“Ma vaffa!” “Sarà sicuramente splendida. Le donne - TopicsExpress



          

“Ma vaffa!” “Sarà sicuramente splendida. Le donne dell’isola di Lesbo sono sempre state considerate tra le più belle dell’intera Grecia. Ci accoglierà e sfamerà, secondo la proverbiale xenophiliá ellenica. A poco a poco, a gesti, comincerai a corteggiarla. In breve col tuo savoir-faire riuscirai a portarla in camera da letto e, dopo averla spogliata, le ruberai i vestiti... non dimenticarne uno anche per me.” “Come, non ero un deficiente?” “Citrullo sì, ma non necessariamente impotente. Vuoi che le dica che sei anche frocio?” Armatici di un nodoso bastone ciascuno, che, oltre a tenere lontano l’indegno quadrupede, qualora avesse deciso di morderci le chiappe, ci avrebbe consentito di accentuare l’andatura strascicata di perfetti accattoni, ci avviammo verso la casa. La tizia rispose subito al picchio deciso, aprendo completamente l’uscio e uscendo sul davanzale. Quarant’anni o giù di lì, eludendo tutti i canoni della bellezza greca, era brutta come l’inferno: magra come un chiodo, naso adunco, gozzo di rilevanti dimensioni alla base del collo, chiazze alopeciche tondeggianti su buona parte del cuoio capelluto... ciliegina sulla torta, si presentò discinta. “Madonna santissima...” bisbigliò Lomartire, repentinamente impallidito. “Zitto, vuoi rovinare tutto!” sibilai, piantandogli un gomito nelle costole. In un non disprezzabile tempo di un quarto d’ora, alla fine riuscii a farle capire che avevamo fame. Quanto a tentare d’illustrarle le gravi patologie del mio amico, ci rinunciai, tanto quella vista di per sè gli aveva già paralizzato la favella. La buona – ma tutt’altro che bona – samaritana ci offrì delle deliziose ciambelle cosparse di semi di sesamo. “Dai, playboy, attacca!” spronai Anselmo, intanto che quella era andata a prenderci un boccale di fresca acqua di fonte. “Io ti aspetto fuori, bevi anche per me.” “Chiedimi tutto quello che vuoi, ma non questo!” frignò il commercialista, ruotando disperatamente gli occhi alla ricerca di un’impossibile via di salvezza. “Non ci riesco!” “Come, uno del tuo spessore! Uno gagliardo come te! Cosa vuoi che sia! Chiudi gli occhi e immagina di avere davanti una a piacere tra quei gran tocchi di fica delle mogli dei giocatori dell’Inter!” Quindi, con una fervente iterazione di efkaristò, lo lasciai inebetito e scappai come un ladro, non prima di avergli lestamente strappato quella sorta di perizoma spellacchiato che gli restava ancora addosso – questo come deterrente, per evitare che potesse darsi alla fuga, e acciocchè funzionasse da catalizzatore per la sua Mission: Impossible. Raggiunto un punto dal quale si dominava facilmente la casa, mi sdraiai comodamente nell’erba alta, e mi misi ad aspettarlo. Erano passati solo pochi minuti e, a occhi chiusi, assaporavo quel momento fantasticando sugli amplessi di fuoco e i successivi dolci ozi che mi aspettavano nel tempio, quando un grido disperato mi fece accapponare la pelle e, riscuotendomi, purtroppo fece dissolvere il volto angelico della mia amata. “Presto, scappiamo, sono sicuro che non tarderà a inseguirmi anche qua fuori!” ansimò Lomartire. “Dio, era riuscita a saltarmi addosso e a inchiodarmi sotto di lei, e stava per portare a compimento il suo turpe proposito, quando, con la forza della disperazione, sono riuscito a scalciarla via e a guadagnare la porta... ecco, questi sono gli indumenti che le ho fregato.” “Mancano le scarpe”, gli feci notare, con riprensione. “Vattele a prendere tu, io con le greche ho chiuso!” “Mmmh... entreremo nel tempio scalzi”, risolsi, bloccando sul nascere la pericolosa tenzone. “E con qualche striscia di stoffa rubata alle vesti, disposta vezzosamente intorno al capo, risolveremo il problema dei capelli.” “Ah, bene, assomiglieremo senz’altro a due leggiadre giovinette” ironizzò Anselmo. “Io, di sicuro; tu, magari a un travestito”, replicai e, liberatomi velocemente della soffocante mise trogloditica, indossai quei panni femminili. Anche se stavolta procedevamo in salita, e dovemmo fermarci per elaborare la nostra originale acconciatura, impiegammo lo stesso metà tempo rispetto a prima. Non erano passate neppure tre ore da quando eravamo finiti nel settimo secolo avanti Cristo, che facemmo il nostro ingresso trionfale – si fa per dire – nel tempio. Stranamente in giro non c’era anima viva, solamente altari profumati d’incenso. Nessun custode ci bloccò la strada, e nessuno ci domandò cosa fossimo venuti a fare. Se non avessimo visto con i nostri occhi Saffo varcare poco prima la soglia, avremmo sicuramente pensato che il luogo fosse abbandonato. Perplessi, non sapevamo che fare, quando una voce melodiosa, accompagnata ancora una volta dal suono della lira, ruppe il silenzio. “E’ lei!” proruppi, emozionato. “Là in fondo, vicino alla statua di Afrodite! Avviciniamoci!” “Aspetta...” fece il commercialista, intimidito. Mi accostai all’altare della dea, seguito da un sempre più nervoso Lomartire. Quella ci vide e arrestò subito il suo canto. “Divina Sapho, vieni a me anche ora e liberami dai tormentosi affanni, e tutto ciò che il mio animo brama che per me si avveri, avveralo tu...” declamai, eccitato. “Che beeello!” esclamò la poietria, fissando il luminoso scintillio dei suoi occhi su di me. “Ma... veramente l’hai composto tu!, osservai, perplesso. “Cosa dici, giovinetta, non ti capisco”, rispose quella, elargendomi un magnifico sorriso. “Ehm, no, niente, è che amo tutti i tuoi canti”, mi ingarbugliai, odiandomi per averle recitato un carme che evidentemente avrebbe scritto solo più avanti negli anni. “Allora ti faccio sentire l’ultima mia composizione”, proferì, civettuola. “Eros, lui che scioglie le membra, di nuovo violento mi agita, dolce-amaro irresistibile essere...” “Stupenda!” esplosi. “E senti, senti anche questa!” continuò, raggiante. “Giungesti, e hai fatto bene, io ti desideravo, e hai dato refrigerio al mio animo che ardeva di desiderio...” “Sublime! Celestiale! Divina!” presi a sperticarmi. “E perché la tua amica resta così in disparte? E’ forse timida?” mi si rivolse, ancora accalorata. “La sua figura è incantevole e i suoi occhi...” “Scusa se ti interrompo, Saffo, ma dissento”, mi sentii in dovere d’intervenire subito. “Hai visto le sue estremità?” “E già, hai ragione... ha piedoni lunghi sette braccia.” “Mi è venuta un’idea! Resterò con te nel tempio e ti aiuterò ad addobbare la statua della dea per le cerimonie, così mi farai ascoltare tutte le tue poesie!” esclamai, battendo le mani, leziosa (insomma... lezioso). “‘Piedone il commercialista’, ehm, la mia amica, si occuperà delle pulizie.” “Ma non si può, o leggiadra, o incantevole ragazza! Il mio genitore Scamandronymos ha già deciso che domattina, insieme a mia madre Cleis e ai miei fratelli Caraxos, Eurigios e Laricos, c’imbarcheremo tutta la famiglia per raggiungere l’isola di Andros. Sono in atto delle lotte politiche e i tempi consigliano di abbandonare Mytilíni.” “No, non andare, o coronata di viole, finirai con lo sposare Kerkylas! Il socio di tuo padre è un uomo volgare e privo di sensibilità!” proruppi, fregandomene bellamente questa volta di alterare l’ordine delle cose, rivelandole anticipatamente il suo stesso futuro. “Ma lasciamo Lésvos solo a causa del tiranno PittaKos...” reagì quella, sconcertata. “Oh, sì, vedrai come ho ragione, mia povera Saffo. Però poi ritornerai e fonderai il tuo thìasos”, pronunciai mestamente. “E per allora avrai preso una direzione diversa e, ahimé, non potrai più amarmi.” “Mi stai facendo paura... non scerno le tue parole”, mostrò inquietudine l’amata. “Ti rapirò! T’impedirò di sposare quell’uomo! Sarà stanotte o mai più!” seguitai, accorato. “Appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, ma lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie...” “... e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa”, ultimò lei, stringendomi con bramosia le mani. “A stanotte, amore! Sfiderò i paradossi e cambierò la storia!” declamai, intrepido; quindi, recuperato Anselmo, che mi fissava completamente rincoglionito, col cuore in tumulto, abbandonai il tempio. “Parlavi di me prima, quando mi stavi indicando?” mi chiese Lomartire, ancora frastornato. “Aaah... sì, le stavo facendo notare la perfetta armonia dei tuoi tratti. Sai, la sezione aurea”, risposi dopo una leggera esitazione. “Uuuhm, e a parte questo, cosa vi siete detti in tutto questo tempo?” insistette lui, guardandomi con sospetto. “Ci siamo dichiarati vicendevolmente il nostro amore, e ho deciso di portarla via dalla casa di Afrodite”, recitai, solenne. “Ma non si può cambiare il passato!” cominciò ad alterarsi quello. “E chi te l’ha detto!” reagii, stizzoso. “Tuuu! E i paradossi, allora?” strillò con quanta voce aveva in corpo. “E se poi provochiamo l’implosione dell’intero cosmo? Il Big Crunch?” “E chi se ne fotte! Muoia Sansone e tutti i filistei!” replicai, ancora più forte. “Saffo sarà mia!” “Sono rovinato!” prese a dolersi il commercialista. “Come se non mi bastasse la condanna al continuo peregrinare, ballonzolando senza meta nel tempo, adesso questo folle vuole distruggere l’universo!” Ignorando i suoi lai, continuai ad avanzare, intrepido. “Dove stiamo andando?” bofonchiò, sempre querimonioso. “Voglio esplorare bene quel boschetto di meli che abbiamo incontrato prima di raggiungere il tempio”, dissi. “Magari potrebbe servire come primo nascondiglio.” “Ma è dall’altro lato!” “Appunto!” articolai, senza esitazione, convergendo immediatamente verso la nuova direzione. “E’ che volevo vedere se eri capace di orientarti da solo... sai, caso mai ci dovessi lasciare le penne in questa pericolosissima impresa.” “Dio mio... orfano! Non pensarci neanche! Mi fai cacare addosso!” “Come sei caro... è in momenti come questi che si vede l’amico. Unus amicorum animus!” recitai, commosso. “Certo, è più probabile che capiti a te. L’eroe innamorato, coinvolto nelle azioni più temerarie, in genere sopravvive sempre.” “Ma vaffa, brutto iettatore che non sei altro!” esplose quello, cominciando a fare gli scongiuri. “Minimizzeremo i rischi. Vedrai, studierò la migliore strategia”, provai a rabbonirlo, soprattutto dopo che aveva cercato di pigliarmi a calci in culo. “Ma che devi fare con Saffo, è appena una ragazzina! Pedofilo!” continuò a infierire. “Dalle appuntamento a quando ripasseremo da qui.” “Dev’essere già maggiorenne! E poi ad amor non si comanda!” replicai, ferito nell’onore. In ogni modo nelle poche ore che ancora mi separavano dal programmato ratto, in vero sempre ostacolato da quel bastian contrario del mio compagno, cominciai a partorire un’idea dietro l’altra: avremmo scalato i novecentosessantotto metri del monte Olympus; però forse era meglio se prima ci fossimo nascosti per qualche tempo nella foresta pietrificata; barattando il mio Hublot, sarei riuscito facilmente a ottenere i passaggi clandestini su un piroscafo per il Pireo, e, a mali estremi, rubata una barca, avrei portato a remi la mia amata e il fido Anselmo fino alle coste turche. Non si erano ancora del tutto dissolti gli ultimi chiarori del giorno, quando, sordo alle rimostranze del Lomartire, decisi che era già notte e, insofferente, diedi il via all’operazione. In ogni caso, quando giungemmo al tempio di Afrodite, l’oscurità, che si era nel frattempo diffusa, ne forniva una buona imitazione. “Questa non ci voleva, il portale d’ingresso è chiuso!” imprecai. “Ci toccherà forzarlo in qualche modo.” “Te l’avevo detto io. E’ ancora presto”, graziosamente si premurò a farmi notare Anselmo. “Non credo proprio sarà necessario che ci proviamo... a parte che ho i miei dubbi ci potremmo mai riuscire. Sarà la stessa Saffo a sgattaiolare fuori all’ora convenuta. Abbiamo tutto il tempo di sceglierci un posticino comodo e farci una pennichella.” Dedicandogli un’occhiata torva, dovetti convenire che aveva ragione. Ci allungammo sotto un pino poco distante e ci mettemmo in attesa. CAPITOLO 4 “M a porc... dobbiamo esserci addormentati! Maledizione è giorno fatto!” esclamai, angustiato. “La mia povera Saffo stanotte mi avrà aspettato invano, si sarà sentita tradita.” “E il tempio dov’è?” rimarcò Anselmo, che volgeva la testa tutt’attorno come un Iynx torquilla. “Madonnina, siamo nel bel mezzo di una città!” “Nooo! L’ho persa per sempre!” gemetti, cominciando a strapparmi le vesti – a dire il vero però avevo iniziato con quelle del commercialista. “Abbiamo fatto un altro balzo nel tempo...” “Sta fermo, che mi denudi!” fece quello, coprendosi pudicamente il torace, nel timore forse che il seno rigoglioso (?) potesse straripare. “E che sarà mai, ci sono io qui con te!” “Figurati che consolazione, un interista checca al posto della più grande poetessa del mondo!” “Guarda, ti perdono solo perché sei ancora scosso... stronzo di uno stronzo!” “E non usare questo gergo triviale; datti un contegno, cazzo, siamo in un luogo abitato! Uuuh, mi devi sempre far fare delle figure!” “Ah, adesso sarei io...” “Okay, mi piglio tutta la colpa, però ora arrampichiamoci su quella collinetta, magari da lassù riusciamo a farci un’idea di dove siamo capitati.” Imboccata una strada a spirale, iniziammo a salire verso la sommità della montagnola rocciosa. Raggiunto il cocuzzolo di quella che, si capiva, doveva essere un’altura artificiale, sotto di noi si stagliò a perdita d’occhio una grande, ordinata, città di mare. Su un’isola poco distante dalla costa sorgeva una struttura di proporzioni gigantesche, costituita da un basamento quadrangolare, di un corpo mediano ottagonale e di una sommità cilindrica. L’isola stessa era unita alla città da un lungo molo che creava due parti separate. “Atlantide...?” mormorò Lomartire, che era rimasto trasecolato. “Non dire scemenze, quella non è mai esistita! Tutte le vicende narrate da Platone nel ‘Timeo’ e nel ‘Crizia’ erano pura opera della sua creativa immaginazione!” lo bacchettai subito. “Nella disposizione delle strade, nella struttura degli edifici, vedo invece un che di ellenistico. Quell’opera ciclopica poi...” “Oh, abbiamo compagnia”,disse Anselmo, intanto che un individuo dall’aria effeminata, ancora ansimante per la salita, si arrestava a pochi passi da noi. “Su, visto che sei poliglotta, cerca di scoprire qualcosa.” “Così?” protestai, indicando il mio lezioso abito femminile del settimo secolo avanti Cristo. “E come vorresti andare, nudo? Non credo correrai alcun rischio... Giovanna, quello mi pare più interessato ai maschietti.” Non del tutto tranquillo, mi accostai al tizio. “Dopo i rituali Do you speak English?, Parlez-vous français? e ¿Habla español?, stavo passando al tedesco e cominciavo a pensare con sgomento al portoghese e all’arabo, quando quello mi rispose in greco antico. Mezz’ora e due litri di sudore più tardi, avevo appreso che ci trovavamo ad Alessandria, in Egitto, nel trentanove avanti Cristo, e che il mio nuovo amico, Mardione, era l’eunuco di Cleopatra. “Nooo... la città fondata da Alessandro Magno? Allora quello è il Faro, una delle sette meraviglie del mondo antico!” esclamò Anselmo, che per una volta almeno stava dimostrando un certo entusiasmo. “Sicuro, e nella capitale dell’Egitto tolemaico ci troverai pure la celebre Biblioteca di oltre settecentomila volumi”, aggiunsi, esultante. “Pensa che potrò attingere al sapere in essa contenuto, prima che, con la sua scomparsa, vada in gran parte perduto.” “E illustre forestiero, da quale lido sei arrivato?” mi chiese intanto l’imbelle creatura. “Ehm... la mia patria è molto lontana, oltre le Colonne d’Ercole”, risposi. “Insieme al mio schiavo, l’eunuco Anselmus, navigavo alla volta delle Indie e della Cina, per vendere le mie preziose merci e acquistare le migliori tele di lino, i più raffinati tessuti di cotone, le sete più pregiate, quando siamo incappati in una violentissima tempesta che ha affondato le mie cinquanta navi e, senza fare altri superstiti, mi ha gettato, col fido ilota, sulle egizie spiagge. Anche l’abito che porto addosso non è mio, la furiosa procella, oltre a privarmi della flotta, mi lasciò ignudo.” “Cleopatra sarà lieta di averti stasera al Palazzo, o mio nobile signore. L’augusto triumviro Marco Antonio è partito già da un mese per Roma e la regina, stanca delle cerimonie ufficiali, dei consigli di Stato, delle udienze e degli altri problemi di governo, ha ordinato un sontuoso banchetto.” “E’ con somma gioia, o Mardione, che accetto il cortese invito. Sarà per me grande onore e raro privilegio”, declamai, solenne. “E potrò recare meco il fedele Anselmus?” “Certamente. Vi accompagnerò io stesso, così potrai rinfrescarti, dopo di che ti agghinderò con i vestimenti che si confanno al tuo alto lignaggio.” Entusiasta, resi edotto Lomartire. “Giuro, questa me la paghi”, sibilò tra i denti quello, mentre, preso per mano dal ‘collega’, iniziavamo a percorrere, stavolta in discesa, la stessa strada di prima. “Non me la son sentita proprio di dirgli la verità. In certo qual modo è stata una questione di politically correct”, formulai a mia discolpa. “Avesse saputo di avere a che fare con due tombeur de femmes come noi, quello, poverino, vista la sua... ehm, diciamo incresciosa, condizione, ci sarebbe rimasto senz’altro male.” “E così hai ‘sacrificato’ me, eh?” “E’ che mi sei sembrato naturalmente portato per questo ruolo”, aggiunsi, lanciandogli un sorriso a trentadue denti. “Vivere questa gratificante esperienza sarà per te ne più ne meno la riappropriazione della tua vera identità. Tu stesso qualche tempo fa mi hai confermato che la professione ti aveva fagocitato completamente, recidendoti il cordone ombelicale che ti avrebbe consentito di mantenere le normali relazioni sociali. Insomma, se ci pensi bene, l’eunuco è in certo qual modo l’alter ego del commercialista.” “Ma vai a prendertela nel... tu e questo degenerato che mi si è appiccicato come una mignatta!” sbottò Lomartire. “Ehm, Anselmus ha bisogno di qualche cosa?” si premurò di chiedere l’egiziano. “No, caro, lui è così umile, dove lo metti sta; ha solo detto che apprezza molto la tua compagnia.” La ‘Città’ si snodava su una stretta penisola che si allungava nel Mediterraneo. Raggiunta la strada principale, cominciammo a percorrerla in direzione della Porta Canopica. Dappertutto ferveva attività: gente che tesseva la tela, chi preparava i papiri, alcuni soffiavano il vetro; uomini e donne di tutte le età; ciechi, zoppi, e non solo Egiziani e Greci, ma anche Ebrei, Siriani, più i mercanti che venivano da ogni parte dell’Africa settentrionale. Il Palazzo si trovava sul promontorio Lochias, a est del Porto Grande. Collegato direttamente al Museo, era circondato da un meraviglioso giardino e aveva un proprio porto per le imbarcazioni della regina. Sempre al fianco di Mardione, varcammo il regale ingresso e penetrammo in un fastoso vestibolo dalle dimensioni di un campo di calcio. “Eccoci giunti. Seguitemi, quel passaggio conduce ai miei alloggi”, disse quello, senza accennare a voler liberare il commercialista. “Ehm, magari io vi aspetto qui”, formulai, esitante. “Basta che mi porti un abito della mia taglia.” “Non oserai lasciarmi solo con questo!” proruppe Lomartire, sgomento, che doveva aver afferrato il senso delle mie parole. “Prego, la mia umile dimora è a tua completa disposizione. Ira, l’ancella di Cleopatra si occuperà personalmente del tuo lavacro”, soggiunse l’eunuco, che si era subitamente prosternato in un cerimonioso salamelecco. “Ad Anselmus invece ci penserò io.” “Beh, sì, magari un bel bagnetto ristoratore...” mi affrettai a rispondere, trattenendomi a stento dal mettermi a ballare. “Cos’ha detto?” rantolò il commercialista, in piena psicosi. “Vai, vai tranquillo con Mardione, caro, è una persona così a modo; ti ha preso in simpatia, sai”, proferii, rassicurante, afferrandolo per l’altra mano e aiutando l’egiziano a tirarlo dentro. “Il bagno è nell’atrio. Và pure. Opererò acciocchè Ira ti raggiunga immantinente”, recitò l’eunuco, infilando una porticina e sparendo sempre col ‘condannato a morte’ al seguito. La baignoire dell’’umile dimora’ di Mardione avrebbe fatto sembrare una tinozza la Jacuzzi della più sfarzosa suite del Burj al Arab di Dubay. Mi liberai velocemente del ridicolo abito femminile che portavo da seicento anni, entrai in quella vasca tutta d’oro, chiusi gli occhi e mi misi in trepidante attesa della regale ancella. Nel mio stato di beatitudine mi ero quasi assopito, pregustando i toccamenti sensuali, le sfibranti carezze che tra poco mi avrebbe praticato la più bella esponente del gineceo di Cleopatra, quando un tocco furtivo, prima sui capelli, poi sulla spalla destra, mi fece accapponare la pelle, provocandomi un gemito di piacere. Prima ancora che potessi spalancare gli occhi e mirare quella splendida creatura, un aulente panno di lino mi fu posato con grazia sul viso e due mani delicate cominciarono a insaponarmi il torace. Mentre emettevo tutta una serie di mugolii che avrebbero agghiacciato la più feroce Hyaena ridens, quella prese a scendere con lentezza esasperante verso il punto X. “Siii!” ululai, con la voce arrochita dalla libido, intanto che la dea dell’amore entrava pure lei nella vasca. “Dimmelo che ti piaccio più di Ira”, sussurrò, goduriosa, sistemandosi a cavalcioni sopra di me. “Ma porca putt..!” strepitai, avendo avvertito qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Quindi, strappandomi il telo dalla faccia e scalciando come un forsennato, disarcionai in un battibaleno la ‘dea dell’amore’. “Sì, lo so, sono un... guardiano”, pronunciò, mortificato, il giovane, “ma l’ancella era occupata con la regina e c’ero solo io libero.” Intanto, schizzato fuori dall’acqua, espiravo, con raccapriccio. “Ehm, qua ci sono le sue vesti”, balbettò il virgulto, che si era prontamente rivestito e cercava di rimediare. “Vuole che l’aiuti?” “Fermo là!” gl’intimai, indossando gli indumenti, ancora bagnato, e abbandonando con una certa premura quel locale estremamente pericoloso. Nel Palazzo fervevano preparativi per l’ormai imminente regale imbandigione: c’erano suonatori di flauti, liuti, cetre e zampogne, che controllavano strumenti e spartiti; mimi e cantori, che ripassavano la parte; danzatori e saltimbanchi, che si esercitavano; schiere di eunuchi e di schiavi si occupavano degli ultimi allestimenti. Vagavo già da un po’, pavoneggiandomi nei miei magnificenti indumenti di seta, impreziositi da fili d’oro, quando venni intercettato da Mardione e da quella che sulle prime mi parve essere una languida vestale. “Che te ne pare?” esordì quello, esibendo, orgoglioso, la sua creazione. Avvolto in un’eterea veste rosa confetto, il capo cinto da una corona di fiori, ai piedi preziosi calzari d’argento, Anselmus se ne stava rigido come un baccalà e cercava di nascondersi dietro un romantico flabello versicolare che teneva goffamente in mano. “Diviiino! Semplicemente perfetto!” esclamai, trattenendomi a stento dal battere le mani. “E il maquillage poi... celestiale!” Il contemporaneo annuncio della sovrana mi salvò da quella che sarebbe stata sicuramente la più sboccata sequela di improperi degli ultimi milioni di anni. “La Nuova Iside, Cleopatra VII, figlia di Tolomeo XII L’Aulete”, mormorò, cerimonioso, l’eunuco. “Dille che Joannis XXIII presenta i propri omaggi e vorrebbe ringraziarla personalmente per l’invito”, recitai, ieratico. “Sì, Papa Roncalli in persona”, proferì il commercialista, lanciandomi uno sguardo torvo. La regina, abbigliata come Afrodite, avanzava sotto un baldacchino trapunto d’oro, sostenuto da aste portate a mano da quattro schiavi etiopi. Bellissime ancelle le facevano corona, e una frotta di fanciulli vestiti da amorini era disposta ai due lati. Di lineamenti delicati e ben proporzionali, aveva occhi grandi e luminosi, messi ancor più in risalto da una sapiente applicazione di nerofumo a sopracciglia e palpebre. La bocca era sensuale, le labbra ben modellate e imbellettate dall’ocra. Il naso più semitico che greco classico. Mentre, già innamorato, rimanevo in trepidante attesa, Mardione si portò a ridosso dello scranno tempestato di gemme, dove la regina d’Egitto si era regalmente assisa, e perorò il mio desio. Pochi istanti più tardi era di ritorno. “Ha accolto la tua richiesta. Ti aspetta”, recitò; quindi, con un cenno e un sorriso, mi invitò ad avanzare. Col cuore in tumulto, mi diressi verso la maliarda sirena del Nilo. Dopo essermi deferentemente genuflesso, levai lo sguardo su quella dea e declamai, appassionato: “Credimi, o Regina dei re, è da tutta l’eternità che attendo questo momento. Soltanto il fatto che non scerno tanto bene il greco mi è d’impedimento a servirmi delle parole adatte a magnificare come si deve la tua beltà.” “Sei galante, straniero”, rispose Cleopatra, studiandomi con interesse. “Se hai difficoltà con l’attico ateniese, possiamo scegliere un’altra lingua; io parlo correttamente molti altri idiomi: l’ebraico, l’arabo, il siriaco, il latino...” “Sì, il latino va bene!” vociai, festoso, interrompendola subito. “Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa!”
Posted on: Thu, 11 Jul 2013 17:45:14 +0000

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