In un boschetto di proprietà di Platone situato tra Atene ed - TopicsExpress



          

In un boschetto di proprietà di Platone situato tra Atene ed Eleusi, si trova un giardino posto al centro di una rigogliosa natura e circondato da fresche acque sorgive; è un abituale ritrovo di medici, filosofi e artisti. Si trovano infatti qui riunite le maggiori figure della medicina, della filosofia e della scienza di tutti i tempi. Il convegno ha lo scopo di giungere ad una definitiva conclusione sul disturbo dell’isteria che da millenni appassiona la scienza medica. Il simposio è presieduto da Platone che svolge così il ruolo di mediatore fra le opposte opinioni; intervengono alla discussione anche personaggi del mito, invero figure che rappresentano una realtà storica e psico emotiva codificata in immagini allusive e metaforiche. La GRANDE MADRE CIBELE: Voi siete figli maledetti, avete scacciato il Grande Utero da Delfi, avete tradito la Madre che per un tempo infinito vi ha protetto dal male, vi ha curato, vi ha dato calore; in un mondo malvagio e selvaggio l’unico vero amore era quello della Madre: non avete più riconoscenza per il ventre che vi ha dato la vita e per il seno che vi ha nutrito; Apollo vi ha stregato insegnandovi l’odio per la Madre e avviandovi così per una strada fatta di orgoglio sfrenato, segnata dai delitti di chi chiamate Eroe, niente altro che un figlio ribelle. GIASONE:... L’eroe è il simbolo del distacco dalla simbiosi malefica con la Madre e segno della riscossa che porta alla giustizia e ricaccia la madre Cibele nel fondo delle viscere della Terra. Le Furie, vergini per odio, urlano per rabbia e desiderio di vendetta ma saranno addomesticate col metodo di Apollo. CLEMENTE ALESSANDRINO: Vengo molto tempo dopo di voi: anche il nostro Dio indicò in Eva, come voi in Pandora, le cause del male del mondo. Ma tutto questo mi sembra eccessivo e teso a scaricare sulla donna i mali del mondo. Dio ha creato due esseri, maschio e femmina e io penso che essi debbono convivere, comprendersi, unirsi nell’amore, nella famiglia per il bene del figlio. CIBELE: Riconosco una voce equilibrata e giusta: tenni il figlio stretto al grembo e al seno in tempi oscuri, incivili e selvaggi: freddo, fame e attacchi di animali cattivi ne mettevano in pericolo la vita… Vero che ingannai il figlio, tenni stretto il Pitone: questo mi dava un forte orgoglio, perché così ero come una potenza androgina, ossia sia femminile, sia maschile: il potere, lo si sa, inebria. Potevamo però giungere a patti con Apollo; io sono pur sempre il simbolo della vita, della pace, della fertilità. Ancora oggi, a Eleusi, Platone si reca a venerare la grande Hera, ancora oggi i corribanti ballano in onore di Cibele, bello è vedere ancora il figlio che riconosce il culto della Madre senza timore e senza spirito di vendetta… Giungiamo ad un patto: pacificherò le Furie, le farò diventare buone Eumenidi, e dividiamoci il potere sulla vita. APOLLO: No, Cibele, le Furie sono state ormai rabbonite da me, hanno preso ad esempio Atena, esse riconoscono un solo potere quello del padre. Il tuo compito ormai è finito: è aperta una nuova civiltà dalla quale tu sei per sempre esclusa, se non nel limitato compito di sposa e madre; il figlio è del padre e con il padre. Le FURIE: L’uomo si creò dei miti per giustificare un regime oppressivo e disumano: raccontò nascite per partenogenesi maschile: Asclepio allevato dal padre Apollo, Dioniso vissuto per mesi nella coscia di Zeus, addirittura si disse che la donna ideale, Atena, perché amica dell’uomo, nacque tutta intera dalla testa di Zeus. L’uomo eroico entrò in conflitto con la madre per invidia del seno che nutre e dell’utero che crea e ha avvalorato il Logos come unico fattore di crescita, la vita nasce invece dalla Terra e dalla Grande madre comune. DIONISO: Questo non è vero perché non tenete in debito conto il corso degli eventi: dopo millenni il dominio della Grande Madre venne abbattuto e un agglomerato indistinto e comunitario fu travolto così dall’eroe, con la spada, l’aratro e il diritto maschile. Egli diede vita alla “polis”, alla società divisa in classi, alla famiglia diretta dal padre e i beni accumulati dal lavoro vennero ereditati dal figlio maggiore. I poveri, i deboli, i servi, i contadini, le donne vennero così a trovarsi soli, senza l’aiuto della Madre di tutti: nacque la rabbia, l’odio e l’invidia del debole verso il forte e fortunato. Che cosa poteva fare il potere legale del Padre se non tentare di addolcire il povero e la donna che avevano perso ogni riferimento consolatorio, se non creare un mito che alleggerisse le pene del giorno? Io, Dioniso, un dio tracio, così scopersi il vino, il teatro, la danza, l’orgia, la permissività sessuale allo scopo di alleggerire ogni tanto il dolore morale della donna. Il comunismo primitivo si era sgretolato; ma la donna doveva per forza di cose entrare, volente o nolente, nella nuova civiltà; credetti che il piacere orgastico fosse un mezzo per condurla piacevolmente ad accettare il ruolo di sposa, di moglie e madre. ARTEMIDE: Questo che dici risponde in parte alla verità: il simbolo amato dall’uomo non tanto diventò quello della Cibele buona, quanto quello di Afrodite e soprattutto delle paniche Ninfe che godono perennemente stimolate dal maschio. L’ideale divenne la donna molle, grassa, vogliosa di orgasmo: questo divenne il mito del maschio, la donna venne ridotta a moglie e prostituta. Guardate alla realtà delle cose: Aristotele lo dice che la donna dopo molti parti diventa fedele e buona e per il resto andate dicendo che Ecate, una vostra versione della Madre Buona, provoca le epilessie, la follia e le epidemie. Voi, ora accusate chi per millenni vi protesse dal male, vi diede la vita e vi allevò col candido latte: quale rovesciamento sciagurato dei veri valori! APOLLO: Sul tempio di Apollo si legge il motto dei saggi: conosci te stesso. E’ questa conoscenza interiore che difetta alla donna: essa non può giungere all’etica a motivo della rabbia e dell’invidia, essa invidia all’uomo la ragione e l’organo erettile. Per millenni aveva tenuto in mano il genitale maschile e confuso la ragione del figlio che ora liberata illumina il mondo. Da Delfi, Zeus e Apollo parlano tramite la Pitia, simbolo della donna che profetizza estatica perché invasa dalla ragione divina del Dio. La donna, lo insegna Delfi, è solo un tramite, un mezzo per l’uomo; bene vada alla donna che accetti questa lezione. Quindi correttamente ha fatto Melampo a segnalare la furia uterina come follia che trae origine dall’invidia, dalla rabbia, dalla verginità e a indicare nel maschio e nel farmaco che purga, le vie per guarire. Accetti la donna il ruolo di fedele compagna, si chini umilmente all’etica di Delfi, serva con devozione il marito, si sgravi di molti figli maschi e così avrà del tutto adempiuto al proprio destino. Lascio alla medicina del futuro l’idea che l’isteria non sia soltanto segno di un’intossicazione fisica, bensì abbia anche una genesi morale ed educativa. La donna isterica è talmente tesa all’eros che, appunto perché esso non riesce a sfogarsi, si viene a creare per alleggerire l’ansia una via patologica di scarico, somatica che conduce invece ai sintomi della malattia: deliri erotici, sopori e crisi simili a quelle epilettiche convulsive. CIBELE: Vi è parso comodo ridurre un problema così complesso come la rabbia e l’odio della donna verso il figlio ribelle e matricida, nell’ambito della medicina. Questo è un equivoco, un travisamento, un modo per dimenticare le vere cause alla base dell’isteria. Essa non origina dall’utero, non sorge da istinti sessuali repressi, né tanto meno da un desiderio di maternità inappagato. La donna non è riducibile ad un organismo omeostatico perché felice dell’orgasmo e della gravidanza. E’ questa un’opinione falsa, creatasi nel maschio per orgoglio e malafede: converrebbe così fosse! L’uomo, come medico e come maschio, dovrebbe essere il mago guaritore dell’isteria: ma è esso la vera causa della malattia! Il sopore, i deliri, le crisi motorie esprimono la rabbia della donna verso il maschio per le umiliazioni subite e per i torti subiti dalla Grande Madre. Non possiamo legarci al Padre se non viene rispettata la Madre: sono due figure complementari e necessarie. Con l’isteria ci vendichiamo, cerchiamo di richiamare l’attenzione dell’uomo, vogliamo infliggere sofferenze al cuore del maschio, puntiamo tutto su un obiettivo: rendere difficile la vita nella società patrilineare per vendicarci dei torti subiti, passati e presenti; non ci adescate né con Dioniso, né con Apollo, né con Asclepio. La medicina, lo sappiamo, seguirà la sua strada, errata e falsa, ma la donna continuerà a gridare la sua rabbia e la sua disperazione finchè non avrà avuto giustizia. L’orgoglio dell’eroe ha creato artatamente dei miti adatti ad un fine pre-costituito: la Ninfa che è presa dalla voluttà, la dolce Afrodite, la grande madre Buona, Atena la sorella fedele e intelligente, e ha così staccato la donna isterica dal contesto civile: essa, è per il maschio, una donna cattiva, ostile al padre. L’eroe ha diviso il mondo femminile in due gruppi, uno buono e uno cattivo e tutti davanti ad una donna isterica la pensano così: trovi marito e tutti i disturbi scompariranno come per incanto! Quale abbaglio, quale illusione, quale equivoco che, soltanto in apparenza, sembra servire positivamente all’ideologia patrilineare! Nella mitologia del mondo classico il femminile si definisce essenzialmente nei suoi rapporti di opposizione e di complementarità con il maschile : la donna occupa il posto che le viene assegnato dall’uomo. Il mito organizza simbolicamente le manifestazioni del reale, istituendo un ordine che ha valore di modello, fornisce una spiegazione degli eventi fondamentali della vita dell’individuo e del gruppo; si fonda la realtà stessa, assolve ad un compito educativo nell’additare modelli tipici ed esemplari. La reciproca interferenza fra mito e pensiero logico nella cultura greca si attua principalmente nell’ambito della filosofia e della tragedia, e per l’isteria anche nello spazio medico (Devereux G., 1984) Il fatto di base, sia individuale sia universale, è che, nella prima giovinezza, ogni individuo, senza eccezioni, vive sotto un regime matriarcale, spesso abbastanza duro. Gli aspetti dei miti e dei riti greci che sembrano suggerire l’esistenza di un sistema matriarcale arcaico potrebbero quindi essere solo le conseguenze di una mitificazione del regime matriarcale al quale ogni essere umano va soggetto nella sua prima infanzia. E’ il “romanzo familiare” del nevrotico. Per Freud stesso l’isterianon è solo una diagnosi psichiatrica che prevede l’isteria di conversione, l’isteria d’angoscia… ma una problematica umana, specificatamente femminile, presente in tutti noi ... “Tutto, nell’ambito di questo primo vincolo materno, mi sembrò così difficile da afferrare analiticamente, così grigio e remoto, umbratile, difficile da riportare in vita, come se fosse precipitato in una rimozione particolarmente inesorabile…”(Freud S., 1931) Il dialogo mitico preso a prestito per rappresentare una delle verità sull’isteria, ci rimanda alla sofferenza per il mancato riconoscimento di un’identità totale. Bollas restituisce all’isteria il suo significato peculiare, che è quello di essere uno stile di relazione con se stessi e con il mondo. L’amore erotico per il figlio, parte della funzione generativa materna, viene espresso nell’erotismo dell’allattamento. Il piacere della madre nell’allattare si associa a quello del bambino nel succhiare, ed è registrato attraverso la reciprocità dello sguardo. Neonato e madre sono saziati dall’allattamento, inteso come esperienza somatica, erotica ed emozionale. Fortunatamente esso è modificato da fattori quotidiani altrimenti sarebbe un’estasi narcisistica di amore reciproco. Se la madre trova che l’allattamento sia sessuale in maniera inaccettabile e ritira il proprio investimento psichico dal desiderio del bambino, poi trasmetterà a quest’ultimo tutto ciò. Potrebbe scegliere di evitare totalmente l’allattamento. Il seno è l’epicentro erotico della relazione del Sé con l’altro, e certamente il precursore del genitale che gli subentrerà molti anni più tardi, in qualità di asse del desiderio tra il Sé e l’altro. Non è soltanto attraverso l’allattamento che la madre esprime il proprio erotismo. La parola materna si congiunge alle parti in movimento del corpo del bambino, ed è guidata dal significato affettivo che la madre attribuisce alle richieste di quest’ultimo. Nel fare “la voce fuori campo” del corpo del bambino, la madre tocca il neonato con dita acustiche, che costituiscono il fondamento di tutte le conversioni dalla parola al corpo, e anche del contrario, poiché ora il corpo è tradotto in parole. Poiché le parole della madre, comunque, hanno sostituito il contatto fisico, l’isterico, nell’immaginario sonoro della parola, cerca anche il corpo erotico del Sé, e quindi la sequenza trasformativa del trattamento deve andare dal corpo al suono al significante. L’isterico usa la rappresentazione di parola come rappresentazione di cosa, trasformandola in un impatto diretto sull’inconscio dell’altro. L’isterico non assume la parola per ciò che significa o trasmette (in se stessa), ma per ciò che induce. Non solo essa mostra il corpo all’altro, ma è destinata a entrare nel corpo dell’altro…una sorta di relazione all’interno del sistema inconscio. Se l’acquisizione del linguaggio regala al Sé la perdita dell’holding acustico materno, allora, nel bambino che soffre l’assenza, da parte della madre, dell’approvazione fisica della corporeità del Sé, la perdita è profondamente penosa, perché l’erotizzazione materna del corpo del Sé deve essere reperita nel linguaggio, trattato come rappresentazione di cosa. Torniamo all’erotismo materno. Una madre accarezza il neonato in infiniti modi. Nella routine giornaliera di cambi di pannolino e bagni, accarezza i genitali e l’ano del neonato, stimolandoli con le proprie mani, accompagnate da celebrazioni vocali gestuali e mimiche. I bambini contraccambiano questi festeggiamenti, strillando con gioia, sgambettando o sperimentando i piaceri dell’eloquio. Quando immaginiamo la madre dell’isterico, però, ci imbattiamo in una figura diversa. Essa sperimenta un’intensa ambivalenza verso il neonato, inteso come essere sessuale, e specialmente verso i genitali, che non possono essere elogiati dal punto di vista sensoriale. Possiamo pensare che la madre comunichi quest’ambivalenza al bambino, il quale, comunque, conoscerà questo messaggio solo attraverso un corrispondente svilimento dei genitali nella loro qualità di oggetti d’amore, anche se queste madri possono cercare di riparare esaltando altre parti del corpo del neonato – la faccia, i piedi, le spalle, la pancia, la schiena – che diventano zone erotiche alternative: spostamenti – sanciti ora dalla madre – che possono servire da successivi canali di eccitamento. La madre si è ritirata dalla reverie erotica. Questo scambio (i genitali con le rimanenti parti del corpo) predispone il bambino a una gestione isterica dell’eccitamento sessuale, poiché il corpo viene insolitamente caricato della libido spostata. Nel momento in cui la madre fa la “voce fuori campo” del corpo del neonato, crea legami tra la parola e il corpo. La pulsione genitale evoca memorie inconsce di avversione da parte della madre e rimarrà fondamentalmente non elaborata. L’isterico sconta un eccesso di trasformazioni erotiche nongenitali e tende spesso a una sorta di teatro esibizionista; tuttavia quando perviene al momento genitale, il Sé diventa improvvisamente e drammaticamente una creatura infantile, che non ha il senso di un destino erotico. Il via vai della madre crea un’assenza, che diventa una forma importante di presenza nella vita di ciascuno, ma l’isterico sente che l’assenza della madre è guidata da un profondo ritiro dalla sessualità del bambino, una frattura che si presenta e ripresenta come un problema erotico tra madre e figlio. Sembra un’assenza saturata da un disinvestimento sessuale del Sé che suscita nel bambino desiderio-in-forma-di-struggimento. L’isterico si dà per assente al fine di creare una mancanza nell’altro che non provoca semplicemente desiderio (per l’isterico che si allontana), ma sancisce il desiderio dell’altro come una forma di mancanza. Come ci si può rendere conto dell’immanente sessualità dell’isterico? Perché, se egli è in conflitto con la sessualità genitale, appare così spesso erotico, anche quando la sta rifiutando? L’isterico erotizza l’assenza, cosicché, nell’allontanare la sessualità dalla realtà psichica e interpersonale viene erotizzato l’isolamento. Il corpo diventa un veicolo erotico genitalmente decentrato, che erotizza all’eccesso le altre zone erotiche, spesso un eccitamento spostato (come già fece la madre), che il Sé si sforza di contenere e anche gratificare. Masud Khan sostiene che l’isterico cerca di compensare la relativa perdita di cure materne con uno sviluppo sessuale precoce, in cui gli stati sessuali sono sfruttati per riparare le mancanze relative al supporto della madre all’Io e all’affettività. Questo conduce a un tipo di risentimento, nell’isterico, per il proprio fascino sessuale, in quanto la sessualità è sfruttata per la perdita di cura materna. L’isterico scinde il Sé, accettando l’illusione che il Sé sia in realtà un oggetto simile a una bambola che crea un interessante falso Sé, il quale diventa un’esca per l’altro. L’autoerotismo ripara una mancanza (della madre) che Bollas interpreta come una mancanza che è la madre stessa, e anche una mancanza che è il desiderio della madre. Quando questa madre si ritira dalla comunicazione erotica con il corpo del bambino, suggerisce, nell’astensione dalla sessualità e nell’allontanamento dalla realtà, la presenza del proprio mondo interno, che è destinato a realizzarsi. I bambini che sposano questo tratto distintivo della madre usano l’autoerotismo come corpo della madre e, quindi, nell’autostimolazione (amministrando la sessualità sé-altro soltanto nel segreto mondo interno della fantasia), fanno ciò che fa la madre e diventano come lei. L’isterico abbandona il proprio vero Sé per sostituirlo con l’oggetto ipotetico del desiderio materno. Gli isterici sono una prova vivente di ciò che potremmo considerare il momento della spaccatura del Sé, quando il vero Sé viene abbandonato per un tipo di falso orientamento al mondo oggettuale. Alla luce di queste considerazioni possiamo intendere le visite costanti dell’isterico agli ospedali come un continuo appello alla madre affinché si riprenda cura del Sé, e riscopra il corpo del neonato come qualcosa di finalmente desiderabile. Nel giungere, per il trattamento psicoanalitico, a sdraiare il Sé sul lettino, l’isterico ripresenta il corpo che necessita di essere visto e interpretato di nuovo. Le parole dell’analista saranno interpretate come forme di contatto, carezze all’altro corpo disincarnato in spirito.
Posted on: Sat, 29 Jun 2013 20:35:19 +0000

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