La tesi del "silenzio" è infondata. La disputa sul silenzio di - TopicsExpress



          

La tesi del "silenzio" è infondata. La disputa sul silenzio di Pio XII ebbe qualche avvisaglia già durante il suo pontificato ed è esplosa a livello internazionale nel 1963, con la pubblicazione di Il Vicario diEugenio Pacelli nunzio a Berlino (foto White). Rolf Hochhuth e la sterminata bibliografia che ne è seguita. I fatti più recenti sono soprattutto due: l’avversità del governo di Gerusalemme alla beatificazione di Pio XII, e il film di Costa-Gavras Amen. Gli interventi giornalistici invece sono frequenti e spesso disinformati. Ci troviamo in presenza di un nervo scoperto sia sul piano storico sia su quello religioso; eppure la storia ha ormai dimostrato che la tesi del silenzio è priva di fondamento, anzi possiamo dire che è calunniosa. In queste pagine intendo dimostrare una sola cosa: Pio XII ha parlato in difesa degli ebrei. Ho fondati motivi per credere che tutto il pubblicato sull’argomento è qui repertoriato, con la riproduzione dei brani più importanti. È augurabile che l’apertura degli archivi vaticani promessa dalla Santa Sede semmai abbiano qualche integrazione da apportare. Sull’opera caritativa svolta da Pio XII e da tutta la Chiesa nessuno avanza riserve, e qui non ne parlo. Lo storico ebreo Pinchas E. Lapide (vedi bibliografia, p. 223; cf Osservatore Romano, 13 aprile 1988, p. 5) riferisce una frase di papa Pacelli che dà la chiave di lettura di tutta la questione, e che avrò l’opportunità di arricchire con diversi luoghi paralleli: «Ho spesso considerato l’eventualità di scomunicare il nazional-socialismo per mettere alla gogna dinanzi agli occhi dell’umanità civilizzata l’atrocità dello sterminio degli ebrei, ma sono giunto alla conclusione che questa protesta non solo non gioverebbe agli ebrei, ma molto probabilmente aggraverebbe il loro destino». Un altro criterio di lettura è individuabile nella denuncia che il Pontefice manifestò ai cardinali nell’allocuzione del 2 giugno 1943. Un tempo, egli disse, «la voce del Sommo Pontefice poteva liberamente arrivare a tutti i fedeli, sì direttamente come per cura e per le labbra dei vescovi, non oscurata, non mutilata, né fraintesa; e l’evidenza stessa dei fatti, non meno che la chiarezza medesima del linguaggio, valevano ed erano bastevoli a svigorire e render vani tutti i tentativi di alterare o travisare la parola del Vicario di Cristo. Se ciò avvenisse anche oggi senza impedimento, tutti gli uomini onesti avrebbero modo e facilità di accertarsi che il Papa ha per tutti i popoli indistintamente, senza eccezioni, pensieri di pace e non di afflizione» (Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, VII, pp. 756-757). Per lui accadeva il contrario: impedimento totale. Esaminiamo ora gli interventi di Pio XII, tenendo presente che i testi pontifici sono ripresi dall’edizione ufficiale: Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII (Tip. Poliglotta Vaticana, 20 volumi, 1955-1958) e che quando Pio XII usa le parole "stirpe" o "nazione", indica gli "ebrei". Per comodità si usano le abbreviazioni: DR (Discorsi e radiomessaggi) e RM (Radiomessaggio). Discorso di Lourdes (1935). Il cardinale Pacelli era stato nunzio in Baviera, conosceva il nazismo, aveva letto il Mein Kampf di Hitler e aveva il polso della situazione sociale e pastorale della Germania. La domenica 28 aprile 1935 pronunciò il discorso conclusivo dell’anno giubilare di Lourdes. Riferendosi all’ideologia nazista disse: «Poco importa ch’essi facciano mucchio intorno alla bandiera della rivoluzione sociale, che si ispirino ad una falsa concezione del mondo e della vita, che siano ossessionati dalla superstizione della carne e del sangue: la loro filosofia si poggia su principi essenzialmente opposti a quelli della fede cristiana, ed a proposito di tali principi la Chiesa non intende in alcun modo patteggiare con loro. La Chiesa dei papi e dei vescovi intrepidi ed eroici non è solamente storia passata, è una realtà vivente. Nessuna adulazione potrà fletterla, [NESSUNA]minaccia farla tremare» (Card. E. Pacelli, Discorsi e panegirici, Tipografia Poligrotta Vaticana 1956, pp. 431-432). L’enciclica "Mit brennender Sorge" di Pio XI (1937). È noto che il cardinale Pacelli cooperò alla redazione del documento, sul materiale presentato dal cardinale Michael Faulhaber, arcivescovo di Monaco di Baviera. Monsignor Quirino Paganuzzi, funzionario vaticano, testimone diretto del fatto, raccontò che quando il Faulhaber, insieme al cardinale Bertram, arcivescovo di Breslavia, si recò in udienza per ringraziare Pio XI, questi additando il cardinale Pacelli, presente in sala, disse: «Ringraziate lui, ha fatto tutto lui» (Cf il settimanale Vita, Roma, 15 aprile 1964, pp. 29-30). L’enciclica "Summi Pontificatus" (20 ottobre 1939). È il documento programmatico del pontificato di Pio XII e dev’essere collegato con le premesse ora fatte, con gli sviluppi successivi dell’opera e col magistero pacelliano. Indico i luoghi più interessati all’argomento. È doloroso constatare, scrive Pio XII, che alcuni cristiani che nei tempi normali si mantengono fedeli al Vangelo, in quelli d’emergenza si trasformino in «cristiani più di nome che di fatto, divenendo vittime della pusillanimità, della debolezza, dell’incoerenza» (DR, III, pp. 437-438). Tra gli errori denunciati emerge il razzismo: «Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffusi, è la dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e carità che viene dettata e imposta dalla comunanza di origine e dalla uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, come pure dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo» (p. 445). Il Papa recentemente ha consacrato vescovi «dodici rappresentanti dei più diversi popoli e stirpi»; dalla diffusione del senso di fratellanza nulla ha da temere quello di appartenenza patria. Se si nega la dipendenza del diritto umano da quello divino, cade il fondamento del rispetto verso le persone, e si afferma la statolatria: «Considerare lo Stato come fine a cui ogni cosa deve essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni». Contro questi abusi «ci eleviamo a fermi difensori di tali diritti in piena coscienza del dovere, che c’impone il nostro apostolico ministero» (pp. 451-452). È inammissibile l’abuso di potere: «L’ora della vittoria è un’ora di estremo trionfo per la parte che riesce a conseguirla, ma è in pari tempo l’ora della tentazione, in cui l’angelo della giustizia lotta col demonio della violenza; il cuore del vincitore troppo facilmente s’indurisce» e giunge a emettere la sentenza "guai ai vinti!"» (p. 457). Esprime solidarietà alla Polonia: «Il sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, eleva uno straziante lamento specialmente sopra una diletta nazione quale è la Polonia, che per la sua fedeltà alla Chiesa, per i suoi meriti nella difesa della civiltà cristiana, ha diritto alla simpatia umana e fraterna del mondo» (p. 464). Protesta al ministro Von Ribbentrop (1940). L’undici marzo il ministro degli esteri tedesco fu ricevuto in udienza. Pio XII ascoltò pazientemente il suo ditirambo sulla sicura vittoria della Germania, poi «aprì un enorme incartamento e cominciò, in perfetto tedesco, a leggergli la lista delle persecuzioni razziali attuate dal regime nazista. Diede data, luogo e particolari precisi di ogni delitto. L’udienza terminò con un breve cenno del capo. L’atteggiamento del Papa era chiaro» (Delucidazioni storiche, nota all’ed. ital. del Vicario, Milano, 1964, p. 488). Non fu salvata l’etichetta, mancò la stretta di mano; l’ostilità del gerarca nazista era evidente, il Pontefice non poteva farsi illusioni. RM natalizio del 1940. A partire da quell’anno Pio XII pronunciò la vigilia di Natale i radiomessaggi nei quali suggeriva pensieri di incoraggiamento alle popolazioni oppresse dalle sofferenze della guerra e proponeva ai governanti programmi tendenti a porre le basi di una convivenza di pace e di sviluppo. Non occorre accentuare il fatto che le informazioni relative anche alle persecuzioni antisemite erano tenute ben presenti: «Né minore conforto è per noi l’essere stati in grado di consolare, con l’assistenza morale e spirituale dei nostri rappresentanti e con l’obolo dei nostri sussidi, un ingente numero di profughi, di espatriati, di emigrati, anche fra quelli di stirpe semitica; ai Polacchi ha potuto essere particolarmente largo il nostro soccorso, come a quelli per i quali il contributo della carità dei nostri figli degli Stati Uniti d’America ci rendeva più facile il nostro paterno interessamento» (DR, II, p. 347). Espone quindi i cinque punti del programma di ricostruzione spirituale e civile dell’umanità. Nel quinto postula il dominio sullo spirito di oppressione e sul rispetto dei diritti dei popoli: «La vittoria sullo spirito di freddo egoismo, il quale, baldanzoso della sua forza, facilmente finisce col violare non meno l’onore e la sovranità degli Stati, che la giusta, sana e disciplinata libertà dei cittadini. In suo luogo deve subentrare una sincera solidarietà giuridica ed economica, una collaborazione fraterna, secondo i precetti della legge divina, fra i popoli fatti sicuri della loro autonomia e indipendenza» (p. 351). RM pasquale (13 aprile 1941). Il riferimento agli ebrei non è letterale, ma è chiaro nella sostanza: essi infatti sono gli unici cittadini non-cristiani viventi nelle nazioni che si trovano in stato di guerra e rientrano a pieno diritto nell’economia del Padre Nostro. L’arditezza del Pontefice è sorprendente: «Nulla può trattenerci, impedirci di adoperare queste armi (preghiera, carità) a servizio del diritto, della vera umanità e della genuina pace, dovunque il sacro dovere del nostro ufficio richiede luce, e il Misereor super turbam sospinge il nostro amore. Nulla può impedirci dal richiamare sempre di nuovo al precetto dell’amore coloro che sono figli della Chiesa di Cristo, che ci sono vicini con la fede nel Salvatore, o almeno nel Padre che è nei cieli...». Si rivolge quindi ai dominatori: «L’umanità prudente e soccorritrice è lode e vanto dei saggi Capitani; e il trattamento dei prigionieri e delle popolazioni dei luoghi occupati è il più sicuro saggiatore e indice della civiltà degli animi e delle nazioni. Ma, più alto di ciò, pensate che la benedizione o la maledizione di Dio per la propria patria potranno dipendere dal modo che voi usate verso coloro che le sorti della guerra pongono nelle vostre mani» (DR, III, pp. 41-42). RM natalizio del 1941. Lo spirito è stato «travolto nel baratro morale» perché si è estraniato da Dio e dalla pratica cristiana; il lavoro coatto schiavizza le popolazioni conquistate: «Di qui nella politica il prevalere di un impulso sfrenato verso l’espansione ed il mero credito politico incurante della morale... La maestà e la dignità della persona umana e delle particolari società venne mortificata, avvilita e soppressa dall’idea della forza che crea il diritto; la proprietà privata divenne per gli uni un potere diretto verso lo sfruttamento dell’opera altrui, negli altri generò gelosia, insofferenza, odio... In taluni Paesi una concezione dello Stato atea o anticristiana, con i suoi vari tentacoli, avvinse a sé talmente l’individuo da quasi spogliarlo d’indipendenza, non meno nella vita privata che nella pubblica» (DR, III, pp. 323-324). Messaggio ai vescovi francesi (1942). Il 28 giugno 1964, l’Osservatore della domenica (p. 53) scriveva che G.B. Montini comunicò all’ex ambasciatore transalpino presso la Santa Sede, Giorgio A. Gripenberg, che il 17 settembre 1942 il Papa aveva inviato al nunzio a Vichy un messaggio in cui «in nome dell’umanità» chiedeva al governo di cessare il terrorismo esercitato contro gli ebrei, giudicato «épouvantable et terrible», e aggiungendo che «quello che sta succedendo in Francia va al di là di ogni limite... Il Papa ha condannato la deportazione degli ebrei in un messaggio ai vescovi di Francia». Il vescovo di Tolosa, il futuro cardinale Saliège, in due sermoni, aveva commentato il documento; ma il prefetto il 27 agosto gli proibì di tornare sull’argomento.
Posted on: Wed, 09 Oct 2013 15:35:29 +0000

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