L’olivo, pianta millenaria del paesaggio agricolo del - TopicsExpress



          

L’olivo, pianta millenaria del paesaggio agricolo del Mediterraneo, è stato da sempre apprezzato per i suoi frutti e per l’olio che da essi si ricava. La sua storia s’intreccia con quella dei popoli mediterranei non solo nell’ambito agronomico, ma anche nelle scienze naturali, nell’economia, nella letteratura, nella religione e nelle arti. La diffusione di questa pianta è attribuita, principalmente, ai Fenici e ai Greci. Infatti, l’ulivo è definito da Sofocle come la “dolce nutrice argentea”, testimoniando la sua presenza in ogni atto di vita dell’uomo, scolpita e dipinta in ogni graffito o pittura antica, ed è simbolo della pace e della vita che si rinnova. La patria di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore, gli Assiri ed i Babilonesi ignoravano questa pianta e i suoi frutti, usavano solo olio di sesamo, l’olivo era viceversa conosciuto da popoli come gli Armeni e gli Egiziani. Anche nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati : basti pensare che la colomba dell’arca porta a Noè un ramo d’olivo colto sul monte Ararat, montagna dell’Armenia. Molto presto l’uso di coltivare l’olivo passò dall’Asia minore alle isole dell’arcipelago, e quindi in Grecia. In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano feste, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato. Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano in primo luogo il territorio di Venafro, mentre nell’Italia del nord erano famose le coste della Liguria. L’olivo esigeva molte attenzioni, che potevano risultare anche costose, ma i proprietari degli oliveti erano ben ripagati dei loro disagi: non solo la cucina, ma anche i bagni, i giochi, i ginnasi poiché durante le olimpiadi gli atleti venivano massaggiati con un impasto composto da olio di prima spremitura e cenere, tale miscuglio producendo antiossidanti manteneva sciolti i muscoli; persino i funerali, esigevano l’impiego di grandi quantità di olio. In Grecia l’olio era generalmente prodotto dai proprietari stessi degli oliveti che spesso procedevano anche alla sua vendita. La vendita al dettaglio non si praticava solo in campagna o nelle botteghe; era ugualmente attiva nell’agorà, dove venivano trattate le merci più diverse. I mercanti erano installati in baracche, sotto umili tende o, più comunemente, all’aperto, ma questa situazione migliorò ben presto quando furono edificati i primi portici. Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici e documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure di olivi domestici. Sono comunque evidenze significative, soprattutto se inquadrate nel più generale panorama archeologico e vegetazionale della penisola italiana, che fanno ragionevolmente presumere un precoce riferimento all’olivo coltivato. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ciò nonostante, quanto esposto sembra sufficiente per sollevare almeno qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci. Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana. Non è facile ricostruire il paesaggio agrario dell’Etruria antica: le trasformazioni subite nel corso del tempo, e soprattutto l’impoverimento e l’abbandono delle campagne, iniziato in età romana, impediscono di cogliere, in tutti i suoi dettagli, una situazione che doveva essere comunque piuttosto fiorente. Anche il panorama offerto dalle fonti antiche va letto con prudenza, tenendo conto del contesto storiografico di appartenenza in cui dominavano la memoria di un passato felice e i riscontri di un realtà contemporanea, quella della prima età imperiale, in cui i caratteri del paesaggio etrusco e i metodi di conduzione agricola erano senz’altro strutturati in modo diverso. Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite. Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare. Per quanto riguarda l’ambito alimentare l’olio è sempre stato uno dei prodotti principali dell’antichità classica. Nel mondo romano non si usava altro condimento per cucinare, e per condire le insalate si utilizzava l’olio migliore: particolarmente rinomati erano l’olio verde di Venafro, come attestano anche Plinio e Orazio, pessimo veniva giudicato l’olio africano che veniva usato esclusivamente per l’illuminazione. Lo storico Tucidide, nel V secolo a.C., scriveva: “i popoli del Mediterraneo cominciarono ad emergere dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite” definendo, in modo molto chiaro, il rapporto tra i popoli del Mediterraneo, la coltivazione e l’importanza di queste specie. I Fenici, invece, chiamavano l’olio “oro liquido”, in funzione delle sue molteplici proprietà sia alimentari che medicinali. Di epoca romana sono, poi, i numerosissimi affreschi rinvenuti nelle ville di Pompei aventi come soggetto l’olivo o i numerosi esempi di frantoi romani a vite presenti in tutta la regione e i tanti doli, utilizzati per la conservazione degli oli e dei vini. Nel Medioevo, abbiamo attestazioni di grandi produzioni d’olio in Campania e Puglia e, grazie soprattutto al contributo dei monaci benedettini, la coltura ritorna ad essere importante e redditizia. La Campania, patria della dieta mediterranea, unitamente ai vini, ai formaggi, ai limoni ha nell’olio di oliva un ulteriore elemento di forza che si integra perfettamente nella prestigiosa tradizione alimentare e gastronomica, che ha reso la regione nota in tutto il mondo. L’olivo in Campania rappresenta un elemento caratterizzante sia del paesaggio che dell’economia di vaste aree della regione, alcune di eccezionale bellezza. Molti olivicoltori campani mostrano, con giustificato orgoglio, piante maestose di centinaia di anni di età. Questi olivi secolari, spesso chiamati con nomi collegati alle tradizioni locali, rappresentano un patrimonio anche culturale e storico. In Campania l’introduzione della coltivazione dell’olivo è datata millenni. L’opera di diffusione più cospicua di questa pianta è attribuita ai fenici e ai greci, che la portarono in tutti i territori colonizzati, e non solo per la produzione di olio a scopo alimentare, ma anche per ricavarne unguenti e profumi ad uso “estetico”, o per essere bruciato in omaggio alle divinità; tradizione, quest’ultima, ancora praticata a Napoli con il dono annuale di olio extra vergine di oliva alla lampada perpetua di San Gennaro, patrono della città. Il livello di attenzione in Campania per l’olivo e l’olio fin dall’epoca romana è documentato dai mirabili affreschi rinvenuti nelle ville di Pompei, in cui le scene riguardanti l’olivicoltura sono numerose, come sono numerosi gli esemplari di frantoi romani a vite rinvenuti in varie zone della regione, e i numerosissimi doli, grandi anfore in terracotta, che interrati in cantine, venivano utilizzati per la conservazione degli oli e dei vini. Nella provincia si è assistito alla crescita dell’interesse intorno all’olio extravergine di oliva di qualità certificata e molteplici sono state le iniziative che hanno portato alla nascita di diversi Comitati per la promozione di Denominazioni di Origine Protetta (DOP) relative alle zone di produzione più rappresentative: la zona Aurunca (Terre Aurunche), la zona Caiatina (Colline Caiatine), la zona Matesina (Terre del Matese) e abbiamo la varietà a confine con la provincia di Benevento, nella Valle di Suessola denominata la varietà “Asprinia” conosciuta nei comuni di Cervino, Santa Maria a Vico, Maddaloni e Arienzo. La coltivazione e la produzione dell’olio d’olivo è tipica della Valle di Suessola ove nel 1498 ad opera del re Federico D’Aragona, durante il ferragosto, si teneva il “Mastro Mercato” in seguito ad una petizione inoltrata dal Barone di Arienzo e dai Padri Domenicani di Santa Maria a Vico; in tale fiera oltre gli articoli domestici di rame, legno e terracotta veniva venduto e scambiato l’olio d’oliva della valle suessolana. L’olio di oliva veniva usato spargendolo sui cibi con “o segne e roce”, cioè dall’alto in basso e da sinistra a destra, con estrema precisione. Estesi uliveti, dislocati soprattutto sulle colline, assicuravano ai valligiani una sufficiente produzione di olio di ottima qualità. Inizialmente gli uliveti erano feudi dei nobili o facevano parte dei beni ecclesiastici; in seguito vennero affrancati dai contadini e comprati dagli agricoltori benestanti. Il proprietario dell’uliveto in parte vendevo l’olio prodotto in parte lo destinava per uso familiare. La stessa cosa facevano i fittavoli se l’annata risultava particolarmente abbondante. La coltivazione dell’ulivo è molto diffusa nel comune di Cervino, ove l’albero cresce lungo i pendii dei monti tifatini. Si presenta in due sottospecie: L’olivo coltivato o domestico e l’olivo selvatico o oleastro. Nel Comune di Cervino la coltivazione dell’olivo è un aspetto essenziale della vita economica e sociale della comunità da svariati secoli, in passato veniva prodotta anche la “sansa”, residuo della spremitura delle olive, ovvero bucce, polpa esaurita e frammenti di nocciolo che sottoposti a nuovo trattamento con solventi forniva olio di qualità inferiore. A Cervino conosciuti, un tempo, erano anche i “Saponari” che utilizzavano i grassi di scarti avanzati dalla lavorazione delle olive attraverso i quali riuscivano ad ottenere un sapone artigianale ed autoctono. Ancora oggi nel Comune di Cervino è presente un vicolo detto “Vico Saponaro” presente proprio accanto ad uno dei frantoi più antichi della città di Cervino che risalente al 1700 era di proprietà della famiglia Carafa e in quell’epoca veniva chiamato “Trappeto”. Successivamente la proprietà fu acquistata dalla Real Casa Borbonica, la cui Reale Amministrazione, nel 1827, mise in funzione un frantoio oleario per la lavorazione delle olive prodotte dal “Fondo Oliveto Monticello”, rinnovandone la struttura. Quasi un secolo dopo, la proprietà fu venduta alla famiglia Caprioli. A testimonianza dell’attività venatoria dei Borboni, già nella prima metà del 500, furono fatti costruire da Giovanni Nicola della Ratta, feudatario di Durazzano, due casamenti, un piccolo borgo che si trovava sul cammino che il Re percorreva dalla Reggia di Caserta verso direzione Benevento, l’uno destinato a dimora, l’altro come ricovero degli animali e servitù. Questo piccolissimo borgo prese il nome dal suo costruttore: Villaggio di Messercola. Altro frantoio di particolare interesse è il “Frantoio oleario Borbonico” presente proprio nella frazione di Messercola dal 1827, costruito in uno dei siti di quella che fu la “conca d’oro” della vasta tenuta del Re e della dinastia Borbonica. L’olio che si produce proviene dagli uliveti che si coltivano sulle alture delle colline a Nord della zona abitata ove si uniscono la frazione di Messercola con quella di Forchia di Cervino confinante con la città di Durazzano che è in provincia di Benevento. (Domenico Letizia. Relazione tenuta alla XXII Sagra dell’ Olio d’oliva di Cervino (CE).
Posted on: Tue, 03 Dec 2013 16:53:23 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015