LA TERZA VIA : LECONOMIA ALTERNATIVA DOVE LUOMO E LA SUA DIGNITA - TopicsExpress



          

LA TERZA VIA : LECONOMIA ALTERNATIVA DOVE LUOMO E LA SUA DIGNITA NON CADONO NELLEGOISMO DELLAUTOSUFFICIENZA, MA CRESCONO NELLA COMUNITA ATTRAVERSO IL LAVORO E DIVENTANO BENE COMUNE Per unEconomia davvero alternativa dobbiamo creare una rete che colleghi questi, gruppi, persone e comunità secondo affinità e reciproci interessi di incontro, scambio e movimentazione di merci ed idee. Siamo tutti figli del ‘900. I genitori, anzi le nostre matrigne e patrigni sono da una parte il materialismo scientifico positivista che ha creato la nostra civiltà industriale spietata e darwinista perfino nella selezione naturale degli uomini secondo censo e intelletto e che ha generato una scienza meccanicistica priva di ogni spiegazione sul mistero della vita; dall’altra il materialismo storico che ha dato compimento alla cultura razionalista proveniente dall’illuminismo trasformandola in razionalismo, e insegnando a ricercare nella economia le cause prime di ogni fenomeno sociale. Dalla prima parte scaturisce il capitalismo con le sue abiezioni di ingiustizia e sopraffazione umana e sociale confluite nel secolo scorso in diverse forme di totalitarismo. Della seconda è figlia il comunismo con il suo bagaglio di illusioni sul miglioramento dell’uomo tramite la sua emancipazione solo materiale che ha partorito tragiche forme di neodispotismo in cui l’individuo rimaneva sottomesso e schiacciato da uno statalismo svuotato di ogni umanità. Occorre cercare una terza via; le altre due sono accumunate dal negare dignità all’individuo, sono incapaci di cogliere il segreto della trasformazione di tutto ciò che è vivo, sorde e cieche di fronte alle domande sul mistero della vita e della morte. Nemmeno il cosiddetto pensiero moderato, solitamente impregnato di valori cristiani o liberali che dovrebbero offrire maggiore libertà di espressione e di azione agli uomini, è in grado di soddisfare questa diffusa esigenza di verità e giustizia. Trovare questa terza via che ridia dignità all’uomo come individuo e alla sua comunità sociale, dare risposta alla crescente necessità di vero e autenticità che ci chiedono le nuove generazioni è il compito che attende chi vuole camminare su questa terra come uomo vero e libero. Gli errori delle altre due strade che hanno contrassegnato con sangue e tragedie il secolo scorso, dovremmo tenerli sempre ben chiari davanti a noi per impedirci di ricadere nella tentazione di pensare che basti una formuletta, una scorciatoia tecnica o politica per offrire una via più umana alla umanità. Non bisogna aspettarsi “innovazioni dall’alto” , non ha senso inventare nuove dottrine politiche o ardimentose soluzioni sociali-economiche che per essere attuate hanno bisogno di prendere il potere o di convincere chi sta al potere . Cerchiamo di evitare vie illusorie nel prospettare alternative economiche Quando parliamo di innovazioni dall’alto ci riferiamo alle tante campagne in voga contro il signoraggio, per il reddito di cittadinanza, contro i vari ordini mondiali vecchi e nuovi, contro la globalizzazione, ecc. Bisogna imparare a creare dal basso qualcosa che nel piccolo sappia già prefigurare quello che potrà col tempo avvenire su scala maggiore. Così la gente si prepara a pensare in modo concreto e a lavorare in gruppo e a fare reti tra persone che pensano in positivo per creare qualcosa e non solo “contro” qualcosa. Bisogna cominciare a pensare in un modo nuovo, libero da tatticismi e paure e svincolato dalla spinta dei soli bisogni. Il concentrarsi sui soli bisogni (e anche la felicità a ben vedere va considerata come un bisogno) conduce inevitabilmente a una escalation di egoismi. Egoismo sociale è quando pensiamo ed agiamo per conquistare diritti o previlegi senza considerare che con il loro ottenimento creiamo da qualche parte fratture, divisioni, separazioni. Non necessariamente ingiustizie o privazioni, ma piccole crepe sociali di cui ci renderemo conto solo più tardi. Questo accade a pensare ed agire senza guardare all’insieme ma ad una singola parte, la nostra. Andrebbero coltivati di più gli ideali, ma facendo sempre attenzione che un ideale è sempre privo di egoismo (in termini attuali si potrebbe dire, privo di conflitto di interessi). Mantenere interiormente un misurato equilibrio tra bisogni e ideali, potrebbe essere la formula per ottenere la giusta carburazione propedeutica ad un pensare sociale rinnovato. Il lato debole della economia alternativa Occorre liberarsi da stereotipi e tabù della nostra epoca. Quello della crescita all’infinito dell’economia è già stato intaccato dal movimento della decrescita (in)felice. Che noi chiamiamo così perché in parte coglie il segno denunciando il mito della crescita della economia e del profitto fine a se stessa, ma dall’altro cade nella visione antieconomica del “mi faccio tutto da solo”. L’autocostruzione, l’autoproduzione di detersivi o di yogurt fatti in casa, può essere un piacevole hobby, ma elevato a sistema di auto sussistenza, diventa un esasperato messaggio isolazionista che è in definitiva la morte del primo principio delleconomia: che è lo scambio. Si ricade per vie traverse ancora in una forma di egoismo: io mi faccio tutto da me e quindi sono bravo perché mi diverto e risparmio. Ma non è vero! E’ una illusione. Facendo così, ti sottrai al tuo compito primario che è quello di dare un servizio alla comunità attraverso il tuo lavoro: quel tuo lavoro che sai veramente fare, di cui ti sei appropriato attraverso tanti anni di gavetta e pratica e che sai eseguire sempre meglio tramite i benefici ottenuti dalla esperienza e dalla ottimizzazione di tempi e mezzi che la tua organizzazione del lavoro ha prodotto nel tempo. Ogni ora che spendi nell’imitare il lavoro altrui (con mezzi e risultati necessariamente inferiori a chi ha più esperienza e mezzi più adatti di te) è tempo sottratto allo svolgimento del tuo lavoro o alla fruizione del tuo tempo libero a cui sarebbe meglio attingere non per scopi economici (cioè aggiungendo altro lavoro al tuo lavoro) ma per socializzare, informarti, creare, vivere insomma. Inoltre soddisfare in modo dilettantesco un bisogno, toglie lavoro a chi tale lavoro svolge ed è portato a svolgere. Forse sarebbe meglio chiedersi come invece sarebbe più giusto agire tramite movimenti di opinione e di consumatori per proporre a chi produce certi articoli, di migliorarli sotto alcuni aspetti. La infelicità del “decrescitore” sta nel privarsi di una dimensione sociale in cui il suo lavoro e il suo pensiero sul lavoro degli altri possano interagire col lavoro di questi altri, coi loro prodotti e le loro idee. Economia è scambio e confronto di bisogni e di aspettative sulla loro soddisfazione. Quanto più riusciremo a cogliere questo aspetto davvero sociale che sta dietro ad ogni scambio economico, tanto più coglieremo occasioni di esperire le vicende di altri individui con le loro vite, le loro pulsioni, le loro idee. Il poco risparmio ottenuto col fai da te, non può valere il rallentamento di un flusso economico che invece attende di essere liberato dalle zavorre finanziarie e di sfruttamento che oggi lo caratterizzano, per diventare, se ne saremo capaci, una dimensione di reale incontro con l’altro. Incontro con colui che come me ha bisogno di dare e avere. E soddisfacendo a questo bisogno comune incontro e riconosco un individuo non come altro da me ma come una parte, come me, di una comunità sociale in cui ci ritroviamo e accogliamo fraternamente come membri aventi gli stessi diritti e doveri. Altro spettro è quello della filiera corta e del km 0. Pensiero distorto e aberrante che se davvero fosse adottato in larga scala ci porterebbe dritti dritti ad un medioevo prossimo venturo. Un mercato chiuso e asfittico dove le merci si scambiano come a quei tempi antichi solo entro mercati locali, privandoci di quegli scambi eterogenei che sono sempre stati fonte di ricchezza, di varietà di conoscenze. Abolendo l’acquisizione delle merci che vengono da lontano perderemo il piacere della scoperta del nuovo e del vario e ci chiuderemo in una economia curtense che solo apparentemente premierà il produttore locale, in realtà lo imprigionerò in un sistema dove chi ha più potere contrattuale e la migliore capacità di offerta trionferà assoggettando gli altri che diventeranno così suoi gregari non potendo più competere con lui. Oppure saranno costretti a rivolgersi a mercati esterni. E così quello che si è voluto eliminare rientrerà dalla finestra. La deriva dei gruppi di acquisto Come pure pagheremo caro la perdita della figura del commerciante se mai il movimento dei gruppi d’acquisto dovesse un giorno esprimere un leader politico che andasse al potere e attuasse la loro assurda visione economica. Perché loro pensano che una figura simile che si è creata, evoluta, consolidata in migliaia di anni, praticamente dal giorno dopo che è scomparso il baratto, debba sparire solo per il loro piacere narcisistico di andare a comprare direttamente dal produttore. Non pensano e non calcolano che il commerciante esista proprio per permettere al consumatore di poter scegliere tra una gamma di offerte che lui non potrebbe mai andare a scovare da solo. Che esista per accollarsi lo sforzo e il rischio di creare scorte per renderle sempre disponibili alla bisogna. Che quindi vive e rischia quotidianamente il suo capitale per soddisfare una sempre più vasta clientela perché se non lo facesse bene altri lo farebbero al suo posto soppiantandolo secondo la più elementare legge di mercato. I gruppi di acquisto più grandi se ne sono accorti e si sono autoimposti di non crescere maggiormente dimenticando che questa è una aberrazione economica. Se una attività funziona e cresce non va interrotta. In realtà lo fanno perché hanno paura a confrontarsi con un altro tabù alternativo: il rischio di impresa. Si vuole tutto a portata di mano, a prezzo migliore e con la qualità giusta, ma senza rischiare. Hanno capito che organizzare un buon servizio di base ai soci richiede costi: affitto di magazzini, scorte col relativo rischio di deperimento merce, investimenti…e ciò non solo spaventa ma diventa un costo che va ad erodere il (presunto) risparmio di avere la merce fresca direttamente dalle mani del contadino. Presunto perché non calcoli e non vuoi calcolare il tempo che ci metti ad andare e venire, a gestire la ridistribuzione tra i soci, a gestire le varie incombenze organizzative e legali. Il tutto per voler soppiantare la figura del commerciante che invece è lì pronta per agire per conto tuo accollandosi costi e i rischi della operazione. Il tutto per avere la soddisfazione di poter dire “ho guardato negli occhi chi mi ha venduto questo pezzo di formaggio” dimenticando che con questo gesto altamente egoistico tagli fuori tutti coloro che non possono permettersi questo lusso e impoverisci il mercato di qualcosa di buono. Tutta questa costruzione di impalcature economiche-ideologiche è dovuta ad una abnorme reazione al fatto evidente e conclamato che il commercio tradizionale è malato di avidità e scarsa attenzione verso i piccoli produttori di qualità. Ma vedete quanto è facile prendere strade sbagliate quando si vuole cambiare la società e non si guarda alle cose come stanno ma si ragiona solo con i paraocchi ideologici! Sarebbe bastato creare un movimento di opinione che premesse sui commercianti affinchè adottassero criteri diversi di prezzi e selezione delle merci. Oppure favorire chi nel movimento avesse attitudini commerciali, a diventare un buon commerciante etico. Questa economia alternativa isolazionista e localista nasce dal malinteso concetto di bioregionalismo che aveva pur pretese più nobili del recupero di arti, sementi e mestieri locali per ridare a loro la giusta importanza in opposizione ad una economia che tende invece a livellare la qualità verso il basso tramite la produzione e distribuzione di merce standardizzata, priva di varianti di modi e specie se non quelle finte imposta dalla moda e priva di contenuti. Invece con tale movimento si vorrebbero riscoprire e rilanciare le tradizioni storiche e locali. Ammessa la nobiltà di questo principio, quale remora mi dovrebbe mai frenare dal decidere a ragion veduta che il prodotto che più soddisfa i miei gusti si trova all’altro capo del mondo? Perché dovrei scegliere un prodotto analogo, più economico e magari più scadente solo perché è più vicino ? Ripensare al significato di spreco e consumi La prima falsità è legata ai costi del trasporto. E’ una sorta di fissazione retorica ed ideologica che agisce in modo pernicioso sulla economia perché induce a rallentare la circolazione delle merci, deprime l’industria del trasporto e i lavoratori in essa occupati. Se attuata su larga scala i produttori, frenati dalla diminuzione della circolazione delle merci, finirebbero col rallentare la produzione delle merci destinate fuori dai luoghi in cui sono prodotte e questo a lungo andare inciderebbe sulla quantità della merce prodotta finendo per aumentarne il prezzo. Il risultato in tempi brevi potrebbe essere di avere isole semiautosufficienti e poco felici non solo per la varietà limitata di offerte di beni, ma anche per l’aumento dei prezzi di produzione che tenderebbero a crescere annullando il beneficio del risparmio sui costi di trasporto. E ancora le risorse energetiche. Si produce tanto calore; proviamo a chiederci come potrà la terra riassorbire tale calore e rimetterlo nel proprio ciclo di forze che interagendo tra di loro potrebbero dare vita ad altre forme di energia. Invece si preferisce concentrarsi solo sull’aspetto delle risorse energetiche rilevando che il loro quantitativo è un numero finito e quindi destinato all’esaurimento. Mettendo l’accento sul fatto che ci hanno messo milioni di anni a formarsi e pochissimi ad esaurirsi. Ciò crea ancora ansia e preoccupazione che inducono a pensare ossessivamente a queste fonti solo in chiave di costi e risparmio sui costi. Tale atteggiamento distoglie l’attenzione comune dalla domanda centrale che dovrebbe essere : “dove va questa energia? E come recuperarla se è vero che non si disperde”? E volendo andare ancora più a fondo: “Da dove viene l’energia del pianeta? Come possiamo agire personalmente e collettivamente per metterci in contatto con questa fonte che non può essere una energia, bensì una forza? Sì perché anche noi possiamo muovere un braccio e compiere un lavoro, ma noi non siamo energia. Non è un caso che oggi il termine energia venga usato in modo indiscriminato anche in ambiti non pertinenti alla fisica e alla biologia, per esempio nei movimenti New Age, per indicare in modo improprio tutta una serie di azioni sottili. Non si pensa mai ad esse in termini di forza. Anche questo fa riflettere se non altro per il fatto che energia è sicuramente qualcosa che appartiene alla materia molto più che di quanto vi appartenga la forza verso la quale l’energia si pone piuttosto in un rapporto tipo causa-effetto. E come spesso accade in tutta la nostra cultura noi veniamo distolti dall’osservare le cause remote e finiamo ad occuparci solo degli effetti mescolando ad essi anche le cause. Concetto analogo a quello dell’energia lo ritroviamo per tutto quanto concerne l’uso e il consumo di acqua. Il quantitativo dell’acqua sulla terra è necessariamente finito. E per quanto la si consumi o evapori, essa per forza ritornerà sulla terra dopo una depurazione per via aerea o terrestre in cui si libera delle sue componenti inquinate da uso umano o industriale. Anche qui il finto problema ci viene posto mettendo in evidenza la sproporzione tra il tempo di rigenerazione naturale dell’acqua e il bisogno sempre crescente di consumo. Il totale della fornitura di acqua dolce utilizzabile per gli ecosistemi e l’uomo è circa 200.000 chilometri cubi che è inferiore all’1% di tutte le risorse di acqua dolce e rappresenta solo lo 0,01% di tutta l’acqua sulla Terra. Contando che nel ciclo dell’acqua, il tempo di residenza, ovvero quanto l’acqua permane nelle diverse riserve di raccolta e di filtrazione naturale, va dai 12 giorni -quella in cielo- ai 10.000 anni -quella fossile e dei ghiacciai- si può considerare che la massa totale dacqua del ciclo rimane essenzialmente costante, così come lammontare dacqua in ciascuna riserva, quindi, in media, la quantità dacqua che lascia una riserva è pari a quella che ritorna ad essa. Abbiamo quindi una massa enorme di acqua dolce inutilizzata e un bilancio sostanzialmente paritetico tra acqua che consumiamo/sporchiamo e acqua che il sistema terra ci ritorna pulita. Andrebbero quindi distinti con precisione i due piani del discorso fino ad ora condotto su energia ed acqua. Il primo riguarda l’aspetto etico e di educazione al rispetto dell’ambiente e a evitare ogni tipo di spreco che è di valore morale e di importanza sociale assoluto e indiscutibile. Il secondo riguarda la valutazione dei costi ambientali del consumo di energie e di acqua, che va visto in quanto tale, cioè come un costo di una merce. Sono merci che attualmente hanno un costo generato dalla loro disponibilità e dai tempi di lavorazione necessari a procurarle. Tutto qui. Invece di disperarsi per il loro consumo, sarebbe invece più opportuno concentrarsi sulla ricerca per migliorare i tempi e le modalità di approvvigionamento di nuove risorse energetiche e idriche come ad es. i dissalatori azionati ad energia eolica o solare lungo le coste. E concentrarsi nel trovare tecnologie per prevenire e contrastare l’inquinamento ambientale che rimane un fatto grave e di rilevanza enorme che questo scritto non vuole in nessun modo nascondere o sminuire. Ecco secondo me le azioni il cui valore e importanza aumenteranno se attuate il più possibile simultaneamente. La prima è la creazione di gruppi formati da persone che perseguono individualmente e in comunità un percorso di autoeducazione e crescita interiore purificando il loro pensare da ogni forma di stereotipo e fissazione provenienti sia da mode che da ideologie. La seconda è creare per ogni gruppo i rispettivi mezzi di autodeterminazione rispetto ai contenuti e di autosufficienza rispetto ai mezzi. La terza è una rete che colleghi questi, gruppi, persone e comunità secondo affinità e reciproci interessi di incontro, scambio e movimentazione di merci ed idee. Per questa Economia che noi auspichiamo serve fare un salto di qualità, un passo avanti nel pensiero e nell’azione di tutti.
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 17:07:05 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015