Il boss Gioè non si suicidò: ecco le prove L’UOMO DI COSA - TopicsExpress



          

Il boss Gioè non si suicidò: ecco le prove L’UOMO DI COSA NOSTRA FU TROVATO MORTO IN CELLA NEL 1993. UN’INCHIESTA DI ‘LEFT’ SPIEGA CHE NON FECE TUTTO DA SOLO di Gianni Barbacetto Un suicidio impossibile. All’ombra della trattativa tra Stato e mafia. Nino Gioè, uomo di Cosa nostra, aveva fatto parte del commando che nel maggio 1992 uccise Giovanni Falcone. Arrestato, sta al carcere duro (41 bis) un solo giorno, poi viene rinchiuso in una cella di Rebibbia dove viene trovato morto nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1993. Poche ore prima, erano scoppiate le bombe delle stragi in via Palestro a Milano e in due basiliche di Roma. VERSIONE UFFICIALE: Gioè si è suicidato. Questa tesi non sta in piedi, argomentano ora Maurizio Torrealta e Emanuele Lentini in un’inchiesta pubblicata sull’ultimo numero del settimanale Left. I due giornalisti hanno ricostruito la vicenda dopo aver trovato il vecchio faldone dell’indagine giudiziaria a carico dei tre agenti penitenziari che furono indagati per istigazione al suicidio di Gioè (e poi prosciolti). In quel faldone ci sono anche le fotografie scattate nella cella numero 3 sezione B reparto G7 di Rebibbia, alle 3.40 del 29 luglio 1993. La conclusione di Torrealta e Lentini: impossibile che Gioè si sia impiccato. L’autopsia prova infatti che Gioè aveva la sesta e la settima costole di destra fratturate: a causa del massaggio cardiaco praticato al detenuto. Ma la sesta e la settima sono le ultime due costole in basso della gabbia toracica e il massaggio cardiaco si esegue molto più in alto, sul plesso solare. Gioè ha anche una ecchimosi bluastra sul sopracciglio sinistro e una escoriazione in fronte a destra: come se fosse stato colpito più volte. Intatto invece il rachide cervicale: dunque non è morto per lo strappo tipico dell’impiccagione, ma per soffocamento. Come? Il segno della corda sul collo non va verso l’alto, come sarebbe logico aspettarsi dall’impiccagione alla grata, ma verso il basso, come provocato da una corda tirata da qualcuno. Inverosimile, secondo l’inchie - sta, anche la ricostruzione dei fatti messa a verbale dagli agenti. I tre raccontano che Gioè si sarebbe impiccato con un rudimentale cappio fatto con i lacci delle sue scarpe da ginnastica. Poi si sarebbe appeso alla grata della finestra, nella seconda fila dall’alto e nel secondo o terzo anello da sinistra. Quando se ne accorgono, tre ore dopo, gli agenti sciolgono il cappio e adagiano il corpo sul lettino della cella. Ma è impossibile, scrivono i due giornalisti dopo aver osservato le foto, “che un uomo possa suicidarsi appendendosi a una grata della finestra sotto la quale è collocato un tavolo che rende impossibile che il corpo rimanga sospeso”. Il tavolino non è mai stato spostato e risulta addirittura ancora apparecchiato. Su quel tavolo ci sono anche tre fogli scritti a mano da Gioè: “Stasera ho ritrovato la pace e la serenità che avevo perduto 17 anni fa”. L’addio prima della scelta fatale, dice la versione ufficiale. E SE INVECE FOSSE l’annuncio della sua decisione di collaborare con la giustizia? Sul tavolo c’è anche un libro dal titolo emblematico: Il patto di Robert Ludlum. “Strana allusione”, per uno dei personaggi-chiave della trattativa Stato-mafia: è a lui che si rivolge suo cugino Francesco Di Carlo, dopo un incontro “con agenti segreti che parlavano inglese e italiano”. Secondo gli autori dell’inchiesta di Lef t, anche il magistrato Loris D’Ambrosio, consigliere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sospettava che Gioè fosse stato ucciso. In una telefonata con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino dice: “Questa storia del suicidio di Gioè secondo me è un altro segreto che ci portiamo appresso... non è mica chiaro a me questa cosa”. Spiegherà poi ai magistrati di Palermo: “Io faccio questo ragionamento molto semplice: è stata fatta chiarezza completa su quel suicidio? Questa è la domanda che mi pongo... a me quel suicidio non mi è mai suonato... Insomma che cosa in realtà è accaduto nelle carceri in quel periodo, questa è la vera domanda che mi pongo io al di là del 41 bis... insomma questo suicidio così strano... ecco mi... ha turbato, mi turbò nel ’93 e mi turba ancora”. D’Ambrosio invierà poi al presidente Napolitano la nota lettera del 18 luglio 2012 nella quale rassegna le sue dimissioni, esprimendo il “vivo timore di essere stato considerato un umile scriba usato come scudo ad indicibili accordi”.
Posted on: Sun, 27 Oct 2013 21:51:19 +0000

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