Lotta operaia internazionale Gli organi di informazione nei paesi - TopicsExpress



          

Lotta operaia internazionale Gli organi di informazione nei paesi occidentali – strumenti fondamentali per la sottomissione proletaria – accuratamente ignorano le lotte operaie che si verificano nel resto del mondo. Devono suffragare e consolidare negli operai del vecchio mondo industrializzato l’idea che in quei paesi non vi sono lavoratori come loro, che affrontano e combattono gli stessi problemi e nemici, membri lì e qui di una classe sociale distinta e contrapposta al resto della società, ma popoli “stranieri”, descritti come un corpo sociale omogeneo, spesso intriso d’ideologie reazionarie e religiose, e il cui muoversi sia per i lavoratori del “primo mondo” da guardare con indifferenza o, peggio, da temere come un pericolo. Quando la stampa occidentale parla dei paesi del cosiddetto terzo mondo predilige riportare notizie di lotte tribali, religiose, interetniche, di attentati sanguinosi, o di esotiche manifestazioni culturali, per far apparire quei popoli lontani dall’Occidente, arretrati culturalmente e socialmente. Quasi mai si parla dei veri sommovimenti sociali, della lotta di classe, un fenomeno a cui la stessa stampa borghese di quei paesi riconosce una importanza niente affatto secondaria, e che noi marxisti individuiamo come il fenomeno sociale e politico fondamentale. Sono invece sempre più frequenti ed intense le lotte della pura classe operaia in quello che solo poco tempo fa veniva chiamato mondo in “via di sviluppo”. La caduta in disuso di questa etichetta è sintomatica del fatto che le differenze fra i giovani capitalismi nazionali emergenti e quelli vecchi ancora dominanti si vanno assottigliando. Il futuro della classe operaia in Italia, in Europa, in America, in Giappone – e in molti casi già il suo presente – non è il “benessere” di cui ha goduto una parte di essa, per un breve arco temporale e in una manciata di paesi, ma la miseria e lo sfruttamento che ha segnato la storia della classe operaia nell’intero arco di vita del capitalismo, sia in Occidente che, da quando vi si è impiantato sostituendo i precedenti modi di produzione arcaici, nel resto del mondo. La crisi economica ormai da tre decenni ha spinto la borghesia nei paesi capitalisticamente maturi a riprendersi gradualmente tutto ciò che era stata costretta a cedere sotto la spinta delle lotte proletarie e in virtù degli enormi margini di profitto realizzati durante e dopo la Seconda Guerra mondiale. Con la crisi del 1973-’74 si è esaurito il ciclo di forte crescita post-bellica e il padronato da allora si è predisposto a riguadagnare il terreno perduto. In Italia la svolta dell’EUR del 1977 – con l’accettazione in via di principio dei “sacrifici” in nome della salvezza dell’economia nazionale – segnò l’acquiescenza del sindacalismo di regime a questa necessità borghese, ma è stato questo un processo seguito da tutti i Paesi economicamente all’avanguardia. La riconquista padronale di quanto ceduto negli anni di forte crescita economica e di lotta operaia ha potuto svolgersi in modo graduale nell’ultimo trentennio, in ragione della diluizione della crisi economica del capitalismo e del rallentamento della sua avanzata. Ciò è stato possibile per due fattori principali: da un lato il successo del sindacalismo di regime nel piegare la classe operaia ai sacrifici di volta in volta richiesti, dall’altro l’espandersi del mercato mondiale in quei paesi che proprio a partire dagli anni ’80 muovevano i passi decisivi verso il pieno sviluppo capitalistico. Dalla metà degli anni ’70 la crisi economica ha però continuato a maturare, i fattori sopra indicati sono divenuti sempre più insufficienti a porvi freno, ed essa è infine prepotentemente esplosa negli ultimi tre anni. All’accelerazione della crisi è corrisposta l’accelerazione nell’attacco alle condizioni di vita della classe lavoratrice. Nei precedenti trent’anni, prendendo come esempio la nostra Italietta, possiamo segnare quali tappe fondamentali di questa offensiva l’annullamento della scala mobile (1984), l’accordo sulla politica dei redditi (1993), la prima controriforma delle pensioni (1995), l’introduzione dei contratti di lavoro precari (Legge Treu 1997, Legge Biagi 2003). Oggi il padronato abbandona la precedente attenta gradualità e passa a muovere colpi decisi, con la demolizione dello Statuto dei Lavoratori per mezzo del Collegato Lavoro (approvato in Parlamento nel silenzio generale il giorno prima del voto di fiducia al governo), con lo smantellamento del contratto nazionale di categoria, col licenziamento di migliaia di precari nella pubblica amministrazione e nella scuola, col blocco dei salari dei dipendenti pubblici. Per la classe operaia la parola progresso in questa società è ormai priva di senso. Le condizioni dei lavoratori del “primo” mondo e di quelli dei paesi un tempo definiti “in via di sviluppo” tendono ad avvicinarsi. Mano a mano che questo processo avanzerà i lavoratori d’Occidente vedranno in quelli del resto del mondo i loro fratelli di classe, e non più stranieri e lontani. E da essi hanno e avranno molto da imparare. Le notizie dal mondo mostrano una classe operaia che non teme ma cerca il sacrificio per la lotta e non per illusori vantaggi personali. I lavoratori occidentali hanno da questi proletari molto da imparare, anzi da reimparare, dopo che nell’arco di due generazioni la sana tradizione classista è stata qui sradicata ad opera di un effimero quanto mefitico benessere, ma soprattutto a causa dell’intervento incessante dell’opportunismo politico e sindacale, ben foraggiato dal regime borghese. INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY international-communist-party.org/ItalianPublications.htm
Posted on: Tue, 17 Sep 2013 21:30:22 +0000

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