La vocazione al cuore della nuova evangelizzazione: l punto - TopicsExpress



          

La vocazione al cuore della nuova evangelizzazione: l punto cruciale della questione sta in questo: se un uomo, imbevuto della civiltà moderna, un europeo, può ancora cred ere; credere proprio nella divinità del Figlio di Dio Gesù Cristo. In questo infatti sta tutta la fede. Sono le parole cariche di provocazione che provengono da uno degli scrittori più significativi dell’800: Dostoewskij. Chiedersi se luomo di oggi è ancora disposto a credere in Gesù come Figlio di Dio comporta un’altra questione: se luomo di oggi sente ancora il bisogno della salvezza. Sta tutto qui il problema per noi credenti, per la nostra credibilità nel mondo di oggi; è, comunque, anche il prob lema per quanti non credono ma desiderano dare un senso alla loro vita. Non trovo altra possib ilità al di fuori di questa condizione. Davanti alla possibilità di Gesù Cristo non si può rimanere neutrali; si deve dare una risposta se si vuole trovare un senso alla propria vita. Uno dei tratti peculiari del cristianesimo è la sua concezione di essere profondamente inserito nella storia. Le parole di Gesù ai suoi discepoli quando ricorda loro di essere nel mondo, ma di non esse re del mondo (cfr Gv 15,19; 17,13-14), sono state interpretate come un impegno fondament ale a condividere le vicende della storia, pur sapendo che lobiettivo ultimo che dà significato pieno agli avvenimenti, va oltre la storia stessa. Con la Lettera Apostolica, Ubicumque et semper , del 21 settembre 2010, il Santo Padre ha istituito il Pontificio C onsiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Lo scopo appare da subito come una grande sfida. Dovremmo essere capaci di guardare con realismo al presente della Chiesa, per prospettarle un cammino che la impegnerà non poco nel prossimo fu turo. Daltronde, viviamo un tempo di gradi sfide, che incidono non poco nei comportamenti di intere generazioni, dovute al fatto della conclusione di unepoca con lingresso in una nuova fase per la storia dellumanità. 2 A tanti elementi positivi, che consentono di vedere un impegno più coerente nella vita di fede, corrispondono non di rado forme di d istacco dalla fede come conseguenza di una diffusa forma di indifferenza religiosa, pr eludio per un ateismo di fatto. Spesso la mancanza di conoscenza dei contenuti bas ilari della fede por ta ad assumere comportamenti e forme di giudizio morale spes so in contrasto con lessenza stessa della fede, così come è stata sempre annunciata e vissuta nel corso dei venti secoli della nostra storia. Il relativismo, di cui Papa Benedetto ha sempre denunciato i limiti e le contraddizioni in vista di una corretta antropologia, emerge come la nota caratteristica di questi decenni segnati sempre più dall e conseguenze di un s ecolarismo teso ad allontanare il nostro contemporaneo dalla su a relazione fondamentale con Dio. In questo senso, sono soprattutto le nostre Chiese di antica tradizione che risentono di questa condizione, anche se nel processo di globalizzazione in cui siamo inseriti nessuno sembra sfuggire a questa dramma tica situazione che crea un deserto interiore, perché allontana luomo da se stesso. E quest o uno dei motivi per promuovere la nuova evangelizzazione. Essa, è la missione che sempre e dovunque la Chiesa ha sentito come suo compito fondamentale per corrisponde re al comando del Signore di andare in tutto il mondo e fare suoi di scepoli tutti i popoli della terra. Il tema della nuova evangelizzazione è stato oggetto di attenta riflessione da parte del magistero della Chiesa negli ultimi decenni. E obbligatorio ri cordare, anzitutto, il concilio Vaticano II; per alcuni versi, mi sembra di poter dire che il nuovo Pontif icio Consiglio risulta essere il frutto maturo del concilio. Non tutti, fors e ricorderanno il discorso di apertura di Giovanni XXIII; in quelle parole il papa descriveva le finalità del Vaticano II. Un’espressione permane come punto di riferimento per comprendere a pieno quell’evento: “Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevu ti e informati... occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve pr estare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri te mpi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono cont enute nella nostra veneranda do ttrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nell o stesso senso e nella stessa accezione”. Come si nota, il desiderio di Giovanni XXIII era quello di parlare all’uomo di oggi con 3 un linguaggio comprensibile. Un passo ulteriore venne compiuto con la Evangelii nuntiandi di Paolo VI del 1974, a conclusione del Sinodo sullevangelizzazione. Anche se in quel testo non compare l’espressione “ nuova evangelizzazione”, il contenuto non è altro che una ripetuta riflessi one sul tema che mantiene la sua profonda attu alità fino ai nostri giorni. Per alcu ni versi, essa potrebbe ritrova rsi nel famoso testo del Papa: “L’uomo di oggi non ascolta volen tieri i maestri, ma i testimoni e se ascolta i maestri è perché sono testimoni”. Per questo motivo sosteneva senza retorica che “Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a so miglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture delluomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione «Gaudium et Spes», partendo sempre dalla persona e tornando semp re ai rapporti delle pe rsone tra loro e con Dio” (EN 20). Un passo fondamentale, in questo senso, venne compiuto da Giovanni Paolo II; a lui si deve l’espressione “ nuova evangelizzazione” che permane come una costante nei suoi ventisette anni di pontif icato. Da ultimo, Benedetto XVI ha voluto raccogliere il testimone compiendo un ulteriore passo concreto con listituzione di questo Pontificio Consiglio e stabilendo ch e il prossimo Sinodo dei Vescovi abbia come suo oggetto: “La nuova evangelizzazione e la trasmissione della fede cristiana”. La Chiesa è stata voluta da Gesù di Nazar eth perché fosse la continuazione viva della sua presenza in mezzo al mondo e non è mai venuta meno in questo compito; è nata con la missione di evangelizzare e nel momento in cui rinunciasse verrebbe meno alla sua stessa natura. Annunc iare il Vangelo non ci rende migliori degli altri, ma certamente abilita a essere più responsabil i. E questa una missione che diventa più evidente in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando. Siamo alla fine di unepoca che, nel bene e nel male, ha segna to la storia di questi ultimi secoli; stiamo per entrare in una nuova era del mondo che anco ra appare incerta nei suoi primi passi e sembra vacillare per la debolezza del pensie ro. Il ruolo dei cattolici per questo motivo diventa ancora più significativo per la ricch ezza di tradizione che abbiamo costruito nel passato. Siamo stati invitati per essere sal e e luce; per dare sapore alla vita e illuminare quanti sono alla ricerca di un se nso. Se questa responsabilità venisse meno, il 4 mondo non avrebbe una parola di speranza e noi saremmo destinati ad essere insignificanti. In questo contesto, permangono con il suo vigore le parole dell’apostolo: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Or a, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno ch e lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto : Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!” (Rm 10,13- 15). Per paradossale che possa sembrare il concetto di elezione e di vocazione si ritrova qui coniug ato direttamente con quello della evangelizzazione. Sono diverse le es pressioni che il Nuovo Testamento utilizza per descrivere l’azione rivela trice di Gesù; oltre a quella di proclamare e insegnare, un verbo che ricorre con frequenza per indicare la sua opera è quello di evangelizzare. Nel suo significato comune, già presente nei lib ri dell’Antico Testamento, esso esprime l’idea di annunciare un messaggio di gioia; è co sì, ad esempio, per la nascita di un figlio o per la vittoria di una battaglia. Il senso del termine, comunque, inizia a possedere un suo valore tipicamente religioso nel libro del profeta Isaia. Troviamo scritte queste parole: “Come sono belli sui monti i piedi de l messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio” (Is 52,7). Il riferiment o di questo versetto è all’araldo che precede il popolo nel suo ritorno dalla schiavitù di Babilonia. Gli abitanti della città di Gerusalemme che si trovano sulle mura e sulle torri sono in attesa dei reduci e dalla cima della montagna scorgono il messaggero che grida a squarciagola la liberazione e il ritorno in patria. Nell’idea del profeta, comunque, l’araldo st a annunciando la vera vittoria che non è tanto il ritorno dall’esilio quanto il fatto che Dio ritorna ad abitare in Sion e questo dà inizio a una nuova fase della st oria. Lo stesso concetto vien e ripreso dal profeta in un altro brano, là dove si dice: “Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il liet o annunzio ai miseri” (Is 61,1). La vicinanza tra queste espressioni e que lle che ritroviamo negli scritti del Nuovo Testamento è immediata e impressionante. Gesù è identificato con il messaggero di 5 gioia atteso, che ora si rende presente e c on la sua predicazione consente di vedere realizzata la promessa di Dio di dare vi ta a una nuova era della storia, quella del suo Regno. Dopo di lui, gli apostoli, Paolo e i discepoli vengono id entificati come i messaggeri che portano un annuncio di sa lvezza e di gioia. Da dove vengono questi messaggeri? Il tema della vocazione trova qui il suo punto cruciale. Certo non esiste nuova evangelizzazione se non ci sono nuovi ev angelizzatori. Ma il problema di fondo permane intatto: come riconoscere la vo cazione e come renderla una provocazione sempre viva per la vita della Chiesa? Viene di nuovo in aiuto Paolo ne lla stessa lettera ai Romani: “Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le ge nti, a gloria del suo nome; e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo (Rm 1,5-6). Il testo apre la Lettera ai Romani e può creare un significativo scenario per le nostre considerazioni sul tema che ci è stato affidato. In un breve versetto, lApostolo c ondensa la ricchezza del mistero della fede e della vocazione cristiana. Ai primi cristiani di Roma viene detto che lannuncio del vangelo che Paolo compie non è una preroga tiva o una pretesa che lui avanza; al contrario. A questa missione egli è stato ch iamato e mentre rende attuale lannuncio della salvezza assume sempre più coscienza che ciò che in lui agisce è grazia e dono di Dio. Ciò che è interessante veri ficare, comunque, è lidea cent rale che lApostolo indica: la grazia che è stata fatta a lui tramite la chiamata allapostolato adesso, tramite lui, agisce nei confronti di tutti co loro a cui il vangelo è annunciato. Il dono del vangelo, infatti, comporta come normale conseguenza il divenire apostolo, missionario e annunciatore di ciò che si è ricevuto. E a questo punto che sorge unulteriore sviluppo: la chiamata allobbedienza. Lannuncio del vangelo che viene compiuto ha come suo scopo primario quello di suscitare la rispos ta dellobbedienza. Ci si potrebbe fermare qui. In Paolo lobbedienza si esprime nella de cisione di fede e la fede è obbedienza. Come si nota, si ritrovano gli stessi concetti che saranno espressi nel cap 10: la chiamata, lannuncio, la responsabilità di chi ascolta, la scelta per la fede, lobbedienza... Come ben sappiamo, comunqu e, Paolo gioca in questo caso con il 6 significato ebraico del verbo shema che ha la doppia valenza di ascoltare e obbedire. La fede è ascolto della parola che conduce allobbedienza della fede e la fede, a sua volta, non è altro che obbedienza di chi vuole po rsi nellascolto della parola di Cristo. Un primo passo da compiere deve cons iderare la nostra vocazione come appello alla libertà , di cui l’uomo di oggi è particolarmente sensibile. Intorno a questo tema si è soliti descrivere la storia delle conquiste del periodo moderno. La rivoluzione francese ponendo il termine liberté nella triade del suo programma ha certamente aperto unera e, come spesso succede, la volontà di far emerge re il nuovo in maniera assoluta ha portato a eclissare loriginalità del passato. La li bertà appartiene all uomo, non a un periodo. Certamente, si danno momenti in cui cresce la coscienza e si immette nelle culture una sensibilità peculiare per alcuni valori; eppure, la storia del pensiero insegna che non si può mai creare una tale rottura con il passato tanto da espr imere una novità che presume di non avere relazioni con la tradizione preced ente. Riflettere da questa prospettiva sul tema della libertà comporta, quindi, dover leggere la storia di una parabola in cui lumanità rilegge se stessa e la propria esistenza, verificando anche come in nome della stessa libertà si sia potuto da re vita a forme che distruggono la libertà o danno parvenza e illusione di essa. Luomo moderno ha voluto crescere alla luce de lla libertà. E perché fargliene un torto od opporci a questo movi mento? Essa, dopotutt o, acquista nella fede cristiana un orizzonte così radicalmente nuovo da aver cambiato il corso della storia antica. Non vi sarebbe errore più grave, infatti, che cadere nella trappola di considerare la libertà come un attributo; essa è esatta mente allopposto. La libertà che proviene dalla visione cristiana è un dono e un cammino perenne che si attua dinanzi alla decisione di dare senso alla vita. Da questo punto di vist a, quindi, non potremmo mai essere contrari a un movimento che tende a realizzare la libertà e a promuoverne la sua conquista sempre più dinamica; purché questa non voglia es cludere Dio dal suo ambito di ricerca. Per avere una visione limpida della comprensi one cristiana della libe rtà all’interno della quale si sviluppa e cresce ogni vocazione, è n ecessario andare ai densi capitoli 4-5 della lettera ai Galati che, in qualche modo, forn iscono il vangelo dell a libertà. Qui, san Paolo raccoglie una così profonda teologia da permanere con tutta la sua carica e forza 7 propulsiva di pensiero fino ai nostri giorni. Cuore di questa le ttera è linvito pressante ai cristiani perché non abbiano a ricadere nella schiavitù della legge che ha caratterizzato la loro esistenza precedente : non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù (5,1); soccombere a questa tentazione equivarr ebbe a distruggere il vangelo che Paolo ha predicato. Il tema della libertà è collega to direttamente dallapostolo con la verità del vangelo; si potr ebbe dire, quindi, che cedere su questo punto o equivocare il significato della libertà, comporterebbe il tradimento della novità cristiana e, ovviamente, del suo annuncio nel mondo. La le gge, infatti, non può dare la vita mentre la libertà in cui Cristo ci ha inseriti è fonte di vita eterna. I credenti, dunque, sono chiamati a compiere una scelta chiara e definitiv a: o si rimane nella libertà che Cristo ha donato, oppure ci si sottopone alla circoncisione e con es sa allimpostazione legale dellesistenza con la conseguenza, però, ch e avere creduto in Cristo non gioverà a nulla. La vocazione, dunque, rientra in una ch iamata alla libertà e, quindi, come una scelta di responsabilità che impegna lesis tenza in un orizzonte nuovo, quello della vita secondo lo Spirito, nella verità e nella carità . Il pensiero cristiano non può pensare alla libertà pres cindendo da questo binomio; lo dimostra chiaramente il riferime nto alla teologia giovannea. Togliere dal vangelo di Giovanni il versetto: La verità vi farà liberi (Gv 8,32) equivarrebbe, in qualche modo, a cancellare lintero vangelo. E qui, infatti, che si compie il discernimento tra il vangelo e la filosofi a. La verità di cui il Nuovo Testamento parla, ben lo sappiamo, è identificabile solo in Gesù di Nazareth, figlio di Dio; accogliere lui equivale a entrare nella com unione di vita con Di o ed essere, quindi, salvi. La verità vi farà liberi è certamente una delle affermazioni fondamentali di tutto il Nuovo Testamento. Qui non si è più in presenza di una mera ricerca della verità né di una conquista della libertà; la sf era etica, per ben alta possa essere, non è in ogni caso lultima spiaggia a cui luomo possa tendere. La concezione cristiana pone lidea di una verità e libertà che dipendono dal concetto di dono, aprendo la stra da ad una autentica rivoluzione nellordine della comprensione concettuale. La libertà di cui gli parlano autori sacri, comunque, non si arresta ad una concezione etica; essa prosegue nellordine 8 esistenziale ed escatologico e non poteva essere altrimenti visto il suo legame indissolubile con questo concetto di verità che mentre si identifica con la persona di Gesù Cristo prospetta verso la pienezza escatologica. La libertà è sempre compresa dagli autori neotestamentari come la forza redentrice delluomo in quanto riceve in sé la vita di Dio. E questa vita che rende liberi e permette la partecipaz ione alla libertà di Dio. E nella misura in cui si rimane in que sta vita che si aprono gli spazi reali per una esistenza vissuta in piena libertà. Libert à e vita, quindi, permangono uniti in maniera indissolubile, nonostante la presenza del male, del limite e del peccato che costantemente minano tale fusione. E, insomma , la condizione della libertà dei figli di Dio che fin da adesso realmente (1Gv 3,1) sperimentiamo in quanto siamo uno con il Signore Gesù. Questa comprensione giovannea facilmente concorda e si concilia con quella paolina. Cristo ci ha lib erati alla libertà (per tradurre testualmente Gal 5,1) può tranquillamente essere detto anche da Giovanni proprio per questa incidenza sullorizzonte cristologico. Una simile comprensione della libertà mostra con estrema chiarezza che questa non è un elemento estrinse co come se si trattasse di unappendice data alla creatura dalla magnani mità del creatore; la libertà, piuttosto, è considerata come una caratteristica intern a ed essenziale delluomo, se nza della quale non si dà né umanità né fede. La libertà diventa chiamata e partecipazione alla vita divina. E, in ultima analisi, una vocazione perenne nella quale si sviluppa lesistenza credente tesa tra la realizzazione di una decisione storica ch e immette nella vita di Dio e lattesa di un pieno compimento nel ritorno glorioso de l Signore. La libertà, insomma, in questa dimensione mostra il grande rischio di Dio che crea luomo talmente libero e così libero che questi può scegliere perfino contro chi lo ha creato. E in questo punto che si innesta più coerentemente la nostra esistenza personale come quella di credenti che si muovono conducendo una vita secondo lo Spirito. La contrapposizione tra le opere della carne e i frutti dello Spirito rende più evidente che il cristiano vede questa nuova condizione di vita come un dono e una grazia che gli vengono concessi. La libertà non è, dunque, unopera sua, ma un frutto dello Spirit o. Dinanzi a tutto questo, la legge non ha potere alcu no. Si scontra, anzi, con la libertà dei figli di Dio che vivono di questi doni come una condizione quasi connaturale al loro nuovo stato. 9 LApostolo ci permette di giungere a una prima conclusione: Se realmente viviamo dello Spirito allora camminiamo secondo lo Spirito (Gal 5,25) . La libertà, dunque, è come un cammino perenne su cui muoversi e di questo siamo debitori allo Spirito non a noi. Essa è grazia, non conquista; o almeno, una conquista sempre pa rziale, precaria e spesso controversa se condotta sul solo vers ante umano. La libertà, insomma, diventa un seguire lordine di marcia dello Spirito; essa non è possesso gelo so, ma partecipazione piena a una vita comune. Come non riassumere tutto questo in quella vocazione alla vita sacerdotale, per la quale la Chiesa comprende l’esigenza per la sua stessa sussistenza, quella dell’annuncio e della celebr azione dell’eucaristia. Le parole di Benedetto XVI pronunciate nell Omelia a conclusione dellanno sacerdota le possono far comprendere la condizione della vocazione sacerdotale e le sue note peculiari: Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presen ti in vece sua, questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde ne lla parola «sacerdozi o». Che Dio ci ritenga capaci di questo! che Egli in tal modo chiami uo mini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi 1 . Queste Egli è segno dellaudacia di Dio che ritiene un uomo, con tutta la sua fragilità, capace di essere icona de lla sua stessa presenza nella nostra storia. Laudacia si coniuga con la fiducia che egli ripone nel sacerdote; qu esti, pur con tutte le sue contraddizioni, è capace di trasformare la vita delle persone. Se si riflette seriamente su questa realtà, è possibile verificare qua nto valore antropologico si nasconda nella persona del sacerdote. In effetti, rappresenta una vera sfida per la composizione di una nuova antropologia capace rispondere al grande interrogativo che oggi è sul tappeto e che abbiamo precedentemente posto: come coniugare la verità su se stessi con la libertà di una scelta che consente la realizzazione di sé. E innegabile che uno dei tratti fondamentali della cultura con cui oggi dobbiam o confrontarci è quello della libertà. Essa si pone come uno dei principi costit utivi del pensare moderno, ed è posta a fondamento di diritti che molti invocano come inalienabili per la propria dignità. Una 1 Benedetto XVI, Omelia a conclusione dellanno sacerdotale , 11 giugno 2010. 10 libertà che fosse separata dalla verità, tuttav ia, avrebbe vita breve e facilmente cadrebbe nella tentazione di esprimersi come potere del più forte e ar rogante contro il più debole e senza voce. Parlare al nostro contemporaneo della libertà con cui si sceglie di dedicare la vita al Signore nel servizio della Chiesa , richiede il riferimento alla verità come orizzonte di senso per dare compimento alla nostra identità personale. Ecco perché abbiamo bisogno di una nuova antropologia all interno della quale collocare anche la nostra scelta come espressione di genuina li bertà, perché coniugata con la verità. Si tratta, insomma, di fondare il principio s econdo il quale una persona è veramente se stessa nel momento in cui corrisponde al piano di salvezza che Dio ha voluto per ognuno. La finalizzazione della prop ria vita, che consente di vedere attuato il binomio verità e libertà, si realizza nella scoperta quotidiana di un piano che non restringe nel limite dellesistenza individuale, ma proietta al di là di se stessi in una relazione personale con Dio che si fida di un uomo c oncreto affidandogli un compito tanto grande quanto impossibile ad essere realizzato se nza una chiamata divina. Si comprende, a questo punto, il valore del termine audacia per esprimere il coraggio di Dio nel voler scegliere me per mantenere vivo il suo Vangelo e permettere che gli uomini abbiano un vero ed efficace rapporto con lui. Audacia indica che Dio non ha paura di affidare una missione così decisiva a un uomo; anzi, egli è consapevole che affronta un grande rischio nel pensare alla mia persona; eppure, non si ritrae, ha il co raggio di affidare un compito straordinario quale quello di trasformare la vita di una persona nel suo più intimo. Nel momento in cui stendiamo la ma no sul capo del penite nte che confessa il suo peccato, non solo lo assolv iamo in nome di Dio, ma trasformiamo la sua vita a tal punto da riammetterlo nella vita di relazi one con il Padre e nella comunione con la comunità. Lo stesso accade quando stendiamo mani sul pane e sul vino, pronunciando le parole stesse di Gesù nellultima cena; in maniera reale, trasformiamo quel pane e vino nel corpo e sangue di Cristo. Non avviene tramite altri; può accadere solo se un sacerdote, stende le mani e pronuncia quelle parole sapendo di agire in quel momento in persona Christi capitis . Abbiamo la forza di tras formare il mondo. Sì, perché trasformando la vita delle pe rsone queste sono abilitate a vivere dovunque si trovino come testimoni credibili del Vangelo di Cris to. Il sacerdote, quindi , è nella condizione 11 di far compagnia agli uomini del nostro tempo, per dare loro la cert ezza della presenza e della vicinanza di Dio. E di questa certezza che siamo segno, perché nessuno possa essere ingannato quando si ri volge a Dio. Come si può, infatti, avere accesso a Dio? In che modo si può entrare in relazione con lui se è il trascendente e il tre volte santo? E’ davvero possibile una vita di comunione con lui? Questi inte rrogativi non sono nuovi, appartengono da sempre allumanità; daltronde , le obiezioni di Fr eud o di Marx, anche se in termini differenti, si ripetono ai nos tri giorni quando si parl a della fede e della preghiera come ipotesi inutil e, frutto della psicosi, via dell’alienazione. La risposta più convincente, co munque, la si trova nella Lettera agli Ebrei . L’autore sacro sostiene che per avvicinarsi a Dio si deve offrire un culto veritiero e questo non è possibile senza un sacerdote che sia degno di questo nome. Cosa lo rende degno? Vengono indicati due aspetti; anzitutto, deve essere gradito a Dio e ammesso alla sua presenza . Come si nota, il richiamo è anzitu tto al primato di Dio: Nessuno si attribuisce a se stesso questo onore, si è chiamati da Dio, come lo fu Aronne (5,4). Inoltre, deve vivere una genuina solidarietà con coloro che rappresenta presso Dio : Ha dovuto diventare in tutto simile ai suoi fratelli; essere messo alla prova e tentato ( 2, 18; 4, 15), oltraggiato (11, 26), ha dovuto s offrire (5, 8 ), e morire (2, 9). Alla luce di queste considerazioni si comprende pe rché per la prima volta la Lettera agli Ebrei si rivolge a Cristo definendolo sommo sacerdote. In lui, infatti, si attua pienamente lessere Dio e lessere in tutto simile agli uomini eccetto il peccato. Sullesempio di Cristo sommo sacerdote, anche ogni sacerdote dopo di lui è chiamato ad essere teso tra la sua appartenenza a Dio e la sua solidarietà verso gli uomini; i due aspetti si devono coniugare sen za possibilità alcuna di sepa razione. Se la nostra vita fosse solo in riferimento a Dio non potremmo comunicare con gli uom ini; viceversa, se lo sguardo fosse solo incentrato verso la solidarietà con gli uomini, non saremmo in grado di comunicare loro Dio. In un periodo co me il nostro, spesso dilaniato da diversi conflitti di ordine sociale, politico, economico e finanzia rio che generano delusione e confusione è facile che si apra la strada pe r la ricerca della spir itualità e di Dio. Non dovremmo essere impreparati a corrispondere a questa richiesta soprattutto noi sacerdoti chiamati a porre in essere nei confronti de l mondo contemporaneo quella stessa audacia
Posted on: Sun, 27 Oct 2013 09:29:38 +0000

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