La crisi del lavoro e il dominio delle oligarchie -prima parte- - TopicsExpress



          

La crisi del lavoro e il dominio delle oligarchie -prima parte- Democrazia in crisi e tracollo della sinistra Il collasso italiano, assai più profondo della crisi mondiale di cui è parte, non è solo né soprattutto politico. Gli aspetti materiali, culturali, sociali – la scomparsa di alcuni settori portanti della nostra economia, il dissesto ambientale; la dipendenza culturale; la povertà vera, la privazione di beni e servizi indispensabili, non solo la frugalità involontaria, di molti italiani – sono certo più profondi, più sostanziali, più difficili della crisi politica, nel senso di crisi dei partiti. Ma, se non siamo, per ora, tra gli assolutamente poveri, è la condizione politica del paese che ci lascia, che mi lascia, letteralmente senza parole. Non siamo nuovi in Italia alla denuncia dell’opportunismo, della frode, della corruzione, in politica. Lungo prometter con l’attender corto è stato scritto in italiano più di sette secoli fa. La crisi della politica attuale comincia almeno trent’anni fa. Ma il balbettio, la menzogna evidente, l’equivoco verbale, il gioco di parole così rozzo da non ingannare nessuno di molti politici e antipolitici italiani, di destra e di sinistra, in questi ultimi mesi, non lo avevo mai sentito prima. Le stesse persone che ci dicevano pochi mesi fa che bisognava allungare la vita di lavoro fin quasi a settant’anni, anche per i lavori manuali – per favorire i giovani, per equità tra le generazioni – oggi programmano part time e uscite anticipate per i vecchi, sempre per favorire i giovani, per equità tra le generazioni. Che fosse materialmente impossibile realizzare tutti i tagli previsti dal governo Monti era chiaro; ed è stato anche scritto; non sui grandi giornali. Ma che, con qualche sostituzione di persone, ora si annuncino come ovvi tagli fiscali e incentivi di certo incompatibili con i principi di ieri, forse anche con le possibilità reali, è veramente troppo. Abbiamo sopportato un governo di unità nazionale che metteva insieme partiti incompatibili, almeno a parole, nell’immagine, che avrebbe dovuto metter fine a una politica di spesa irresponsabile a vantaggio dei ricchi e dei ladri. Ha preso misure che hanno colpito molti; ma non i ricchi e i ladri. Ora ci chiedono di sopportare – con il patrocinio dello stesso Presidente della Repubblica – un governo che sospende e promette di abolire le misure che ieri si dichiaravano indispensabili. Non si era mai visto che si proponessero candidati alla Presidenza di opposto significato e li si bocciasse senza spiegare perché. Prima proposte di alleanza a Grillo; poi la candidatura Marini; poi quella Prodi; poi il bis di Napolitano, che promuove radicali mutamenti, per vie dubbie, della Costituzione che dovrebbe difendere. Non ne possiamo più. I partiti politici hanno la fiducia di qualche per cento degli italiani. A parte il M5S che prende voti perché è contro tutti, i partiti non hanno la fiducia neppure di chi li vota. È probabile che quello di Berlusconi torni a essere il primo partito non perché sia aumentata la fiducia in lui ma perché tutti sanno che mente, che, qualunque cosa dica, proteggerà l’illegalità, l’accaparramento, ampiamente diffusi nella società italiana. Come ci siamo ridotti così? Quali sono le cause del tracollo politico del paese, che si intreccia al tracollo morale denunciato da Gaeta sul numero precedente di “Lo straniero”? Cosa è successo nell’ultimo quarto di secolo nella politica italiana? Perché la sinistra si è disfatta così? Credo si sia verificato, in piccolo, un fenomeno analogo a quello della fine dell’Unione sovietica. Sono sparite le idee, i principi, che tenevano in piedi il paese, e la sinistra, ma gli uomini al potere, di tutte le sfumature di potere – al governo e all’opposizione – sono rimasti gli stessi. E hanno spolpato il Paese, appropriandosi privatamente di ciò che era pubblico, in tutte le forme. In Unione sovietica è crollato il partito unico; in Italia è sparito il gruppo dei partiti maggiori. Non solo nel senso che i loro esponenti sono stati presi con le mani nel sacco, ma anche nel senso che le idee di fondo – il cattolicesimo, sociale o reazionario; varie ipotesi di socialismo – sono evaporate. Tutti o quasi tutti hanno pensato che la prosperità fosse eterna, che la politica economica fosse quella decisa dalle grandi finanziarie e dalle grandi banche, secondo l’ideologia dominante; che si trattasse solo di contendersi il primato, che non poteva che toccare ai meglio organizzati, ai più furbi. La lotta politica si è trasformata in lotta per la presenza nei luoghi in cui si esercita il potere dello Stato, o si esercitano i poteri, economici, amministrativi, propagandistici, che possono influire sullo Stato, sul Paese. Si è trasformata in lotta per difendere o allargare la propria quota nella lottizzazione di tutto: aziende, banche, giornali, Rai, pubblicità. I partititi minori hanno puntato a esercitare un potere di condizionamento; hanno rinunciato di fatto a una possibile alternativa, che implica conoscenza della realtà, assunzione di responsabilità, senso del limite. Hanno scelto la politica del “più uno”, come si usa dire, e della difesa della loro quota di lottizzazione. Il tragico “abbiamo una banca” di Fassino potrebbe assurgere a simbolo dell’essenza, e del tracollo, del suo partito. Peccato, per lui, che gli altri avessero più banche. Per fare politica ci vogliono idee. Senza idee – lo diceva già Toqueville – si finisce nel “moto browniano” degli interessi particolari, individuali; o nella soggezione a un demagogo. Usano espressioni molto simili Gaeta e Leogrande. Negli ultimi venti anni le idee dominanti sono state quelle del neoliberismo trionfante, del mercato come fine e come mezzo; come spiegazione di tutto. Il mercato è rimasta l’unica idea politica, che ha inglobato le modeste varianti identitarie. C’è stata la trasformazione in azienda di tutto: ospedali, scuole, istituti di ricerca, partiti – abbiamo avuto l’azienda-partito e il blog-partito, sempre con proprietari ben definiti, come in Russia. La pubblica amministrazione ha esternalizzato qualsiasi attività configurabile come lavoro, con una netta caduta di efficienza, e ha lottizzato tutto quanto fosse decisione. Il Pubblico impiego, le aziende di Stato, si sono riempite di piccoli e grandi funzionari di partito. I grandi, che decidevano e decidono gli appalti, la spartizione dei fondi, molto ben pagati – per la necessità di far fronte alla concorrenza delle alte retribuzione dei dirigenti privati, si è detto – i piccoli, quelli che svolgono la parte non appaltabile del lavoro, per la prima volta nella storia d’Italia, lasciati a marcire: mal pagati e senza rimpiazzi, come nella scuola, negli ospedali, nelle anagrafi. Ha ragione Gaeta a citare Berlinguer e Dossetti, che sono due diversi modi di dare una dimensione sociale all’etica. Ma, se non si fa qualcosa, rischiamo di tenerci il nostro Putin locale vita natural durante. Con la differenza che qui i poteri più importanti, quello finanziario e quello militare, vengono esercitati, su scala europea e su scala planetaria, senza che ci possiamo fare nulla. Bisogna restituire qualche idea alla politica, assumendocene la responsabilità, cioè cercando di non limitarci a tirare la giacca a qualcuno. Il movimento per l’acqua pubblica, quello per i beni comuni, in generale, questo hanno fatto. Sono riusciti a porre un problema reale a tutti, al di là delle opinioni sulla storia e sul futuro di singoli proponenti, anche importanti; a scrivere con molto rigore il quesito referendario; a ottenere il risultato; a difenderlo. DI FRANCESCO CIAFALONI sulostraniero
Posted on: Thu, 04 Jul 2013 13:14:27 +0000

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