La “guerra dei vent’anni” è finita e bisogna prenderne - TopicsExpress



          

La “guerra dei vent’anni” è finita e bisogna prenderne atto. E non è finita con la votazione per decidere il voto palese al Senato, né finirà con la decadenza che sarà votata dopo la legge di stabilità, ma con la condanna definitiva comminata dalla Cassazione. Dopo di allora si è solo combattuta una guerra di retroguardia senza speranza, perché le regole a la forma sono sicuramente importanti, e Berlusconi è stato colpito da un provvedimento ad personam, ma in questo caso la sostanza conta di più. E la sostanza è che, anche senza la legge Severino, l’interdizione di due anni dai pubblici uffici, stabilita dal tribunale di Milano, ha di fatto messo la parola fine alla carriera parlamentare del Cavaliere. Dopo decine di accuse, da quelle più plausibili per un imprenditore, quale i reati fiscali, a quelle più fantascientifiche quale quella di essere il mandante della strage di mafia di via dei Georgofili, peraltro archiviata dal GIP di Firenze nel 1998, la procura di Milano è riuscita a concretizzare la minaccia posta in atto da Di Pietro “io quello lo sfascio”. Dopo un accanimento giudiziario mai visto prima, ispezioni senza fine della Guardia di Finanza, indagini che hanno visto impegnate centinaia di servitori dello Stato e che sono costate milioni di euro e un fiume di interessantissime intercettazioni telefoniche – sempre fedelmente riportate dai giornali amici delle procure – fatte per sapere con chi andava a letto il premier, sono finalmente riusciti ad impallinare il Cavaliere Nero e a vendicare Occhetto. Si potrà obbiettare che dopo certe sentenze, quali quella dell’Aquila che ha condannato gli scienziati della Commissione Grandi Rischi per non aver saputo prevedere un terremoto, la fiducia che si può avere nella magistratura italiana è pari a zero ma bisogna prendere atto del fatto che o si ha la maggioranza politica ed il consenso popolare per rivoltare il sistema giudiziario come un calzino o si deve abbozzare e, per adesso, tale maggioranza politica non c’è. Ma il dato ancora più incontrovertibile che spinge per un rinnovo della leadership del centrodestra è lo scorrere inesorabile del tempo. Il governo delle larghe intese appare sempre in bilico ma, tenendo conto del semestre di presidenza europea, è ipotizzabile che le prossime elezioni non ci siano prima della primavera del 2015. Berlusconi è nato nel 1936 e se anche non ci fossero stati i due anni di interdizione dai pubblici uffici non è credibile presentarsi alla competizione elettorale con un candidato premier ottuagenario. Continuare la lotta interna al PDL tra lealisti e governisti serve solo a far perdere la pazienza a quegli elettori che ancora si sentono rappresentati dal centrodestra e che già sono parecchio tentati dall’astensionismo. La posizione di Alfano può ricordare quella di Badoglio all’otto settembre ma giova ricordare che in democrazia la fedeltà non si deve al Re o al generale ma agli elettori. Al contrario le posizioni di Fitto, ostile alle primarie per fedeltà al monarca, e di Bondi, che afferma “non resterò in un partito diviso tra correnti” quasi sentisse la nostalgia del centralismo democratico del suo vecchio PCI, sembrano quelle di quei soldati giapponesi che vennero trovati nella giungla delle isole del pacifico a combattere ancora per l’imperatore agli inizi degli anni cinquanta: eroici, fedeli, valorosi ma assolutamente inutili. Di Pietro Torri, il 6 novembre 2013
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 15:36:12 +0000

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