La rassegna stampa del Centro di Centro di Documentazione - TopicsExpress



          

La rassegna stampa del Centro di Centro di Documentazione Rigoberta Menchù- Ottobre 2 di Ferdinando Camon in “La Stampa” del 6 ottobre 2013 Carlo Lizzani s’è buttato dal terzo piano ed è morto. Non sopportava più la vita? Ma aveva 91 anni. Quanta vita aveva ancora da vivere? Pochissima. Ma anche quella pochissima ha voluto rifiutarla, non ce la faceva più. La stessa cosa è capitata a Mario Monicelli, per restare nel cinema. Monicelli aveva 95 anni quando si buttò dalle finestre della clinica dov’era ricoverato, aveva un cancro ed era appena stato operato. Malato, ultravecchio, non autosufficiente, comunista e ateo dichiarato, cosa gl’impediva di uccidersi? Niente. Ma Lizzani era con me tra gli ospiti di Ratzinger, i 250 artisti che il Papa aveva chiamato da tutto il mondo per incontrarli. Non è detto che fossero (che fossimo) tutti cristiani credenti, ma eravamo intellettuali (registi, attori, cantanti, scrittori…) che, se sentiamo parlare la Chiesa, non ci turiamo le orecchie. E tra le cose che abbiamo sentito, e che han segnato la nostra cultura, c’è la gravità del suicidio: gesto estremo, col quale «rifiuti di esistere», ti sottrai alla famiglia, agli amici, all’umanità. Prima di farlo, t’interroghi migliaia di volte: cosa perdi? cosa guadagni? A novant’anni non è che quel che può ancora darti la vita sia poco o niente, cioè un valore positivo prossimo allo zero, o lo zero addirittura. No, per gli uomini della quinta età (oltre i novanta), quel che la vita riserva è un valore negativo. Sotto lo zero. Soltanto sofferenze e umiliazioni. Hai bisogno di tutto e di tutti e non puoi più dare niente a nessuno. Se sei stato un grande (Lizzani è stato un grande, Monicelli è stato un grande), il ricordo della passata grandezza diventa un dolore lancinante quando ti accorgi che gli altri cominciano a dimenticarti. Si dice: la storia cambia e la vita si rinnova. Sì, ma mai come adesso. Adesso s’affaccia una nuova generazione di scrittori registi pittori, insomma artisti, ogni dieci anni. Sono feroci: vogliono prendere il tuo posto e seppellirti. Fanno cose diverse dalle tue, non capiscono le tue e tu non capisci le loro. Chi decide tra i due? Il pubblico e i media. Pubblico e media stanno sempre col nuovo, perché il nuovo è il loro cibo. Se ne nutrono e poi lo scartano, perché vanno alla ricerca di nuove novità. Cosa può confortare un artista che invecchia e aiutarlo a tirare avanti? Che le sue opere lo seguano. Se trent’anni prima ha scritto un grande libro, che il libro si ristampi ancora. Se ha diretto un grande film, che il film si proietti ancora, magari per gli studenti. Per l’artista che invecchia, non conta il successo di una volta, ma la durata attuale delle sue opere. Questa è il massimo che può avere. Dovrebbe bastare. Se a Monicelli e a Lizzani non è bastata, vuol dire che le amarezze della quinta età sono così mostruose, che prima di entrarci non possiamo neanche immaginarle. Ormai prolunghiamo troppo la vita. Rischiamo che l’ultimo tratto non sia più vivibile “Il caso Lizzani? La vita è un diritto non un dovere” intervista a Umberto Veronesi a cura di Flavia Amabile in “La Stampa” del 7 ottobre 2013 Umberto Veronesi non ci sta. Ex ministro della Sanità, oncologo, autore di testi sul diritto all’eutanasia, chiede che si torni a parlare della fine della vita perché morti come quella del regista Carlo Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. «Purtroppo, invece, in Italia, e anche in molte parti d’Europa, il diritto di morire con dignità è una conquista ancora da fare,. Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio». Un terzo dei suicidi è a carico di chi ha più di 65 anni e metà degli anziani soffre di depressione. «E’ un problema vero ma non parlerei di depressione, piuttosto di demotivazione alla vita. Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere? È stata presentata una richiesta di legge di iniziativa popolare. Sono state raccolte le firme e presentate. Se si dovesse avviare l’iter di legge si parlerà finalmente di questo complesso tema, e poi tutto è possibile, anche che la legge possa essere approvata. Non dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l’interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che ora si tratta di un problema molto sentito dagli italiani. In tanti hanno un parente anziano che non ce la fa più e minaccia di farla finita. «Abbiamo 3mila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano o si buttano giù dalla finestra. Sono un po’ di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un’operazione lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente. È un insieme di vicende tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere. Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene, la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un diritto». I cattolici sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi - né prima della nascita né dopo - di interromperla. «È verissimo ma esiste anche l’autodeterminazione. Ed in Italia esistono dieci milioni di atei e agnostici e milioni di persone che professano religioni diverse. Quindi chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione». Bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque. «La decisione spetta solo a noi, non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri. È una forzatura, bisognerebbe assecondare la natura. Eutanasia è un pessimo termine, preferisco parlare di desistenza dalle cure, di aiutare a morire». Qualsiasi sia il termine che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo perché uccidersi non è reato, anche il tentato suicidio non è punibile. Allora perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?»
Posted on: Mon, 28 Oct 2013 17:16:54 +0000

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