Impossibilità materiale di pagare i tributi per i lavoratori - TopicsExpress



          

Impossibilità materiale di pagare i tributi per i lavoratori sia subordinati che autonomi che per le aziende, stante l’indeducibilità delle spese inevitabili. Il nostro ricorso fiscale è fondato innanzitutto sulla richiesta che il giudice dichiari illeciti i tributi (tasse, imposte e contributi) dato il signoraggio, cioè perché servono solo a comprare dalle banche centrali i soldi che lo Stato deve invece produrre da sé al costo della carta e dell’inchiostro (o elettronicamente), senza pertanto creare alcun debito pubblico, e risolvendo così ogni crisi. In subordine – come seconda motivazione (seguita da tutte le altre, tutte fondate, che la giurisprudenza già accoglie) – chiediamo che venga dichiarata l’impossibilità materiale di pagarli a causa dell’indetraibilità delle spese inevitabili. Ciò per i lavoratori sia subordinati che autonomi che per le società. Impossibilità che emerge ora che queste assurde cifre lo Stato le vuole davvero, perché in passato la cosiddetta ‘evasione’ era una prassi, per cui le aliquote erano oggetto di scarsa attenzione sociale. Impossibilità perché, non essendo deducibili le spese inevitabili, quali il cibo, l’abbigliamento, i trasporti, la casa ecc., le aliquote (a loro volta assurde) si abbattono su un reddito che non esiste. Facciamo per primo l’esempio di un lavoratore autonomo. Consideriamo un professionista con famiglia e un reddito ‘netto’ (ma solo delle spese che gli è oggi consentito detrarre) di 40.000 euro annuali. Un ‘netto’ che non è netto affatto perché, oltre ai costi che oggi si considerano deducibili, dovrà fare le spese non deducibili ma inevitabili sopra accennate, sicché gli rimarranno alla fine diciamo 10.000 euro. Ne deriva che, sul falso netto di 40.000 euro, con un’aliquota complessiva effettiva diciamo del 50%, gli si chiedono 20.000 euro, che equivale a dire 10.000 euro in più di quello che gli è rimasto, nonché un’aliquota del 200%. È chiaro invece che gli si devono chiedere le tasse solo sul vero netto (10.000 euro), quindi 5.000 euro. Riconoscimento dell’impossibilità di pagare che va esteso anche all’IVA e alla ritenuta d’acconto perché, quale che sia il dovere da compiere, e dunque anche se si tratti del dovere di versare ciò che teoricamente si è riscosso appunto solo per versarlo (come l’IVA e la RA), non se ne può chiedere l’adempimento quando si sia resa globalmente problematica lo condizione economica e a quel punto anche esistenziale del contribuente, perché ciò configurerebbe l’obbligo giuridico di avere una capacità sopra la media di trovare soluzioni. (A parte poi, quanto all’IVA, che il dovuto va ricalcolato detraendo l’IVA anche sui costi inevitabili e indetraibili.) Occorre in definitiva forfettizzare le spese inevitabili, consentirne la detrazione dal reddito lordo, e solo sul residuo sarà logico chiedere i tributi. Né cambia nulla il fatto che, per il lavoro subordinato, la tassazione è alla fonte (ma la ritenuta d’acconto è prevista anche per i lavoratori autonomi). Consideriamo ad esempio la busta paga di gennaio 2013 del sig. MD (un caso reale). Ebbene, MD, a gennaio 2013, ha riscosso 1.852 euro rispetto a un lordo di 3.883 sborsati dal datore di lavoro, il 52,30% dei quali, ovvero 2.031 euro, sono stati quindi assorbiti dai tributi. Con il risultato che, poiché a MD, pagate le spese inevitabili, rimangono al massimo (se sa fare i miracoli), diciamo 200 euro, avrà pagato tributi per oltre dieci volte il suo vero reddito. Un’impossibilità di pagare che per i lavoratori subordinati ha connotazioni diverse, ma sussiste lo stesso perché deve essere rapportata a questo stadio della civiltà e dell’economia, per cui bisogna partire dal presupposto che, ad esempio, cento anni fa, la ricchezza consisteva nell’avere da mangiare, mentre oggi è la povertà a consistere nell’avere solo da mangiare l’essenziale. Ne deriva che, mentre per i lavoratori autonomi l’impossibilità è constatabile materialmente, perché si configura come un non avere più il denaro sul quale il fisco vuole i tributi, per i lavoratori subordinati l’impossibilità è giuridica, perché le detrazioni li spingono a livelli tali che essi, escogitando in qualunque modo delle soluzioni, riescono a realizzare delle forme di sopravvivenza che in realtà sono possibili anche con 100 euro al mese, o con nulla (fruendo della pietà pubblica o privata), ma non sono inquadrabili nello Stato di diritto. Specie poi se si considera che la penuria di denaro è causata dal crimine del signoraggio, o meglio, dal fatto che la magistratura, il legislatore, il potere esecutivo e l’informazione sono venduti alle banche e consentono loro di rubare, attraverso il signoraggio primario e secondario, il 90% della ricchezza. Diverso è invece il problema per le società, che non hanno spese ‘personali’, ma anche per le quali sussistono non modesti costi ineludibili e indentraibili, e che comunque sono soggette ad aliquote che consentono la loro sopravvivenza solo mediante il falso in bilancio, l’evasione o l’elusione; che pertanto non possono essere considerati reati. Vanno in sostanza dichiarate incostituzionali tutte le norme che, nel dettare i criteri per la determinazione dell’imponibile, non consentono la detrazione delle spese inevitabili. [email protected]
Posted on: Mon, 16 Sep 2013 21:56:01 +0000

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