Il vento ci porterà.. settembre 2, 2011 at 1:24 pm Ogni - TopicsExpress



          

Il vento ci porterà.. settembre 2, 2011 at 1:24 pm Ogni racconto, storia o fiaba in Medio Oriente termina con una formula molto particolare, le ultime parole di un libro spesso non prevedono l’idea a cui siamo abituati del “e vissero tutti felici e contenti” o del più drastico “fine”. In questa parte del mondo le narrazioni di una vita spesso terminano con un auspicio, con una speranza bellissima e divampante: “da qui si inizia”, queste sono non le prime, ma le ultime parole scritte in molti testi arabi. Il messaggio che ci arriva da queste terre, in tutta la loro bellezza, estensione, difficoltà, è che l’esistere non prevede sempre finali lieti, perfetti, idilliaci, perchè la vita umana non è una fiaba, non è un’invenzione per far dormire i bambini sereni, vivere è probabilmente una delle avventure più meravigliose e difficili che si possano scoprire. In mezzo a guerre e conflitti di portata ed eco internazionale esiste un luogo, un villaggio piccolo e umile, dove gli abitanti vivono di pastorizia e agricoltura, e dove i sorrisi non si lasciano spezzare facilmente dalla violenza: siamo a at-Twani e questo è l’inizio di una narrazione reale, che non esce da epopee o da schermi di cinema, ma da un mondo tangibile, dove gli occhi occidentali si incrociano con quelli orientali, e non provano paura, ma sincera amicizia. Tutto inizia sotto un albero, un pino situato sopra la collina maggiore del paese, da dove domina il panorama sopra i tetti di tutte le case, da qui nasce ogni cosa, nasce l’amore per le cose buone, per la propria famiglia, per i propri amici. Ogni palestinese ha una vita a parte: scandita da ritmi, paure e affetti, eppure osservando le abitazioni da questo punto di vista si ha la sensazione che tutto cambi, che le paure e le sofferenze che questo popolo patisce quotidianamente vengano momentanemente portate via dal soffio del vento, che rifornisce di aria fresca le menti e i cuori degli abitanti. Un’ altalena di corda è montata su uno dei rami e si staglia dondolando verso il cielo azzurro, in maniera tale che quando i bambini ci salgono sopra sembrano volare verso l’infinito, cancellando l’assurdità della violenza, lanciando un segnale ai governi del mondo intero: la guerra non ferma i sogni, in particolar modo quelli di questi piccoli. Tuwani ha fatto una scelta: ha percorso un sentiero opposto a quelli che hanno dominato questa regione del Medio Oriente nell’ultimo secolo, Twani ha scelto la non violenza, ha scelto la vita anzichè la morte, ha scelto di difendersi abbracciando un pensiero diverso, nuovo e rivoluzionario, e questo passo ha salvato la sua stessa esistenza. A volte fa effetto sentirsi insegnare a vivere da uomini e donne che svolgono i mestieri più umili e semplici, che non sono mai andati all’università e che a volte non sanno leggere o parlare inglese, ma la potenza di questo luogo si concretizza proprio così: in un campo inaspettato si coglie il fiore più bello, e non si riesce più a dimenticarne il colore. Ogni giorno per gli abitanti di questo piccolo angolo di universo svolgere il proprio lavoro è una missione, una conquista da eroi: ed ecco che i pastori che altro non vorrebbero che portare le proprie pecore ad abbeverarsi e a brucare sono costretti ad avere bisogno di un accompagnamento da parte di volontari internazionali per recarsi sulle proprie terre. La loro “colpa” è quella di vivere vicino a una colonia israeliana particolarmente violenta: Ma’on, e di recarsi spesso nei pressi di un avamposto ancora più aggressivo, Havat Ma’On. I palestinesi non lo fanno per sfizio o per provocazione, ma perchè su quelle terre ci sono nati, ci sono cresciuti, e nei periodi di siccità, come quello che stanno passando ora, quel terreno è l’unica speranza di salvezza per le proprie greggi, che sono il loro pane. Bisognerebbe fermare il tempo, ed avere il tempo di osservare e capire ogni singola storia con cui veniamo a contatto, ogni storia che ci viene donata, affinchè non vada perduta: come quella di un giovane pastore di dieci anni, che non è mai potuto andare a scuola perchè la sua famiglia ha strenuo bisogno del suo aiuto per andare avanti, eppure nonostante tutto riesce sempre ad accogliere la tua presenza con un gran sorriso sulle labbra. Sono per queste persone che la nostra narrazione assume un senso, lontano migliaia di chilometri dalla tecnologia, dai grattacieli, dai palazzi lustrati e tirati a lucido, l’essenzialità dell’ esistere viene regalata dal più piccolo e impensato dei profeti a chiunque abbia davvero la volontà di leggergli nel cuore. Quanto sa essere assurda la violenza? Quanto riesce a penetrare nei cuori degli uomini al punto da non farli più vedere, al punto da accecarli? Quali occhi, quali cuori tollererebbero aggressioni a bambini che si recano a scuola al mattino come in ogni altra parte del mondo? Le regole che sembrano scontate per molti qui crollano, e vengono a sostituirsi con la legge del più forte e con la tragedia. Da circa sei anni i bambini del vicino villaggio di Tuba per andare a piedi fino a Tuwani, dove seguono le lezioni, devono essere scortati da una camionetta dell’ esercito israeliano, tanto è il pericolo che correrebbero percorrendo in solitudine la piccola stradina che costeggia la Colonia, i cui abitanti uscirebbero mascherati, armati, per urlargli contro, spaventarli, disperderli, colpirli con bastoni e catene. Il male si annida ovunque, e anche se a volte prova a mascherarsi dietro alberi di ciliege e roseti la base rimane sempre la stessa, e non ci sarà raccolto di primavera a salvare le loro anime finchè continueranno a sprofondare. Esiste dentro ogni essere umano una percentuale di bene e di male, di costruzione e di distruzione, ognuno parte con gli stessi strumenti, anche se poi compie scelte diverse, decisioni che portano verso il lato offuscato del rancore e della rabbia, che conduce alla paura e alla sofferenza. I coloni che vivono a Ma’on ed Havat Ma’on sono di una corrente esasperata all’interno del variegato mondo Israeliano, si definiscono nazional-religiosi, ovvero fanno propria una sintesi malata della Bibbia, in cui ogni singolo lembo di terra è stato donato loro da Dio, e la loro missione consiste nel recuperarne e liberarne il più possibile da parte di qualunque arabo ci si trovi sopra, spesso e soprattutto con metodi violenti, che prevedono l’intimidazione, la violenza fisica e psicologica, l’aggressione e nessuno viene risparmiato: donne, anziani, bambini. Vivere qui per un palestinese significa mettere quotidianamente alla prova la propria pazienza, il proprio autocontrollo, significa mediare tra la promessa della nonviolenza e la necessità di difendere la propria famiglia e i propri cari in momenti di grave pericolo. I coloni tentano, deridono e provocano, non aspettando altro che un minimo segnale di reazione per colpire senza pietà, certi della neanche troppo celata copertura in caso di reato da parte dell Israeli Defense Force. Si cerca di portare gli abitanti di At Tuwani e degli altri villaggi delle colline a sud di Hebron verso un vicolo senza uscita, li si vuole fare imboccare la strada della lotta violenta, e quindi dell’autodistruzione al fine della confisca e della distruzione delle loro abitazioni: ma hanno fatto male i loro calcoli perchè di fronte hanno comunità che non hanno paura, e che non sono intenzionati a rispondere al male con il male, non vogliono bere dal loro stesso calice. La resistenza di Tuwani è una resistenza che vive nella quotidianità, giorno per giorno, lavoro dopo lavoro, lezione dopo lezione, a chi viene per distruggere si risponde con la ricostruzione, con la tenacia. “Potranno distruggerci le case o la moschea, ma saremo sempre lì, giorno e notte a rimetterla in piedi, e se torneranno per riabbatterla noi la ricostruiremo nuovamente, senza fermarci”, le parole del capo villaggio risuonano come le più potenti delle armi, sono loro che stanno vincendo. In questa piccola regione i palestinesi hanno già conquistato la loro libertà, che è la libertà di resistere, di non abbassare lo sguardo, contro di loro hanno persone che, nonostante cerchino di sentirsi forti, vivono costantemente nella paura, dietro metri e metri di filo spinato, dietro fucili e telecamere di sorveglianza, ed è come se si fossero rinchiusi loro, in quella prigione dorata. Non è una fiaba, nè una leggenda, Tuwani è un luogo dove si sta sperimentando una nuova forma di esistere, ed è una forma che paga, che non dà alibi alle autorità israeliane e ai coloni, è stato fatto un passo tra ciò che è giusto e ciò che è facile. Vale la pena essere qui a sostenere queste vite, questi uomini, donne, bambini, non vogliono morire per la Pace, ma vivere per la Pace, vivere per vedere i loro figli crescere e realizzare le loro speranze, qui ci viene insegnato che le stelle sono state create per ricordare al genere umano di tenere sempre lo sguardo alto verso il cielo, anche quando è buio.
Posted on: Mon, 02 Sep 2013 10:55:53 +0000

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