Il delirio di Avvenire: censurare la parola ‘razza’ Il - TopicsExpress



          

Il delirio di Avvenire: censurare la parola ‘razza’ Il giornalino dei Vescovi, Avvenire, se ne è uscito con un articolo di un’ignoranza scientifica profonda nel quale, inconsapevole delle scoperte genetiche dell’ultimo decennio, si avventura in affermazioni piuttosto bizzarre. Vale la pena smontarle una per una. Le razze non esistono. Il concetto è acquisito da decenni in ambito accademico; tuttavia stenta – e molto – a far breccia nell’opinione comune. Anche in quanti rigettano ogni discriminazione. Per questo ripetere che le razze non esistono non è banale, anzi: la stessa parola “razza” andrebbe espulsa non solo dal linguaggio scientifico, dove non ha più diritto di cittadinanza per manifesta infondatezza, ma anche dal linguaggio corrente. Va in questa direzione l’iniziativa del Parlamento francese di rimuovere il termine da tutti i testi legislativi. Qui il giornalista dà per accertato qualcosa che esiste solo nella sua fantasia. E’ vero che vi sono stati movimenti ideologici tesi a sminuire e negare l’esistenza dei ‘gruppi razziali’, ma ci sono anche gruppi che negano la differenza in senso biologico tra uomo e donna: sono orientamenti politici che nulla hanno a che vedere con la scienza. Solo con il fanatismo giacobino che nell’89 credette di cambiare l’identità di un popolo con l’utilizzo ‘educativo’ delle parole, e con la sostituzione dei termini precedenti con nuovi termini politicamente corretti: è la neolingua. Il cui uso è stato denunciato anche dal Papa, ma forse Avvenire si è perso l’intervento. La biologia insegna che non è possibile tracciare linee che separino una razza da un’altra; si possono solo indicare punti estremi – l’area del mondo dove mediamente la pelle è più scura, quella dove mediamente i capelli sono più chiari – ma non definire intorno a essi insiemi coerenti. Senza contare che le caratteristiche biologiche sono innumerevoli e già solo scegliere il colore della pelle o il taglio degli occhi è una scelta arbitraria: perché non l’altezza, o il gruppo sanguigno? A questa domanda risponde la storia della cultura: perché l’altezza o il gruppo sanguigno non erano funzionali alle distinzioni che interessavano in un dato momento. La teorizzazione scientifica delle razze umana ha preso piede non caso nell’età del colonialismo, tra Otto e Novecento, nutrendosi dell’evoluzionismo allora in impetuosa ascesa. Complice lo scientismo positivista, tutto sembrava poter essere inquadrato in schemi rigidi e definiti, “scientifici”: anche le differenze tra i gruppi umani. Il passo successivo (ma spesso in realtà precedente, almeno nelle motivazioni) fu l’attribuire a ogni razza non solo caratteristiche fisiche, ma anche intellettuali e morali; e poi ancora, a queste caratteristiche assegnare una precisa gerarchia, invariabilmente con l’uomo bianco al vertice. Nell’Ottocento era comune, nelle pubblicazioni scientifiche, scendere ancor più nel dettaglio e parlare di razza italiana, razza francese, razza inglese: ognuna definita con caratteri biologici (era in gran voga la craniologia, la classificazione metrica dei crani umani, poi rigettata dall’antropologia successiva), e in sprezzo a ogni evidenza di senso comune. E’ interessante notare come il giornale dei Vescovi non colga questa – come dire – dissonanza, tra la loro difesa della incontestabile natura biologica della differenza di genere, e quest’assurdo concetto della ‘non esistenza delle razze’. Perché biologicamente parlando, anche nelle differenze di genere esistono ‘gradazioni’, e se ragionassimo sugli stessi termini che l’articolista usa per le ‘razze’, anche in questo campo non potremmo definire con l’accetta una definizione ‘discreta’ su ciò che definisce il maschio e la femmina. Eppure, è evidente che esistano. Come esistono in modo incontestabile, gruppi razziali che differiscono. E’ ovvio che ogni insieme ha altri sotto-insiemi arbitrari in cui può essere suddiviso. Il fatto che esistano differenze anche all’interno dei gruppi razziali, non vuol dire che questi non esistano, significa solo che vi sono altre entità che li compongono. Prendiamo ancora l’esempio di genere: il fatto che esistano le donne bionde e le donne more, non significa che entrambi i gruppi non appartengano al genere femminile. E così, per sillogismo, il fatto che esistano individui alti o bassi all’interno dello stesso gruppo razziale, non significa che questo gruppo non esista. Se seguissimo l’astruso ragionamento del giornalista, dovremmo anche dire che non ‘esiste la specie umana’, perché non c’è una ‘chiara distinzione con lo scimpanzé’. Tutte le categorizzazioni sono, fino ad un certo punto, ‘arbitrarie’, ciò non significa che non esistano le categorie. Quanto alle ‘gerarchie’, è ovvio che ogni volta che si differenzia qualcosa in gruppi, si passi poi alla definizione gerarchica degli stessi. Questo è un esercizio logico inevitabile, a meno di censurare come vorrebbe l’articolista, il pensiero umano. Chiedete al padrone di Varenne di scambiare il suo cavallo con un cavallo scelto a caso, non importa di quale razza. Vi riderà dietro. Semmai è da mettere in discussione il metro con il quale si fa una gerarchia: bellezza, fisicità, intelligenza, capacità di sopravvivenza e adattabilità ambientale. Naturalmente ricordare che le razze non esistono non significa negare la possibilità di ragionare in termini di gruppi umani. Ma le etnie sono qualcosa di ben diverso dalle razza, individuato non biologicamente ma culturalmente. Il riferimento è la celebre definizione di Benedict Anderson delle nazioni come “comunità immaginate”: a fare un popolo è il senso di appartenenza dei suoi membri, mentre le caratteristiche usate per definirlo (aspetto fisico, territorio, lingua, religione, storia, cultura…) sono elementi secondari, scelti a posteriori proprio in funzione di quel senso di appartenenza. Per esempio la religione è l’elemento chiave della distinzione tra irlandesi e inglesi o tra serbi e croati, altrimenti accomunati dalla lingua e da secoli di storia, mentre a noi italiani suona naturale riferirsi proprio alla lingua come elemento identificativo primario. Ancora cade in una sorta di ‘negazione dell’identità biologica’ che se riferita in campo sessuale, porterebbe alla scomunica del giornalista. Non coglie, chi ha scritto l’articolo, la differenza tra ‘entità arbitrarie’ ed ‘entità ontologiche’: una famiglia naturale è una entità ontologica, una squadra di calcio è una entità arbitraria. E quasi sempre, se non sempre, dietro le differenze arbitrarie si nascondono anche più profonde differenze ontologiche. Ad esempio: l’ignoranza fa scrivere all’articolista che Irlandesi e Inglesi – che comunque non sono razze distinte – parlano la stessa lingua, quindi sono uguali. C’è una bella differenza, tra il parlare la stessa lingua come in Italia per ‘comunione culturale’ e parlarla per ‘invasione militare’. Quindi in questo caso, la differenza religiosa è solo un aspetto di una differenza ontologica. Sempre, quando due differenti entità etniche, e ancora di più razziali, convivono in un territorio, tendono a differenziarsi anche negli aspetti della loro esistenza: la religione è uno di questi. Il giornalista è anche piuttosto ignorante su vari aspetti scientifici moderni. Mostra di non conoscere che la ‘mente’ è solo l’espressione di aspetti biologici profondi. Che ciò che pensiamo è espressione di ciò che siamo. E’ interessante la scoperta ad esempio, di come differenti popolazioni del mondo – in modo completamente sovrapponibile alla ‘vecchia’ categorizzazione razziale – abbiano un comportamento e una espressione logica completamente differente. Dando seguito alla intuizione che la cultura è solo l’espressione esteriore dell’identità biologica. L’Assemblea Nazionale ha rilanciato in Francia il dibattito sul razzismo, e sensatamente è stato da più parti fatto notare come non basti eliminare il termine per eliminare l’atteggiamento che sottende. Così, se la prima stesura della legge si limita a espellere il termine razza dalla legislazione, un emendamento attualmente all’esame del Parlamento aggiunge: «La Repubblica combatte il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia. Essa non riconosce l’esistenza di alcuna cosiddetta razza». Un passo in avanti verso l’obiettivo finale: non parlare più di razze, per non dover più parlare di razzismo. Ed è questo il punto reale della questione. Sanno bene che l’esistenza delle razze è incontestabile, ma sono terrorizzati da questa semplice osservazione della realtà, perché hanno paura del ‘razzismo’, che al di là della sua definizione moderna, è solo l’istinto naturale degli individui a raggrupparsi e a discriminare il diverso rispetto al simile. Come un padre fa con i figli propri rispetto ai figli degli altri. Ovviamente possono anche censurare la parola ‘razza’, questo non farà sparire l’entità reale alla quale fa riferimento. Rimane lo sconcerto per la profonda impreparazione culturale del giornale dei Vescovi. E per l’incapacità di cogliere come, la spinta ideologica che vorrebbe negare l’esistenza biologica delle razze, sia la stessa che mira a negare l’esistenza biologica del dualismo maschio-femmnina, in un disegno più ampio di negazione della natura. Capiranno mai gli azionisti dello Ior che, o si difende la natura in tutti i suoi aspetti, o poi è impossibile difendere solo parte di essa quando tocca l’ambito che ci interessa? Capiranno mai che i sostenitori del matrimonio gay sono gli stessi che sostengono il meticciamento? ............AVANTI SAVOIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!
Posted on: Tue, 30 Jul 2013 20:24:58 +0000

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