L’ILLUSIONE DELLA RAGIONE Poi che, se la ragione domina da - TopicsExpress



          

L’ILLUSIONE DELLA RAGIONE Poi che, se la ragione domina da sola, è una forza che imprigiona; e la passione, se incustodita, è una fiamma che brucia e si distrugge”. Gibran Nella vita di ogni giorno, da sempre, esiste una componente dominante in grado di ribaltare e mortificare ogni supposta logica, ragione e preventiva conclusione, in virtù delle quali crediamo di controllare ogni cosa ed evento. Sto parlando del “Caso” che, a mio giudizio, esula da ogni comprensione umana per attestarsi nella sfera del divino in virtù della sua imperscrutabile volontà. Non c’è dubbio che un uso corretto della ragione, migliori l’esistenza umana ma, in nessun caso, può essere strumento di proselitismo etico, politico, religioso e culturale. Definire l’illuminismo un movimento filosofico, sarebbe una forzatura in quanto, il pensiero che lo ha prodotto (generato) è viziato da fattori tecnici e tecnicismi, intrinseci alla Rivoluzione Industriale. Le grandi filosofie, fondano l’autenticità del loro pensiero, proprio perché sganciate e liberate dai condizionamenti, luoghi comuni e dogmi, endemici alla realtà presente e, ancor più se, la loro natura, è di tipo scientifico e meccanico. Il concetto cardine dell’Illuminismo è l’affermazione dell’autonomia della ragione, da ogni autorità esterna ad essa. In pratica, secondo l’illuminismo, l’uomo deve imparare a ragionare con la propria testa e a ritenere valide solo quelle verità che egli riesce ad appurare grazie alla ragione, indipendentemente da ciò che afferma la religione, l’autorità, la politica o la tradizione. In altre parole, sono ritenuti veritieri, solo quei fenomeni che possono essere dimostrati, attraverso la ragione, i sensi e un costrutto logico. Niente di più errato! Un tale ragionamento, per la sua natura utopica avventuristica, può trovare corrispondenze nel singolo o in un gruppo di eccentrici intellettuali dai nobili ideali ma, in nessun modo, trovare applicazione in un contesto di massa. Tanto più, in quel preciso momento storico dove, i canti suadenti delle seducenti sirene del neo-modernità, inebriavano di aspettative un’avventura che stava cambiando radicalmente la storia dell’umanità, ma per il peggio. Il mondo contadino del passato, che rappresentava un buon 99% della popolazione, era caratterizzato dall’autonomia e dall’autosufficienza e, ogni singolo o gruppo, definiva e determinava una sua “ragion d’essere”, sulla soddisfazione dei bisogni primari ed essenziali, relativi e dipendenti al territorio; alla sua capacità di produrre beni e privilegi (acqua, fertilità, energia) e sulla spinta propulsiva di consolidate tradizioni e ataviche credenze. Diversamente da oggi e, in antitesi con le ingenue teorie illuministe, ogni ragione si era compiuta ormai da tempo e, nell’individualismo prolifico veniva sancito il sacro valore della diversità. Prendere poi, a misura delle proprie supposte convinzioni, gli umori e i pruriti della metropoli (colta, vanesia e intellettuale), come parametro di riferimento e piattaforma di lancio verso il futuro, è stato, nella storia dell’uomo, il grande errore originale e, per questo, imperdonabile. Escludere da tali intendimenti e dal processo di sviluppo, tutto il resto del mondo, delegando a un 1% le sorti del pianeta, ha prodotto quel disastro globale (umano, di valori, principi e ambientale) che caratterizza le moderne società liberiste e consumiste. La modernità, metastasi della Rivoluzione Industriale, ha separato e codificato, il passato, il presente e il futuro in tre entità assestanti, svincolate da ogni interazione e comuni finalità. Nel mondo contadino di un tempo, al contrario, queste tre entità erano fuse fra loro dentro un’unica realtà, sostanzialmente immutabile e, la proiezione del futuro era scandita dal raccolto delle messi mentre, il presente, dalla semina. Il passato, relativamente simile al presente, si esprimeva nelle commemorazioni dei propri defunti, nel ricordo, nella tradizione e nelle ricorrenze. Altro, che separasse fra loro in modo netto e autonomo queste tre condizioni temporali, non esisteva. Era il disegno logico e perfetto di un eterno presente. Nelle città industriose e industriali Europee, questo meccanismo imperituro cominciava a venir meno, per aprirsi alle nuove teorie dell’illuminismo, e a una radicale svalutazione della realtà, postulata dal movimento nichilista russo. La Rivoluzione Industriale, dunque, segna lo spartiacque fra due mondi, opposti e contrapposti, lontani da ogni confronto e parallelismo. Così, è improprio parlare di una storia del mondo e dell’umanità ma, bensì, di due storie, di due mondi e di due umanità. Una che ha origine nella notte dei tempi e termina il suo viaggio con Rivoluzione Industriale, la seconda, generata dagli umori mefistofelici del neo industrialesimo rampante e schizofrenico che, in pochi decenni, ha fatto piazza pulita di ogni ragione, passione, tradizione e conoscenza, confinando la verità in una dimensione relativa. Oggi, il sempre più ricorrente e gettonato leit motive del “tutto è relativo”, non è che il riassunto delle infinite attenuanti, addotte a discolpa della nostra incapacità di agire in modo pragmatico e di un’inettitudine fisica e morale dentro la quale (in maniera infantile e ipocrita) ci siamo rifugiati. La propaganda mediatica “a tambur battente” riesce a commercializzare beni di infimo ordine, attraverso un’opera di omologazione delle coscienze, in netto contrasto con lo slogan che ci invita a consumare un supposto prodotto, per apparire diversi. L’evidente contrasto logico, si attesta, oggi, a carattere dominante, e dogma delle società moderne. Le teorie illuministe, sono state il terreno di coltura dell’odierno liberismo che, nella contraffazione della realtà e nella mistificazione della verità (assunte a pratiche relazionali) incarnano il germe malefico dell’ossimoro al potere riducendo, la verità, ad un inquietante esercizio di relativismo. I modelli teorici dell’illuminismo, guardavano al passato, come ad un cumulo di errori, responsabile di avere prodotto una società barbara ed arretrata. Gli illuministi, si immaginano proiettati verso il futuro – un futuro di luce e di progresso. Per garantire una tale innovazione e dare forma alle moderne teorie era però necessario liberare l’umanità dalla pesante “schiavitù culturale” (e spesso anche “materiale”) ereditata dal passato. L’avere demonizzato il passato, mortificandolo nella sua sostanza, sull’onda delle proiezioni futuribili indotte dalle nuove scoperte scientifiche che promettevano, giustizia, felicità e libertà per tutti, è il falso storico del pensiero illuminista. L’obiettivo dell’illuminismo era di porre, alla base della morale e della politica, la ragione umana atemporale. Credere di rinnovare la società, spiegando alle masse che la povertà e la sopraffazione erano dovute all’ignoranza e alla superstizione, è stato un grande errore di ingenuità e di presunzione, relativo ad una scarsa comprensione di quel disegno sovrannaturale che, proprio in virtù del valore imprescindibile e imperituro della diversità, suggella la sua ragione d’essere. A più diversità corrisponde più libertà! E questo è un principio indiscutibile! L’illuminismo, nonostante la relativa fede e i nobili presupposti dei suoi fautori, ha dato inizio a quel processo di omologazione che, nel tempo, ha prodotto quello che oggi, è il liberismo consumista relativista, delle società occidentali. Voltaire sostiene che, “esiste un Dio ma i dogmi religiosi, e le raffigurazioni della sua immagine, sono invenzioni umane”. Diversamente da Voltaire, trovo, questa tesi, alquanto riduttiva e poco avveduta, ritenendo le suddette “invenzioni”, la rappresentazione iconografica del divino e della divinità; un’espressione artistica di natura spirituale, in forma di dono votivo e commemorativo che, da sempre, ha caratterizzato l’individuo, le comunità e le grandi civiltà del passato, come momento di aggregazione, comunione e tradizione della storia del mondo. Dio esiste, in quanto, baluardo di speranza e di auspicio e, per tanto, non può accampare alcun diritto all’interno della sfera del razionalismo e della ragione illuminata – salvo, l’eccezione, di volere interpretare la natura e le sue leggi, come la sua espressione ultima e la più evidente. Se gli uomini, in nome della religione, si perseguitano e si uccidono, (continua Voltaire), questo succede per la loro ignoranza e stupidità. L’illuminismo, in realtà, è stato, un inedito movimento politico, tendenzialmente ateo e materialista che, per una semplificazione, ha coniugato (anticipandoli in forma profetica), il pensiero marxista con l’odierno liberismo, dentro un sussulto anarcoide. Tale alchimia, prodotta dalla convergenza di principi e fattori inconciliabili fra loro, ha prodotto un sincretismo gelatinoso che, nell’arco di due secoli, è mutato in perverso relativismo, trasfigurando la licenza in libertà, la furbizia in intelligenza e la menzogna in regola relazionale. Dio, in quanto puro spirito (entità trascendente, concetto astratto) non era considerato dagli illuministi una verità assoluta, così come non godevano di molta fortuna gli altri misteri delle fedi e delle religioni. La maggior parte degli illuministi, infatti, era convinta che l’universo funzionasse, non grazie all’intervento divino, ma in virtù di un preciso meccanismo di autoregolamentazione: il ciclo perenne della natura: nascita, crescita, morte e trasformazione della materia. Promuovere, imporre e volere “globalizzare” i lumi della ragione (pur apprezzandone le buone intenzioni), è un esercizio di illusionismo che non tiene in nessun conto le imprescindibili esigenze individuali e gli equilibri sincroni e vitali dell’esistenza essendo, la stessa ragione, per definizione, soggetta e relativa alla consapevolezza, alla capacità di discernimento, alla forza di volontà, a fattori culturali, religiosi, geografici e, più in breve, al libero arbitrio. Quando la ragione diventa razionalità e logica e, le parole che presumono spiegarla, i numeri infiniti di un’equazione algebrica, il risultato finale sarà un materialismo omologante e un appiattimento culturale verso il basso, scevro da ogni individualismo, personalismo e giudizio critico. Per non dare addito a fraintendimenti (vista la delicatezza dell’argomento trattato e il rischio di diversa interpretazione), il mio giudizio critico, sulle teorie illuministe, non entra nel merito del suo ambizioso quanto utopico programma ma, sugli effetti postumi che, il processo industriale e in seguito, tecnologico, hanno prodotto. Per brevità, se il mitico Voltaire potesse “buttare un’occhiata” sulla realtà odierna, si rivolterebbe nella tomba. “Si può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazione…” Pasolini – Scritti Corsari 1975 - Avere previsto o più semplicemente immaginato un mondo, alla mercé dei mezzi di comunicazione e mediatici e, future società che sul consumo sistematico di beni voluttuari, accreditavano la loro sopravvivenza, sarebbe stato troppo anche per Voltaire e illuminati seguaci. “Gli italiani, continua Pasolini, hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No. O lo realizzano materialmente, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che, in misura così minima, da diventare vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti, in possesso però del mistero della realtà e della ragione. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo ì “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello televisivo – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro, di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un certo elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo – un virus letale e globale. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno sorridere; come (con dolore) l’aratro rispetto ad un trattore. Il fascismo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre….” La pedagogia assunse per gli illuministi, una dimensione importante. Se la ragione e la conoscenza fossero divenute patrimonio comune, l’umanità avrebbe fatto un grande passo avanti. Con il tempo, l’ignoranza e la superstizione si sarebbero arrese di fronte all’uomo illuminato. Le nostre moderne società sono, per la gran parte, il prodotto finale di una tale filosofia, applicata alla realtà del presente. I filosofi illuministi erano anche degli agitatori politici, che si battevano per l’inviolabilità dei diritti dell’individuo e per il riconoscimento dei “diritti naturali” del cittadino. Il primo obiettivo di questa lotta era la libertà di pensiero e di stampa. A tutti doveva essere garantito il diritto di poter esprimere liberamente le proprie opinioni, sia in fatto di religione che di morale. Nel pensiero illuminista, sia il principio di tolleranza che la filantropia, erano centrali. Gli umanisti dell’illuminismo si ribellavano alla vecchia autorità. Credevano nel progresso culturale e tecnico, intendendo purificare la religione dal fanatismo e dalla credenza nei dogmi. La maggior parte degli umanisti del Rinascimento erano convinti cristiani, così come si consideravano anche molti degli umanisti dell’Illuminismo. l’Umanesimo, secondo la loro visione, non era altro che il Cristianesimo correttamente interpretato. Con la scoperta dell’energia elettrica e, sull’onda del pensiero illuministico, anche la scienza (in particolare con Lavoisier nella chimica, e con Jenner nella medicina), faceva grandi progressi. La conseguenza piu’ importante della nascita dell’industria fu la formazione delle grandi città industriali. Esiste un evidente parallelo e comuni caratteristiche fra gli intellettuali iluministi di un tempo, e gli attuali riformisti. Entrambi ritengono che l’uomo, grazie alla sua intelligenza, alla ragione, alla scienza e alla tecnica, sarebbe stato ben presto, in grado di rispondere a tutte le domande fondamentali – comprendere e spiegare tutti i fenomeni (anche quelli più strani e misteriosi), risolvere tutti i problemi, e costruire una società sempre migliore. Negli anni Ottanta, Baudrillard postulò un “capovolgimento immanente”, un rovesciamento di fronte dei significati e degli effetti, in cui le cose si trasformassero nei loro opposti. La società della produzione stava andando verso la simulazione e la seduzione; il potere onnicomprensivo e repressivo teorizzato da Michel Foucault stava diventando il potere cinico e seduttivo dei media e della società dell’informazione; la liberazione sostenuta negli anni Sessanta era diventata una forma di schiavitù volontaria; la sovranità era passata dalla parte del soggetto a quella dell’oggetto; e la rivoluzione e l’emancipazione, erano diventate i loro opposti, intrappolando gli individui in un ordine di simulazione e virtualità. Il concetto di Baudrillard di “capovolgimento immanente” era quindi una variante della “dialettica dell’illuminismo” di Horkheimer e Adorno, dove tutto diventa l’opposto. Per Adorno e Horkheimer, all’interno delle trasformazioni del capitalismo organizzato e all’avanguardia, i modi dell’illuminismo diventano una dominante dove, la cultura diventa l’industria culturale, la democrazia una forma di manipolazione di massa, e la scienza e la tecnologia, una parte cruciale di un apparato di dominio sociale. La concretizzazione dell’arte, nella vita di tutti i giorni, ha prodotto la scomparsa dell’arte stessa in quanto, fenomeno separato e trascendente. Baudrillard definiva questa situazione “trans-estetica” e la collegava a fenomeni simili di “trans-politica”, “transessualità” e “trans-economia”, nei quali tutto diventava politico, sessuale ed economico. I domini, come nel caso dell’arte, perdevano la loro specificità, identità, e i loro confini. Il risultato era una condizione caotica in cui non c’erano più criteri di valore, di giudizio, o di gusto, e la funzione normativa sprofondava in questa maniera in una palude di indifferenza e inerzia. Tutto si finge arte, essendo venuti meno i punti, di riferimento imperituri e i parametri di giudizio e di comparazione, necessari per differenziarla dall’oggetto. Nella società postmoderna mediatica e consumatrice, tutto diventa un’immagine, un segno, uno spettacolo, un oggetto trans-estetico – nella stessa misura in cui, tutto diventa anche trans-economico, trans-politico e trans-sessuale. Nella società tecnologica, tutte le imperfezioni della vita umana e del mondo, sono convogliate verso la virtualizzazione, ma eliminate nella realtà virtuale, annullando così, la stessa realtà. Baudrillard, sosteneva che la “modernità” era priva di significato e che affermarne l’insensatezza, era liberatorio. Gli individui che compongono le moderne società, inette e rammollite, non conoscono la verità. Il loro pensiero, omologato e omologante, è il risultato di un libretto di istruzioni che il Sistema Lberista Relativista distribuisce loro, e che, gli stessi, interpretano alla lettera in ogni suo punto, comma e nota. Ogni più remoto barlume di consapevolezza e discernimento è stato cancellato dal loro DNA e, principi, valori e doveri, sono parole sconosciute di un mondo virtuale, di una dimensione onirica e di un tempo eroico. La paura è il perno cancerogeno di un meccanismo diabolico intorno al quale ruota una esistenza svuotata di ogni significato. Tutto questo, comunque, è causa di frustrazione e depressione, alle quali, il Sistema, cerca di ovviare, mettendo a disposizione degli stessi nuove forme di comunicazione atte a fare interagire in tempo reale, e solo verbale, i vari sentimenti di rabbia, di indignazione e di virtuali rivoluzioni e sommosse. In questo modo, il Sistema li disattiva, tenendoli impegnati virtualmente e dando loro l’impressione di essere protagonisti e possibili artefici del cambiamento. Ogni individuo è schedato, controllato e, di privato, non è rimasto nulla. Per l’uomo moderno, non vi è alcuna speranza di riscatto essendo la sua mente, oramai completamente plagiata e la sua volontà e reattività ai minimi termini. La passione per la terra si è estinta e la fatica per il lavoro dei campi, un ostacolo insormontabile. Tutte quelle che oggi, insistono con il definire conquiste (che siano sociali o tecnologiche), sponsorizzate nei decenni come traguardi fondamentali e scelte ineludibili, si sono rivelate oggi, alla luce dei risultati, delle autentiche bufale, ma non solo; hanno peggiorato la condizione umana, azzerando ogni barlume di autentica felicità. Questo mio, è un dato di fatto incontrovertibile (sicuramente impopolare), che misura la felicità, usando come parametri assoluti, la qualità della vita e l’integrità dell’ambiente. Il mito dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione obbligatoria, sdoganato dal Sistema come riscatto ad una condizione di ignoranza, accesso alla società civile e come presupposto per un lavoro dignitoso (mortificando così, il lavoro della terra, vera conoscenza, tradizioni, principi e valori), è miseramente defunto. La perdita di autonomia e autosufficienza (un tempo valore fondamentale dell’illuminata società contadina), ci ha relegato dentro una schiavitù senza catene, omologando gli individui e privandoli dei personalismi, immaginazione e slanci rivoluzionari. Per il Sistema una vera pacchia!! Quella che oggi, impropriamente, viene definita “la cultura”, si è rivelato arido apprendimento, improduttivo e inconcludente. Quanti giovani, oggi, hanno buttato il loro prezioso tempo, chini sui banchi di scuola, dentro atenei caotici, fra master e improbabili specializzazioni? Quanti hanno rinunciato a vivere, per rincorrere, il mito di una laurea, svuotata di ogni significato e intenzione, per coronare l’ambizione dei loro padri? Quante energie e sudati risparmi, è costato tutto questo? Meglio sarebbe stato per loro zappare un campo, coltivare patate – raccogliere i frutti della fatica, dando alla propria esistenza, un senso, una dignità e una vera libertà. Che futuro avranno mai questi ragazzi, quando oggi, il Sistema, li ha derubati dalla capacità di volare, da soli e liberi, incatenandoli all’illusione e alla paura? Meglio sarebbe stato per loro impastare cemento. Costruire una casa di pietra, sulla collina, fra i sugheri le querce. E poi al tramonto, rincasare, e perdersi nella magia dei sorrisi e garriti di gioia, di marmocchi analfabeti, gonfi d’amore e di sincera meraviglia. E prima di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo, ringraziare Dio per tanta felicità, aspettando il nuovo giorno, ricco di promesse e di speranza. Sull’onda dell’entusiasmo e di una novità fatta di, promesse, aspettative e speranze, per una qualità di vita migliore e più felice, è stata definito, rivoluzionario, quel processo di industrializzazione che, nel solo arco di un secolo, ha sbaragliato dal campo le società contadine per imporsi come parametro assoluto di riferimento. Ma le rivoluzioni, sono portatrici di fratellanza, uguaglianza e libertà (sinonimi di felicità), in netta antitesi con quella “industriale”, equivalente di, omologazione, licenza, schiavitù e catastrofe ambientale. Una mera illusione, avallata, mitizzata e propagandata da quel primitivo gruppo di “furbetti del quartierino” che, alla fatica dei campi e all’intelligenza, aveva anteposto (per facilità di applicazione) le più congeniali e caratteriali, inettitudine e furbizia. Tutte le promesse e le speranze, sbandierate in questo secolo, sono state disattese e umiliate. Quel processo di semplificazione che ha traghettato l’uomo da un passato industrioso a un presente industriale, è miseramente fallito: l’autonomia di un tempo, fonte di libertà e decoro, è degenerata in dipendenza dal Sistema e, la salutare e appagante fatica dell’uomo contadino, in lavoro meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali motivi, l’individuo umano, cosciente e responsabile di un tempo, si è involuto in umanoide robotizzato; un automa che si attiene alle regole stereotipate di un libretto di istruzioni che il Sistema gli consegna al momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è negata la felicità. Gli individui ben differenziati delle società contadine, proprio in virtù della loro autonomia, disponevano di quel tempo libero (indispensabile e necessario), che dava un senso alla loro esistenza ed era motivo di socializzazione, tradizione, fantasia, pura introspezione e svago. La variabilità del tempo, li costringeva per lunghi periodi, ad abbandonare la fatica dei campi, potendo così concedersi lunghe pause di rigenerante riposo, e in occupazioni manuali/artigianali, fonte di creatività, ispirazione e consapevolezza. Oggi, con il Sistema industriale, ogni più remoto barlume di dignita è stato per sempre cancellato. Un uomo, costretto a lavorare otto ore ogni santo giorno (che piova o tiri vento), per quarant’anni della sua vita dentro una fabbrica malsana, caotica e assordante, per miserabili 1000 euro al mese non solo, è un irresponsabile ma (senza il dubbio di essere smentito), uno psicopatico. Questo, vale anche per le otto ore svendute di fronte ad un computer, o alla guida di un Tir, o alla cassa di un supermercato. Questa non è la vita o estrema condizione di sopravvivenza, ma stato vegetativo. L’uomo ragionevole, muore per un calcio sferrato dal suo cavallo, per essere caduto ubriaco dal fienile o, colpito da un fulmine in una notte di tempesta, mentre cerca di radunare il suo gregge di pecore. L’uomo ragionevole, muore annegato, dopo essere caduto con la sua bicicletta in un fossato, di notte, tornando dall’osteria verso casa. Muore di fatica, dopo avere dissodato, con la sola forza delle sue braccia, un campo di patate. L’uomo ragionevole, muore soffocato dall’ultimo boccone della sua cena o, avvelenato dalla puntura di una vipera – muore per un colpo di pugnale al cuore, sferratogli dal suo acerrimo nemico, per una parola di troppo. L’uomo ragionevole, muore da uomo, perché la memoria delle sue azioni, sia da conforto per tutti quelli che lo hanno amato. L’uomo ragionevole cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione d’autenticità, e di qualità della vita. Diversamente, meglio sarebbe per lui, vivere di espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una baracca di lamiera e cartone, e che fosse la carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti stellate, i suoi sogni. L’uomo di quest’epoca insensata si deve ribellare, e riappropriare dell’unica cosa che è capace di produrre miracoli, e in grado di riesumare autentiche passioni e vere motivazioni: la Terra. La Terra, è il vero potere! Il solo potere al quale possiamo serenamente sottometterci sapendo che, domani, per noi sarà un altro giorno. Un giorno nuovo, pieno di aspettative e di speranze, di sana fatica, sereno riposo e felicità. Il capitale, un tempo, in uso all’aristocrazia, alla nobiltà e a una borghesia illuminata, che, della cultura ne aveva fatto il fiore all’occhiello, è passato di mano ai rappresentanti di una oscura borghesia industriale, ignorante e cialtrona che, dopo millenni di latitanza ha trovato riscatto e visibilità al suo esilio socio-culturale ed esistenziale. La moderna “borghesia del tondino” interpreta la cultura, come ostacolo, insormontabile all’esercizio del profitto e dell’interesse particolare. Non da meno, si circonda di opere d’arte di pittori, scultori (vere o false che siano) ostentate come trofei di caccia e attestato di un prestigio sdoganato a suon di milioni, frutto di traffici e collusione. E così, anche una grande parte, di territorio di interesse nazionale, isole, lagune, spiagge, laghi, montagne ed altro, che prima di allora, nessuno mai si sarebbe sognato di mercificare, oggi, appartiene, a questa borghesia di commercianti speculatori e imprenditori zotici e bavosi (retoriche eccezioni a parte). Ci vuole una legge (priorità assoluta), che vieti categoricamente a questi personaggi di approdare nel nostro parlamento, per presunto conflitto di interessi. Questo, per scongiurare la possibilità che, il bipolarismo (come da noi), si trasformi in uno scontro impari, tra il potere dei privati e loro interessi, e lo stato di diritto. Questo “vulnus” ha decretato la morte della politica, trasfigurando la sua originaria ragione sociale in quella di procacciatore d’affari, al soldo del potere economico. Questa nuova razza al potere, ha fatto tabula rasa di quell’impianto etico, connaturato nella società, che ne impediva le sua degenerazione umana. ”Il potere ha bisogno del popolo nella misura in cui, il popolo, ha bisogno del potere.” La “rivoluzione industriale”, ci ha regalato due guerre mondiali con annesso, bomba atomica, nazi-fascismo e liberismo relativista. Quest’ultimo (il peggiore di tutti i mali), decreterà la fine del mondo occidentale. Oggi la parola é diventata numero e quindi calcolo e bieco opportunismo, quando, fino a ieri (prima dell’infausta rivoluzione industriale), era sinonimo di evasione e di cultura. Le conclusioni che ne si evincono sono lapidarie e inquietanti. Tutto il resto é chiacchiericcio, che piace tanto alle masse inconsapevoli, omologate e relativiste. La capacità di sapersi adattare alle circostanze, rende gli uomini autonomi e per questo liberi. Questa prerogativa, è resistita nel tempo, per tutto il corso della storia umana, per poi impantanarsi e soccombere nelle società post-industriali consumiste. GJTirelli
Posted on: Fri, 01 Nov 2013 14:53:04 +0000

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