una loro metrica non soltanto lessicale ma espressiva, non soltanto di forma ma di sostanza. La filosofia rispettava sempre nei suoi trattati e manuali la coerenza della logica e i principi della non contraddizione limitandosi all’esame dei concetti e non dei fatti. La lirica e l’etica si esprimevano attraverso la poesia la quale quasi sempre rispettava la scansione sillabica dei versi e la loro rima. Il romanzo – come anche l’opera teatrale- era centrato su personaggi creati dalla fantasia o talvolta romanzati ma storicamente vissuti. Ora Non Più. Ho fatto il nome di Diderot; la sua innovazione fu una rottura radicale col passato e basterebbe paragonare uno qualunque dei suoi dialoghi – “Le neveu de Rameau” oppure “Le réve de d’Alembert” o “jacques le fataliste” – con la “Princesse de Clèves” di Madame de La Fayette per coglierne le differenze. Ma dopo Diderot il superamento dei generi letterari tradizionali fece molta strada. Direi che il culmine fu raggiunto dalla “Recherche” di Marcel Proust e, a breve distanza di tempo, dall’”Ulisse” di Joyce, dove l’alternarsi e il mescolarsi dei fatti raccontati in presa diretta e nei minimi dettagli con flusso di coscienza che nel frattempo si svolge nella psiche del personaggio costituiscono un unico tessuto letterario. Qualche anno prima Dostoevskij li aveva anticipati con le “Memorie del sottosuolo”, “I diavoli” e “I fratelli Karamazov”, e Tolstoj con “guerra e pace”, “Anna Karenina” e “La morte di Ivan Il’ic”. Qualcuno andò addirittura ancora più oltre e fu Nietzsche, con “Così parlò Zarathustra”, con la “Gaia scienza” e con “Ecce homo”. Io però mi sono affezionato – se è lecito usare quest’attributo parlando delle proprie preferenze letterarie – a due autori che sono del Novecento. Non si conoscevano tra loro, vivevano in luoghi assai lontani per l’epoca e non lessero mai i libri dell’altro. Sono Rainer Maria Rilke nei “Quaderni di Malte Laurids Brigge”, che a mio avviso è il più bel romanzo moderno che sia stato scritto; e Ferdinando Pessoa nel suo “Libro dell’inquietudine”, l’opera che lo impegnò per tutti i brevi anni della sua vita. Una Citazione che credo valga la pena di fare dai “Quaderni” di Rilke: “La donna era sprofondata tutta in sé, in avanti, nelle sue mani. Era all’angolo di Notre-Dame des Champs. Appena l’ebbi vista cominciai a camminare più piano. Quando i poveri pensano, non bisogna disturbarli. Può darsi che trovino. La strada era troppo vuota, il suo vuoto si annoiava e mi toglieva il passo sotto i piedi risuonando in esso, là e qua, come uno zoccolo. La donna si spaventò e si sollevò via da sé troppo presto, troppo rapida e il suo viso le rimase tra le mani. Potei vederlo posato là dentro, la sua forma vuota. Mi costò uno sforzo indescrivibile fermarmi alle mani, non guardare quanto s’era strappato da essa. Inorridivo nel vedere un viso provato davanti alla testa nuda, piagata, senza viso” E Ora Pessoa, che qui scrive in versi: “Mi sono moltiplicato per sentire, per sentire, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, mi son dato, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente. Passa tutto, tutte le cose in una sfilata attraverso di me e tutte le città del mondo mi rumoreggiano dentro”. In questa rassegna di letteratura nuova che esplora al tempo stesso, nelle stesse pagine e nelle stesse righe il viaggio dentro di sé e quello nel mondo che da fuori ci circonda, ricordo il Montale degli “Ossi di seppia” e delle “Occasioni”, e Italo Calvino – a me carissimo – di “Palomar”, del “Visconte dimezzato” e delle “Lezioni americane”. Termino con brevi versi di Jorge Luis Borger: “Sono chi guarda le prore dal porto; sono i miei pochi libri, le mie poche incisioni dal tempo consunto; sono colui che invidia chi è già morto. Più strano essere l’uomo che ora intesse Parole in una stanza di una casa” Questa è la grande letteratura moderna: fantasia e insieme ragione, contraddizioni irrisolte e irrisolvibili e tenace coerenza. Una persona che ha alla base le particelle elementari dell’essere e un pensiero capace di pensare se stesso nel suo corpo di animale, consapevole del passato, del futuro e della morte che contiene il senso del suo vissuto. Eugenio Scalfari – L’Espresso – 14 Novembre 2013
Posted on: Sun, 10 Nov 2013 05:53:50 +0000

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